PJ Harvey

Canzoni contro la guerra di PJ Harvey
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PJ HarveyFrom wikipedia:

Polly Jean Harvey, born October 9, 1969 in Weymouth, Dorset is a British singer and songwriter. She has recorded as a solo artist under the name PJ Harvey, but she began her career as part of a trio (with Rob Ellis and Steve Vaughn) also named PJ Harvey. She has cultivated a reputation for eccentricity to match her music. (She purportedly lives on a diet of potatoes.)

Harvey studied sculpture at Yeovil Art College. She studied saxophone for about eight years, and played sax in her earliest bands Bologna and Automatic Dlamini.

Harvey released her debut single, "Dress" in 1991; she released her first LP Dry in 1992. (A limited edition double LP containing both Dry and the demos for Dry, called Dryer/Demonstration, was also released at this time.) She drew fire in 1991/1992 when she appeared topless on the cover of the British magazine New Musical Express; until then she had been considered unambiguously feminist.

1993 saw the release of two further albums in quick succession, Rid of Me (produced by Steve Albini) with the original trio and, later in the year, a solo-release 4-Track Demos, the 4-track demos that would become Rid of Me.

After the departure of drummer Rob Ellis, Harvey refused to sign to any of the bidding major labels, and embarked upon a solo career exploring collaborations with other musicians. To Bring You My Love (1995; produced by Mark Ellis a.k.a Flood) quickly became a staple of alternative rock. After Is This Desire? (an album that was poorly received critically and commercially) was released in 1998, Harvey reunited with her old bandmates for Stories from the City, Stories from the Sea. The album, recorded in Dorset and New York, was a big success and took the Mercury Music Prize that year. It also signified a change in mood for Polly as she sang about a seemingly new-found happiness in her life. In 2001 she topped a readers' poll conducted by Q magazine of the 100 Greatest Women in Rock Music. Her latest album, Uh Huh Her, was released May 31, 2004.

She contributed to Josh Homme's The Desert Sessions and appeared on Nick Cave's Murder Ballads (on the song "Henry Lee") and Tricky's Angels with Dirty Faces. She recorded an album Dance Hall at Louse Point with John Parish under the name Polly Jean Harvey, and has since gone on to to produce Tiffany Anders' Funny Cry Happy Gift.

Outside of the better-known musical career, Polly Jean Harvey appeared as Mary Magdalene in Hal Hartley's The Book of Life, and in the Sarah Miles-directed A Bunny Girl's Tale, and is an accomplished sculptor as well as a published poet.

On December 17, 2004, on stage in Paris, she announced that she was quitting playing live with the comment, "This is the last show I will ever play", to the audience of 350 who were attending as part of a competition.

This perhaps misheard statement was later understood to be a reference to the end of PJ Harvey's line up for that tour, and not of her career itself. PJ Harvey gigs and appearances continue.

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E' la ragazza con le mani più fredde e le labbra più calde
che io abbia mai conosciuto (Nick Cave)


E' stata generosamente ribattezzata "la nuova Patti Smith". Ma lei, Polly Jean da Weymouth (Inghilterra), ha avuto anche l'ardore di replicare: "Patti chi?". La spavalderia non può però nascondere ciò che è evidente alle orecchie di tutti: gli echi della poetessa del rock risuonano prepotenti nell'opera di PJ Harvey. Specie nel timbro della voce, scuro, intenso, piegato dalla violenza viscerale delle emozioni. Uno stile che attinge alla storia del rock e del blues, ma con un'impronta personale, questa sì, particolarmente marcata. Per sfondare, però, PJ ha avuto bisogno di effetti speciali. Non tanto sulla musica, quanto sul look. Rossetti scarlatti, mascheroni da dark lady, tute mozzafiato, gonne in finta pelle di leopardo e boa di piume l'hanno accompagnata a lungo nei suoi teatrali concerti, consacrandola femme fatale del rock d'oltremanica.

