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Il Pescatore

Fabrizio De André
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OriginaleLa versione annotata di Riccardo Venturi nel suo kelartico.
IL PESCATORETO PESKEDĀR
  
All'ombra dell'ultimo soleIn to skŏt na to īl sendār [1]
s'era assopito un pescatoreKe ingedārd ‘no peskedār
e aveva un solco lungo il visoYa k’eno zung ilăng to gsīk
come una specie di sorriso.Kak’eno sord na moutevīk. [2]
  
Venne alla spiaggia un assassino,Dŭlevā ad trānde ‘no seiktār
due occhi grandi da bambino,Săm dŭ āk mād ko polindār, [3]
due occhi enormi di paura,Dŭ āk pelăn săm vrigadūr
eran lo specchio d'un'avventura.Veră to stāglo n’avondūr.
  
E chiese al vecchio, Dammi il pane,Pocvā la to syēn: Mă dāi trŭn
ho poco tempo e troppa fame,Mă sī zmān fok ya keume pŭn
e chiese al vecchio, Dammi il vino,Pocvā la to syēn: Mă dāi gvĭn
ho sete e sono un assassino.Sām ‘no seiktār ya sām helĭn.
  
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno,To syēn eknyigvā ākāi la t’dyāv
non si guardò neppure intornoNiep adnămeirvā la lenturāv
ma versò il vino e spezzò il paneNo cutvā trŭn ya veuvā gvĭn
per chi diceva, Ho sete, ho fame.La’no syedāyne sām pŭnhelĭn. [4]
  
E fu il calore di un momento,To vesā gorăm nă momānd
poi via di nuovo verso il vento,Din go nāveme ad to vānd
davanti agli occhi ancora il sole,Enŭm ākāi zyis’ īl sendār,
dietro alle spalle un pescatore.Urmut muplāi ‘no peskedār.
  
Dietro alle spalle un pescatore,Urmit muplāi ‘no peskedār
e la memoria è già dolore,Ya to mēn sī sya duldār
è già il ricordo di un aprileSī sya to părme nă’no avrīl
giocato all'ombra d'un cortile.Gelŭeg in to skŏt nă kurcīl.
  
Vennero in spiaggia due gendarmi,Addŭlevār to zyandarmāi, [5]
vennero in sella con le armiDŭlevār gemont săm ablāi
e chiesero al vecchio se, li' vicino,Pocvār la to syēn mārra gegvār
fosse passato un assassino.Păr to lenturāv eno seiktār.
  
Ma all'ombra dell'ultimo soleDar in to skŏt na to īl sendār
s'era assopito un pescatoreKe ingedārd ‘no peskedār
e aveva un solco lungo il visoYa k’eno zung ilăng to gsīk
come una specie di sorrisoKak’eno sord na moutevīk.
  
e aveva un solco lungo il visoYa k’eno zung ilăng to gsīk
come una specie di sorriso.Kak’eno sord na moutevīk.
Note

[1] Sendār significa alla lettera “tardivo”
[2] Per questioni di rima ho usato qui moutevīk “ghigna, smorfia”. Il termine proprio per “sorriso” sarebbe hamyēlo.
[3] Anche qui per questioni di rima ho usato polindār, propriamente “pulcino”.
[4] Il k. possiede la caratteristica di poter formare i cosiddetti “aggettivi ricapitolativi”: a partire da una “coppia” di cose o qualità si può formare un aggettivo unico. Così da pŭn “fame” e hel “sete” si può formare l’aggettivo pŭnhelĭn “affamato e assetato”.
[5] Qui i gendarmi, da due sono diventati genericamente “i gendarmi” (senza specificazione del numero). In k. dopo un numerale cardinale si mette obbligatoriamente il singolare, come fosse *due gendarme (il plurale è già nel numero!), cioè dŭ zyandarăm: sarebbe quindi saltata la metrica.


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