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Mi 'nni vaju 'nta la luna

Ciccio Busacca
Lingua: Siciliano


Lista delle versioni e commenti


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Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali
(Ciccio Busacca)
L’emigranti e la valigia
(Marilena Monti)


[1971]
Scritta da Ciccio e Concettina Busacca
Written by Ciccio and Concettina Busacca
Prima pubblicazione e incisione:
First published and recorded:
1972 - 45 Dischi del Sole LR 45/18
Mi 'nni vaju 'nta la luna / Comu canciari stu mundu
cicciu

Storia di Ciccio (che andò sulla Luna con una 600 Multipla)
di Riccardo Venturi.

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Francesco Busacca, detto Ciccio (o meglio, Cicciu), nato a Paternò in provincia di Catania il 15 febbraio 1925, girava la Sicilia, anche nei paesi più sperduti e dimenticati, a bordo della sua vecchia Fiat 600 Multipla col tetto apribile. A bordo aveva poche cose: un paio di chitarre, delle corde di ricambio e il tabellone che illustrava le storie che raccontava in musica. I disegni se li faceva da sé; le storie, a volte, le scriveva assieme alla sorella Concettina. Era un cantastorie, ma non di quelli come oggi si compiacciono (spesso a sproposito) di essere definiti e di autodefinirsi non pochi cantautori. Era un cantastorie di quelli veri, nati nelle campagne di un qualche mondo, e che andavano di paese in paese a raccontare storie vere, “fatti e fattacci” avvenuti a un chilometro di distanza o agli antipodi. Nel mondo rurale (ma, non di rado, anche nelle città) avevano funzione di vero e proprio “giornale cantato”, anche se il “giornalismo” che esercitavano era quello che oggi chiameremmo di bassa lega, da “Cronaca Vera”; ma, in alcuni casi, sviluppavano una passione per la narrativa e per la denuncia civile che li innalzavano a poeti e cantori popolari. Ciccio Busacca era uno di questi; possedeva inoltre, caso non frequente, una grande sensibilità musicale.

Dopo aver ascoltato nella prima gioventù i più grandi cantastorie di Paternò, Paolo Garofalo e Gaetano Grasso, ed averne appreso l'arte, nel 1951 esordì cantando e rappresentando, nella piazza di San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, la storia dell'Assassinio di Raddusa. Era la storia, del tutto vera, di una ragazza di diciassette anni che si era vendicata dell'uomo che l'aveva violentata, avvicinandolo nella piazza del paese travestita da donna anziana e pugnalandolo. La Sicilia degli anni '50 era ribollente di grandi ed esperti cantastorie (Orazio Strano, Turiddu Bella, Vito Santangelo, Matteo Musumeci, “Ciccio Rinzinu” ed altri); il giovanissimo Busacca, poco più che venticinquenne, divenne una stella grazie alla sua bravura. La sua fama arrivò talmente lontano che, nel 1956, debuttò al Piccolo Teatro di Milano con uno spettacolo intitolato Pupi e cantastorie di Sicilia. Nel 1957, a Gonzaga (MN), vinse il primo premio come “Trovatore d'Italia” conferito dall'AICA, l'Associazione Italiana Cantastorie Ambulanti; e ad “ambulare” Busacca continuava, nonostante l'autentica fama raggiunta.

Negli anni che verranno incontrerà un grande poeta: Ignazio Buttitta. Da questo incontro scaturirà la composizione più famosa di Busacca, il Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali, su versi di Buttitta dedicati alla storia di un sindacalista socialista, Salvatore Carnevale, ucciso dalla mafia nel 1955. Negli anni '70 ebbe una famosa esperienza teatrale con Dario Fo, partecipando allo spettacolo di canzoni popolari Ci ragiono e canto; lo si sentiva non di rado anche in radio, e lo si vedeva alla televisione.