"Era solo una maschera per me - racconta Polly Jean -. Mi serviva a esorcizzare un momento molto difficile della mia vita. Ma era tutto falso, costruito. Adesso sono cambiata e sul palco mi sento me stessa, come quando vado a fare la spesa". Più ancora del look e delle pose provocanti, daranno scandalo i suoi testi: una miscela di slogan femministi, angosce religiose e storie a luci rosse, all'insegna di un'ossessiva ambiguità. Qualche assaggio, tanto per iniziare: "Ho giaciuto con il diavolo/ ho maledetto il buon Dio/ rinunciato al Paradiso/ per portarti il mio amore" (da "To Bring You My Love", il suo grande successo del 1995); oppure l'ode alla perdita della verginità di "Happy And Bleeding" (1992); e ancora "Angelene", la storia di una prostituta contenuta in Is This Desire? del 1999: "Amore per denaro e' il mio peccato/ Ogni uomo che chiama lo lascio entrare/ Rosa e bianco sono i miei colori/ Ho una bella bocca e occhi verdi". Un repertorio da cantautrice "dannata" che si rifà ai canoni di Tom Waits e, soprattutto, a Nick Cave, vero "alter ego" maschile della Harvey. Questa volta PJ non può negare: "La prima volta che ho ascoltato un suo disco avevo diciotto anni. Sono rimasta sconvolta dalle sue canzoni e non ho ascoltato altro per molto tempo. La sua musica aveva toccato alcune parti di me in modo così forte... In seguito, sono rimasta scioccata nell'apprendere che era un eroinomane". Superato lo shock, sono arrivati l'incontro tra i due, consacrato nel magico duetto di "Henry Lee" (nell'album di Nick Cave "Murder Ballads"), e - pare - una fugace relazione.

Quella di Polly Jean sembra quasi una storia "di scuola" per una rockstar in erba: una ragazzina magra e nervosa, vagamente disadattata, figlia di genitori libertini, tanto aperti di vedute verso il mondo quanto distratti nell'educazione familiare. In più, aggiungiamo la cornice "oscurantista" del Dorset, profonda campagna inglese, poco incline alle stravaganze. "Ero una ragazzina inquieta e scorbutica, che passava molto tempo da sola, a dipingere, costruire oggetti e giocare con gli animali", racconterà la stessa Polly Jean. Ed è la cultura hippy dei genitori, membri del movimento "Flower Power", ad avvicinarla alla musica. Comincia suonando il sassofono in gruppi sperimentali come Bologna e Automatic Dlamini. Poi, sceglie la chitarra e, nel 1991, forma un trio con il bassista Steve Vaughn e il batterista Robert Ellis.

Nel 1992 Harvey pubblica il suo primo album solista, Dry, diviso tra scabrose ballate stile "riot-girl" e confessioni intimiste. La protagonista delle sue canzoni è una ragazza disinibita e sessuomane, al limite della ninfomania. Il trucco è quello di colpire l'ascoltatore fin nelle viscere, subissandolo di profferte oscene e di sferragliate di chitarra, di urla e di lusinghe, di violenza e di estasi, stordendolo con un cocktail sonoro tanto ruvido e depravato, quanto, in definitiva, studiato.
Nella traccia iniziale, "Oh My Lover", allora, la provocazione è apertamente "bisex": Polly Jean brama di poter condividere il suo amante con un'altra donna (e, dietro pose finto-femministe, mira quindi apertamente ad accattivarsi il pubblico maschile...). Nel tour de force di "Sheela-Na-Gig", la ferocia dei suoni fa da cornice al ritratto irridente di una sorta di "dea della feritilità", nella conclusiva "Water" è una sensualità dolente a farsi strada. E c'è posto persino per un'ode sessuale come "Happy And Bleeding". Supportata dal bassista Stephen Vaughan e dal batterista Robert Ellis, Harvey si propone nei panni di una chanteuse torbida e rabbiosa, che sfoga nei suoi soliloqui sessuali tutte le sue insicurezze. Il disco figurerà nella lista degli "imperdibili" per diverse testate specializzate.

