Language   

Sui letti sui tetti

Tj DJ
Language: Italian


List of versions


Related Songs

Non dimenticare
(Tj DJ)
Mama non mama
(Bandabardò)
Pugni Chiusi
(Tj DJ)


tettiletti


I riferimenti sono: una scritta su una bancarella del mercato a Roma e un articolo del Manifesto uscito il 30 dicembre 2001, oltre ovviamente all'immortale girotondo
Ci volete sotto i ponti
ci troverete sopra i tetti
quando faremo i conti
salteremo sui vostri letti

Sui tetti per il permesso di soggiorno
Nel vostro soggiorno per un piatto di pasta
Sui tetti per la ricerca per un futuro
il vostro futuro la vostra sconfitta

Salteremo sui vostri letti
sul letto del Mullah Omar
sul letto di Saddam
sul letto di Ben Alì
Sul letto di Mubarak
Sul letto di Berlusconi
che tanto già ci saltano in tante
sul letto di Putin
sui letti sui tetti di tutta la terra
e invece i potenti tutti giù per terra.

Contributed by DonQuijote82 - 2011/2/7 - 19:21



Language: Italian

Aggiungo il ritornello di "Come i Beatles" della Bandabardò, quando ho scritto il brano ancora non era uscita la canzone.
Ci volete sotto i ponti
ci troverete sopra i tetti
quando faremo i conti
salteremo sui vostri letti

Sui tetti per il permesso di soggiorno
Nel vostro soggiorno per un piatto di pasta
Sui tetti per la ricerca per un futuro
il vostro futuro la vostra sconfitta

Tutti, tutti sul tetto a cercare un futuro!
Tutti, tutti sul tetto come i Beatles!

Salteremo sui vostri letti
sul letto del Mullah Omar
sul letto di Saddam
sul letto di Ben Alì
Sul letto di Mubarak
Sul letto di Berlusconi
che tanto già ci saltano in tante
sul letto di Putin
sui letti sui tetti di tutta la terra
e invece i potenti tutti giù per terra.

2011/7/4 - 13:43


Il manifesto, domenica 30 dicembre 2001

CENONE DI FINE ANNO
Taleban e mujaheddin afghani, barboni americani e descamisados argentini: tutti a Kabul per un Capodanno 2002 a mangiar lenticchie e cotechino. E mandare al diavolo i tanti mullah Omar del mondo

