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Riccardo Venturi: Lettera alla fidanzata

GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCG
Language: Italian





Alla sig.na ***
Casalverminoso, Terra di Dürnés, 25 giugno 1990.


Ti scrivo, cara, appeso a una rupe metastatica
Che si protende astrusa su questa balza erratica
Di Casalverminoso, borgo un dì brulicante
Scomparso fra le nevi, vestito da emigrante.

Perduto ormai da tempo, da ottomila ore
Nel Mar delle Astrosfingi, Cristo Pantocratore,
Come tappo sturato da una bottiglia grigia
Facendo spola fra l’eterno e la battigia

Mi carico di vino, velluto galiziano
Lontano dal ricordo, con una pipa in mano
Strapiena di Latakia* sul precipizio umano
Pretesco rosmarino color di tuberosa.

Dardeggiano le falci dei sassi molibdeni,
M’interrogo sul piano rimbalza-reggiseni;
La spada dei tramonti si mescola alle viole
D’un roseo, impaginato Sole Ventiquattr’Ore.

Questo il paesaggio antico; cartina senza dediche
M’immagino di scrivere le lettere asfodeliche:
A denti larghi nuotano i verbi e gli aggettivi
Gettando giù la maschera dei ritmi positivi

E viene il matto ancora coi pugni stretti, lenti
A correrti sul naso, a ricontarti i denti...
"Ti amo, eppur ti amo, che mai gran pena al co-o-o-o-r"
(Liquòr multicolòr, d’amor grande pallòr)

Cervello spaventato da sindrome formale
E valuta pregiata offerta a un temporale;
Che gatto nero, lucido mi sento questa sera!
Mi sento un po’ Falloppio vestito da habanera.

Dismunto e passalento rimpinzo le mattine;
Ti scrivo, cara, ancora, strapuntacolubrine
Rivedo a poco a poco quegli attimi e le mire,
Cannone un po’ sfiatato dell’arte senza lire

Recuperasperanze d’antico gran lignaggio
Mi verso nel bicchiere tre botti di coraggio,
Ti scrivo, cara, gonfio di liquidi odorosi
Cavando dalla terra la forza dei fangosi.

Eppure soffia soffia l’avana ross’(il vento
Raggiungerà le labbra più interne, che ardimento),
La stringa già s’allaccia quella figura nera,
La quercia s’algoritma, fogliante lavandera;

Eterno spampanarsi d’occhiate fumiganti
E lagrime arcinote sui pavimenti andanti;
In cotto, θέσαυρε**, d’oro, farai fatica d’oro
A riguardar le stelle su di un viso incoloro.

Ma già si piroetta su un goffo fortunale
Terrigna la civetta del senso siderale,
Ho barba corta e baffi da Groucho Marx cristiano
Perso nell’ebraismo di questo giorno strano
Mi vendo qui ai peggiori ceffi di terza mano.


E tu dove sarai? Mi chiedo da millanta
Secondi a saliscendi (e la gallina canta),
Nel gioco degli avvolti nascosti sensi oscuri
Non butta più la fonte degl’incerti futuri

Dov’è finito il seme che biancolatte sgorga
Da questa canna rosa, prima che se n’accorga?
!Ay, qué eres hermosa!, donna al condizionale
Dall’ombelico mobile, pozzo dell’animale

E poi saremmo liberi, volando in linea interna
Mangiando brina e gelo, bevendo galaverna...
Ti scrivo, cara, in aria, ma l’alma spersa duole
Come una scarpa vecchia cui han tolto le suole.

E allora ti dirai: E il succo della vita?
E’ un succo di discesa, succo di risalita;
Da vette di Parnasi che si struggono cinici
Rimontano i miei piedi come dei casi clinici:

L’immagine è speranza e la speranza è neve,
Si scioglie e già ricade, e si riforma lieve.
Dai camposanti al mare già si ricicla in sogno
Con quella foglia morbida curvata nel bisogno,

Come riso al mortaio, la pasta scombinata
Di luce vagolante sul buio arrampicata.
E vai sicura e lenta, forse turlupinata
Durissima e tremenda, dolce ed inamidata

Ma se si fa la conta, vedrai che esce il giudice
Con la toga pulita, e labbra molto sudice;
Trascuro la facciata, mi do alle impalcature,
Sospeso tra i limoni rifò le imbiancature,

Le mensole al computer, e i muri in pietra spenti
Ai quali un bruco asfittico ha già mostrato i denti.
V’ignorano le trine, marasmi ammazzafango
Ed io che m’allontano con millelire e un tango
Ti lancio sguardi esatti, sbagliato è tutto il resto
E zapperò le nuvole finché ‘unn’è buio pesto.


Se sale la riscossa, vedrai che parapiglia
Succede, e s’arrabatta già tutta la famiglia
Già museal-decrepita, cianuro di solfuro,
Metacrilato aldeide, s’ammorba di sicuro!

Lucreziaborgia indomita, eroe son di discordia
Sublime e un po’ infocato, pien di misericordia,
Paventano le pietre futuri da neurosi
Un po’ più mollicosi, persino zuccherosi.

Ti scrivo da una vita, non ho finito ancora,
Mi piego gli avambracci da un secolo ed un’ora
Preciso come un fuso, felice dei silenzi
Io mi reinventerò come killer d'assenzi

Tu, enorme sparapetali, guardiana della legna
O Domina, t’affido quest’ultima consegna:
Ritorcimi le unghie, molesta-surrenali
Regina dei millesimi sfioranti carnevali.

Son qui su questa rupe, te lo volevo dire
Prima che il tempo corra, e che vada a sparire;
E mi ricordo un giorno, venivi a perdifiato
Ad incontrar daltonico, e un po’ terremotato

Un verdesporco esangue dai padiglioni lerci
È ora di pensarci, è ora di vederci.
Ma il fluido del passato ha invaso tutto ormai,
Rimedio ai guai sarà passar degli altri guai

E sperso tra le viti, ahimé, un dì volgerommi
A guardar senza fiato cavalli, lemmi e commi
Con fra le mani un cardo ed anche un naturàl
(Shiseido) a cavalcioni d’aurora boreàl.

Da Casalverminoso ti scrivo cara e chiudo
E infrancobollo il canto dei guardo e non m’illudo.
Ho un male millimetrico al terzo o quarto osso
E non ti posso stringere, ma forse posso, posso.



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