Il secondo album, Rid Of Me, prodotto da Steve Albini, cambia rotta, spingendosi su sentieri hard-rock e grunge. L'esito non è sempre pienamente convincente, specie quando l'ingenuo fervore di Dry si disperde nell'eccesso di foga degli arrangiamenti. Emerge quantomeno lo humour di Harvey, capace di slogan sardonici, alcuni autenticamente provocatori ("Rub 'Til It Bleeds"), altri francamente improbabili ("Douse hair with gasoline"). Non è granché d'aiuto anche il canto di Harvey, che si sgola e mugola come un'ossessa, tra lamenti, sussusurri e ululati distorti, restando però anni luce lontana dall'epos "mistico" della sua musa Patti Smith. E anche la cover della dylaniana "Highway 61 Revisited" - i cui risvolti "biblici" su amore e orrore sembrano quasi preludere agli argomenti affrontati da Harvey nel suo terzo disco - si rivela un buco nell'acqua. Ma quella di "Dry" è una rabbia capace di colpire dritto al cuore. E l'inno della title track mostra finalmente una cantautrice matura, capace di scandagliare gli abissi della disperazione con la grinta di una blues-girl di razza. Poco dopo la pubblicazione di Rid Of Me , esce una sorta di seconda versione de-albinizzata dell'album, 4-Track Demos, che include alcune tracce inedite.

La definitiva consacrazione per la cantautrice del Dorset arriva nel 1995 con To Bring You My Love, prodotto da Harvey, Flood e John Parish, in cui PJ, oltre alla chitarra, suona vibrafono, percussioni e tutte le tastiere. E' un grande successo, trascinato dalla sinistra cantilena di "Down By The Water", destinata a diventare la sua canzone piu' famosa. L'impronta di Nick Cave è profonda nella sceneggiata blues-rock acustica di "C'Mon Billy" e nel delirio psicotico di "Meet Ze Monsta". Tutto l'album è una sorta di sabba, un rituale morboso in cui Polly si abbandona senza ritegno ai suoi demoni sessuali per poi esorcizzarli. Nel frattempo la sua voce si è affinata, riesce a viaggiare su due o tre timbri diversi, a essere insieme grezza e morbida. "Ho cominciato a prendere lezioni di canto nel 1991 - ha spiegato -. La mia insegnante del Royal College di Londra ha provato a impostare la mia voce in modo classico, senza preoccuparsi del mio mestiere di rocker. Ho imparato molto cantando pezzi classici, mi ha aperto la mente".

PJ Harvey, insomma, non si ferma più, spinta dai suoi sogni ("sono cosi' intensi che non riesco a distinguerli dalla realta'") e da un'attrazione fatale per tutto ciò che è travagliato e conturbante, compresi "gli uomini con grandi problemi". Le metamorfosi e le sceneggiate alla David Bowie diventano più rare. Ma nei suoi concerti continua a brillare un istrionico talento per la danza e la mimica. Una fama crescente l'accompagna, trasformandola nell'icona di una generazione "alternative", che si nutre di fumetti pulp e di decadenza metropolitana (post) grunge. Un successo consacrato nel 1999 con Is This Desire?, classico "album della maturità", in bilico tra ballate noir, rock e techno, come il trascinante singolo "A Perfect Day Elise", che le vale anche un posticino nel palcoscenico mainstream di Mtv. Ma a dare nerbo al disco sono anche tracce come "The Sky Lit Up" (sorta di ballata smithiana condita da accenti elettronici) e la stessa dolente title-track, biascicata in un registro tremolante, carico d'intensità. Affascinata da certi risvolti più "grezzi" e cupi della techno, Harvey accentua il ruolo dei synth, rendendoli finanche funerei, come nella ballata di "The Garden", che potrebbe tranquillamente essere considerata un pezzo "dark". Is This Desire? segna il vertice del lirismo cupo della cantautrice inglese e la tappa più avanzata della sua maturazione musicale. Smussate le asperità e affinata la verbosità degli esordi, Polly Jean si presenta nei panni di una cantautrice finalmente poliedrica e completa.