LANFRANCO CAMINITI

Il compassato Times inglese rivela che squadre speciali di commandos americani si aggirano nei meandri delle grotte di Torà Bora per tagliare le dita dei caduti di Al Qaeda. Le dita vengono infilate in appositi sacchetti, ibernate con un procedimento speciale e inviate a Fort Langley, per la conservazione e classificazione. L'orrenda macellazione si giustifica con l'acquisizione di codici Dna, ma non è chiaro a cosa potranno servire: a identificare qualcuno, forse, a impedire che qualcuno si spacci per qualcun altro, forse, a studiare la sequenza del geno¬ma di un terrorista, fors'anche. Magari per donarlo. Se un domani tornasse comodo - e tornano comodo sempre -, si fa presto a tirare fuori da un laboratorio un clone allevato con meticolosa cura: si eviterebbe anche il rischio evidente della mancanza di fedeltà mostrata da quelli «originali» (da «faccia d'ananas» Noriega a Bin Laden). Benché, come le macchine di Bradbury, i terroristi coltivati in provetta pare si ribellino anch'essi: il caso dell'antrace diffuso da uno «scienziato pazzo» della Cia (qui non so cosa virgolettare, se «scienziato» o se «pazzo») non lascia tranquilli. I resti di quello che fu descritto come il più potente esercito terrorista del mondo so¬no abbandonati a qualunque oltraggio, più scientifico nel caso di cui sopra, più selvatico nel caso delle varie bande che depredano qua¬lunque cosa. È una bella gara a chi fa il lavoro sporco (e qui non virgoletto niente). Sento tanta vergogna per tutto questo. La pena l'a¬vevo spesa tutta per i morti delle Twin Towers. Vorrei avere un'alternativa tra pena e vergogna.
Ho guardato con notevole curiosità le foto, diffuse dalle agenzie di stampa, dei corpi vivi di quello che fu descritto come il più potente esercito terrorista del mondo, uomini catturati, inginocchiati a capo chino, trascinati per le strade, incaprettati spesso - non è chiaro se dagli afghani che furono pastori o dai Rangers che hanno imparato dalla mafia a fare dei buoni nodi.
Uno aveva un maglione con più buchi lui di tutti i buchi che le bombe americane han¬no fatto sulle città afghane e pure sulle mon¬tagne.
Uno era magro che faceva spavento per quanto era magro.
Uno aveva le ciabatte - e ci andava per nevai - che da noi sono buone per l'estate e nemmeno tutti i giorni, che certe volte i più anziani, che sono anche i più saggi, ci mettono comunque i calzini, quelli bassi, che con il pantaloncino corto ci fanno tutta una parure. Uno aveva tutte le croste sulla faccia.
Uno purtava le scarp de tenis.
Uno era vestito di soli stracci, tanti, uno sull'altro.
Uno era giovane, troppo giovane, senza neanche un filo di barba e ho temuto per la verginità del suo culo, per quel suo essere sta¬to fra le bestie omofobiche di quello che fu descritto come il più potente esercito terrorista del mondo.
Uno aveva un cappello lercio in testa.
Uno puzzava che la puzza la sentivi fin da qua. E lo capisco: la doccia dev'essere l'ultimo dei suoi problemi adesso, ammesso che pri¬ma per il mullah Ornar farsi la doccia non fosse troppo perverso.
Uno sembrava proprio me, quando c'ho la barba lunga di giorni. A parte gli occhiali.
Questi, pochi, son quelli rimasti vivi, a portare negli occhi e nel cuore e sulla lingua l'orrore dei morti macellati a migliaia, prigionieri passati a fil di spada. Chissà come avranno fatto i macellai a distinguere afghani da ceceni e da arabi, da pakistani e da marocchini, da yemeniti e da egiziani: forse gli avranno chiesto di dire qualcosa in pashtun: ai Vespri in Sicilia, li fecero fuori così ai francesi che cercavano di mimetizzarsi tra gli indigeni, «dici 'u ciceru» e quelli, i galli, «sisero» e zacchete che lo scannavano.
E ho pure guardato le foto di quello che è davvero il più potente esercito del mondo: ra¬gazzoni salubri, odorosi, possenti, puliti, pa¬sciuti, con tute bellissime, termiche, pance piatte e sode, ray ban in guerra come al surf, avambracci di muscolatura evidente, facce rasate, a mascella dura, con tutti quei segni degli indiani lowa sul naso, sulla fronte, che incattiviscono pure, se mai ce ne fòsse bisogno. Me li ricordo in Iraq, c'avevano le tende con l'aria condizionata, nel deserto, le tende con l'aria condizionata.
Non c'era proprio partita per i taleban. E se quelli, gli straccioni, potevano pure giocare qualche inning buono, non duravano alla lun¬ga. Qualunque cronista sportivo poteva dircelo prima: non c'era proprio partita. I barboni non vinceranno mai contro una squadra di strafichi. È la legge che governa i campionati e il mondo. Ho visto pure la foto emblematica della caduta del governo dei mullah OMar:
c'era un gruppo di uomini armati, mujahed-din, stesi sul suo letto.
La presa del potere, la caduta di Kandahar, da parte dei nuovi governanti afghani è sim¬bolizzata da quel pugno d'uomini armati su un letto, il letto del mullah Ornar. Quello è il palazzo d'inverno di questa guerra: un letto. Con il materasso pure. Non c'è la bandiera rossa che sventola sul Reichstag della Berlino nazista (pure evocata spesso quest'ultima), non c'è la bandiera a stelle e strisce issata plasticamente sull'isolotto giapponese di Iwo Jima: c'è invece un pugno d'uomini stravaccati su un letto.
Avevano anch'essi, i nuovi vincitori, maglioni coi buchi, scarp de tenis, cappelli lerci; erano troppo giovani, erano magri da far spavento e puzzavano, e uno sembrava proprio me quando ho la barba lunga di giorni, a parte gli occhiali. Credo sinceramente che per quegli uomini aver conquistato un letto equivalga alla presa di un potere. Io spero proprio che se lo tengano quel letto. E pure il materasso. Gli toccherebbe e se lo sono guadagnato.
Poi, ho visto le foto del signor Karzai, con le sue belle stole di cashmere, la sua barba sottile ben curata e le mani eleganti, i suoi cappelli che deve averne una cifra e se non ci stanno attenti finirà con il mandargli in rosso il bilancio del nuovo stato, come Imelda Marcos con le scarpe, e un cappotto oversize di buona fattura comprato in fretta per venire in occidente, ho sentito il suo fluid english e c'è qualcosa - non so bene cosa - che non mi torna. Che c'azzeccano questi altri barboni, i nuovi vincitori - pure quelli che sembrano ri¬puliti con le giacche militari americane, come i nostri sciuscià del '45 -, che c'azzeccano con Karzai?
Così, mi sono detto, mo' glielo propongo a quelli della Comunità di sant'Egidio: quest'anno, il cenone di fine anno coi barboni fatelo a Kabul, coi taleban e i mujaheddin, i pashtun e gli uzbeki, con tutti quei barboni lì, con le loro scarp de tenis, le croste sulla faccia, i cappelli lerci, i tanti stracci addosso e magri da far spavento. Portategli il tacchino e le lenticchie, che ne mangino tante che ven¬gono soldi, il torroncino e il panettone, i mandarini e i datteri. Bisogna portargli tutto, lì non c'è un supermercato da assaltare come in Argentina. Le televisioni però ce le avranno presto, gliele ha promesse il sciur Berlusca, e così tra l'Hindu Kush e la valle del Panshir, e nel Bamiyan dove c'erano i Buddha fioriranno le parabole, come in tutti i paesi poveri, come in Albania, in Romania, in Tunisia, a so¬gnare gli altri mondi. Potranno guardarsi anche loro Vespa e Costanzo, letterine e quiz, la Ventura e Gasparri che litigano in diretta. A sognare questi altri mondi. Circola voce che tanti televisori sono già pronti per la Somalia e lo Yemen, per il Sudan e l'Iraq, alla faccia dell'embargo. E pure le parabole sono pronte. Tante. Ma dopo. Dopo le bombe. Tante.
Se si fa questo cenone di fine anno a Kabul, ci vengo anch'io a dare una mano ai tavoli, che c'ho pure un'esperienza. Però, ecco, non invitiamoli i Fini e i Veltroni, i Rutelli e i Scajola, i Karzai. Lasciamoli fuori, così quei barboni afghani mangiano in pace. Che mangino in pace. Poi andranno a buttarsi sul letto del mullah Ornar, tutti assieme, taleban e mujaheddin, a scorreggiare lenticchie e panettone, che la puzza quando è tutta assieme non ci fai caso più di tanto.
Dicono che a New York quest'anno ci siano in giro tanti barboni come non se ne vedevano da tempo, di più anzi: ed è l'unico dato statistico che non si riesce a far quadrare con l'il settembre, la madre di tutti i guai americani. Ma dicono siano tanti anche a Chicago e San Francisco, e che comincino a circolare a Des Moines e Saratoga. Se avessi voce in capitolo nella Comunità di sant'Egidio, inviterei pure loro a Kabul, al cenone di fine anno con taleban e mujaheddin: con tutti quei B52 ci mettono un attimo ad arrivare, da Des Moines e Saratoga. E magari, si potrebbe chiedergli di fare un salto a Cordoba e Buenos Aires, prima. Si capiranno tutti a gesti, e poi, quando stai con la testa nel piatto, ti frega poco far conversazione col vicino.
Buon anno nuovo a tutti i barboni, a tutti gli homeless del mondo. Che ovunque possano arraffare il materasso del letto del proprio mullah Ornar o la busta piena di bendidio del supermercato. Prima che ci taglino le dita. Da vivi

2011/4/3 - 20:57




Main Page

Please report any error in lyrics or commentaries to antiwarsongs@gmail.com

Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.




hosted by inventati.org