Suona come una conferma, seppur parziale, anche il successivo Stories From The City, Stories From The Sea, piccolo diario del rapporto della cantautrice britannica con New York. Sono dodici canzoni che affrontano il tema del contrasto tra la metropoli americana la placida Inghilterra e che riportano PJ in una dimensione più solare, da song-writer "classica". "Il titolo si riferisce a posti fisici, ma anche mentali, nella mia testa - racconta -. Nel 1999 sono stata sei mesi a New York. Non ero familiare con il posto e mi sono scontrata con una realtà nuova, che ha innescato un processo di apprendimento. E' uno dei centri del mondo, un punto d'incontro tra gente, culture, edifici, opere d'arte... C'è una massa di energia che si trasforma artisticamente in sogno. E' molto diversa da Londra. New York è molto più terrena, la gente si lascia coinvolgere di più. Londra è più riservata e distaccata". Ne è nato un disco molto più semplice e diretto dei precedenti. Un disco fatto di canzoni sobrie, di ballate e di storie, come "This Mess We're In" (in duetto con Thom Yorke) e "Good fortune", tanto vibrante da sembrare quasi cantata da Patti Smith in persona. "Sono canzoni autonome - spiega - piccoli film con un inizio e una fine. Volevo tornare alle radici del songwriting, creando canzoni che fossero in grado di camminare da sole". Il lato oscuro di Polly Jean è invece perfettamente rappresentato dall'iniziale "Big Exit", ispirata dall'ossessione degli americani per le armi da fuoco. "Rappresenta l'altra faccia della vita della città, che non è solo creatività. Era incredibile sentire le notizie di sparatorie e morti ogni giorno. Nelle prime settimane in cui ero a New York, c'era un killer che spingeva la gente sotto i treni della metropolitana. Ha ucciso sei persone in due settimane, era spaventoso. Poi sono tornata nella campagna inglese, e quella canzone è diventata un modo per confrontarsi con la paura, come buona parte dell'album".

Finito il tempo delle canzoni-shock, frenata la libido irruenta degli esordi, è giunto il tempo della riflessione per questa esile riot-girl di campagna, cresciuta tra vacche, galline e riunioni hippy intorno al fuoco. Oggi vive in un piccolo centro sulla costa inglese, circondata da verdi colline. Frequenta solo un ristretto gruppo di amici. Dice di Londra che è troppo "frantic", frenetica.

Nel frattempo, oltre alla collaborazione con Nick Cave, ha lavorato con Tricky, Pascal Comelade e con John Parish per il progetto sperimentale Dance Hall at Louse Point (1996). Quest'ultimo rivela Harvey nei panni della blues-girl di razza ("Rope Bridge Crossing", la cover di "Is That All There Is?"), di vestale lugubre alla Diamanda Galas ("Taut"), ma anche di feroce rockeuse ("City Of No Sun", "Urn With Dead Flowers), mentre l'acustica "That Was My Veil" e la struggente "Civil War Correspondent" confermano principalmente che PJ ha un'anima.

PJ Harvey torna all'antico con Uh Hu Her (2004), un disco di crudo folk-blues che rimanda ai suoni minimali degli esordi. Polly Jean fa tutto da sola - composizione, produzione, registrazione, missaggio - e suona tutti gli strumenti, con il solo aiuto di Head come assistente al mixing e di Rob Ellis per l'esecuzione delle parti di batteria e percussioni. Ne scaturisce una raccolta di confessioni in lo-fi, attraversata da una vena rabbiosa che si manifesta più in un livore languido (le sommesse rimostranze di "Shame", le minacce sussurrate in "The Pocket Knife") che nelle scenate a luci rosse di un tempo (anche se la vecchia ninfomania torna ogni tanto ad assalire PJ, come in quel "Take the cap/ Off your pen/ Wet the envelope/ Lick and lick it" di "The Letter" che non lascia molto spazio alle interpretazioni). Harvey è maturata come musicista-strumentista; la chitarra non è più l'unica arma a sua disposizione: "It's You", ad esempio, sfoggia un bel giro di pianoforte, "Shame" un delicato sottofondo d'organo, "The Slow Drug" pulsazioni trip-hop di synth nel solco di "Is This Desire?", mentre "You Come Through" evoca persino scenari esotici, con i suoi tribalismi africani di xilofono e tastiere. Ma il disco segue sempre la solita strada maestra: un alternarsi di slanci viscerali e ballate dolenti, all'interno delle dodici battute del blues. Ed è una bluesgirl di razza quella che intona l'iniziale "The Life And Death Of Mr Badmouth", propulsa da un riff ossessivo di chitarra. La rockeuse che fa la voce grossa c'è ancora, ed è la protagonista di due degli episodi migliori della raccolta: l'hardcore smargiasso di "Who The Fuck?", lacerato dal canto distorto di Polly Jean e da tre-quattro riff al fulmicotone, e il vigoroso singolo "The Letter", quello che con "Cat On the Wall" sembra più legato all'esperienza "stoner" delle "Desert Sessions" di Josh Homme, alle quali Harvey ha recentemente partecipato. Più spesso, però, Polly Jean preferisce scivolare su un registro dimesso, imbracciando la sua chitarra acustica ("The Desperate Kingdom of Love", lieve e austera al contempo, e "The Pocket Knife", trait d'union con il folk-rock di Stories From The City, Stories From The Sea), oppure tratteggiando scarne ballate come "The End" (dedicata all'attore e musicista Vincent Gallo), "The Darker Days Of Me & Him", mesta elegia sul dopo-separazione, e "No Child Of Mine", in cui il fantasma di Patti Smith riappare due volte (vista anche la somiglianza con la sua "Ghost Dance"...). Una sequenza non priva d'interesse, ma forse troppo lunga per l'armamentario melodico di cui dispone la dark lady del Dorset. I testi sono, al solito, impregnati di un lirismo noir alla Cave, sublimato nella minacciosa "The Pocket Knife". Uh Hu Her è un'istantanea realista dell'attuale PJ: niente più trucchi, ma solo la riproposizione di un songwriting un po' autoreferenziale, che forse ha il solo torto di aver creato assuefazione nell'ascoltatore.

Nella vita di questa esile chanteuse dalla pelle bianchissima e dai capelli corvini, tuttavia, non esiste solo il rock. E' appassionata d'arte ("a Londra - dice - passo quasi tutto il tempo nelle gallerie") e si cimenta con la scultura: "E' il mio hobby fin dai tempi del college. Vado a raccogliere materiali sulla spiaggia e poi li utilizzo per costruire qualcosa; è solo un gioco, niente di concreto". L'amore per l'arte figurativa lascia tracce anche nelle sue canzoni: "Il mio metodo di scrittura è fortemente influenzato dalle immagini. Mi immedesimo in un ruolo o in una situazione, come in un film, e poi li metto in musica. Certe volte mi ispiro anche alle foto che scatto". Il suo debito con il cinema PJ Harvey l'ha già saldato. Con una breve apparizione nel corto di Sarah Miles "A Bunny's Tale", e con l'interpretazione di Maria Maddalena nel film "The Book Of Life", di Hal Hartley. Nella pellicola, versione moderna della storia di Cristo, Maddalena è la compagna e la guardia del corpo di Gesu'. "E' stata un'esperienza straordinaria - racconta - e mi ha aiutato a trovare nuovi stimoli per le canzoni; dopo le riprese avevo sempre qualcosa da scrivere e da trasformare in musica. Ora mi piacerebbe comporre una colonna sonora per un film". Fino a qualche anno fa, sarebbe stato un film porno; ora, potrebbe essere anche un noir di David Lynch.

da Ondarock