Con la fine degli anni '70, il periodo di interesse nei confronti dei cantastorie popolari (e anche dei cantautori che cantastorie popolari non erano) iniziò inesorabilmente a declinare; si preparavano i funesti anni '80. Ciò non corrispose però affatto a un declino artistico di Busacca e degli altri cantastorie siciliani, che però dovettero letteralmente soccombere alla diffusione della televisione e degli altri mezzi di comunicazione di massa. Non era la fine soltanto dei cantastorie (tra i quali sopravvive, forse, il solo Franco Trincale) ma di un'intera civiltà che, nelle sue forme (tra le quali la diffusione orale delle notizie in musica attraverso l'attività dei cantastorie), era sopravvissuta per secoli. Le notizie di cronaca, oramai, arrivavano alla gente direttamente dai teleschermi, senza nessuna “mediazione” poetica; i cantastorie erano relitti di un passato millenario. Ciccio Busacca muore a Busto Arsizio, in Lombardia, l'11 settembre 1989.

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Eppure, non erano passati molti anni dal 1971 quando voleva andare sulla Luna, anche lui. Magari, chissà, a bordo della 600 Multipla che aveva ancora. Erano anni, quelli, in cui la Luna andava parecchio di moda; solo due anni prima, nel luglio del 1969, l' Uomo vi aveva posto piede per la prima volta. “Un piccolo passo per me, un grande passo per l'umanità”, aveva detto Neil Armstrong; vi erano state poi le altre spedizioni “Apollo”. Ci mise abbastanza poco, però, a passare di moda la Luna; nel 1972, con l'ultimo viaggio dell'Apollo 17, non se ne parlò più. In quei pochi anni, però, sulla Luna ci volevano andare tutti; e allora, pensò Ciccio Busacca dalla sua 600 Multipla, perché non andarci a lavorare addirittura? Perché non emigrarci? E fu così che, invece di raccontare un fatto di cronaca, in questa canzone che fu pubblicata in un 45 giri dei “Dischi del Sole” (la Luna e il Sole nello stesso disco, verrebbe da dire...) Busacca portò i siciliani e tutti i Sud del mondo sulla Luna. Mica roba da due soldi!

Ce li portò però, sulla Luna, nelle forme usuali dell'emigrante. Mica con l'astronave supercomputerizzata della NASA, che sbarcò sulla Luna guidata da un “cervello elettronico” che aveva la potenza di un attuale telefonino in vendita a 20 euro al supermercato. No, ce li portò con le valigie, senz'altro legate con lo spago anche se la canzone non lo dice. Ce li portò, naturalmente, a far fortuna; parola che, inesorabilmente, fa la rima con “luna” e ci dev'essere. Ce li portò a far soldi, sulla Luna, alla stessa maniera di come se ne andavano a Torino, in America o in Australia. Ce li portò a lavorare in condizioni finalmente giuste, perché -come è arcinoto- sulla Luna si lavora, si guadagna e non c'è nessuno che batte la fiacca. Ce li portò coi canti della propria terra, come dubitarne? Sulla Luna non poteva mica risuonare soltanto la lingua barbarica degli astronauti (anche se sembra che, a un certo punto, uno di loro -forse lo stesso Armstrong, non ricordo- abbia esclamato “Mamma mia!” in italiano, chissà perché); ci volevano anche Vitti 'na crozza e, perché no, anche la storia della ragazza che aveva accoltellato il suo stupratore e quella del sindacalista ammazzato dai mafiosi. E sulla Luna, poi, non c'è nessuno che comanda (forse, chissà, ci avrà trovato anche il conterraneo Alfonso Failla, magari assieme a qualche cavatore di Carrara; chissà quanto marmo ci dev'essere sulla Luna, senza che te lo vengano a prendere le multinazionali). Sulla Luna non ci sono ladroni, ma non esistono nemmeno giudici e tribunali; e non ci sono re, presidenti, stati e ministri. Non c'è la burocrazia. Non c'è la guerra. C'è la vera libertà.

È, me lo si lasci dire, una canzone straordinaria. Ho un ricordo, seppure sbiadito e di ragazzino, di quegli anni della Luna. Anche noi si giocava, alle scuole elementari, a immaginare che cosa avremmo fatto sulla Luna; avevamo passato anche la fase del “voler fare l'astronauta”. Eravamo già astronautati e ci trovavamo già in piena Luna a voler fare, magari, gli elettricisti. O gli ingegneri. O gli operai lunari. E' così che, senza saperlo, abbiamo incontrato tutti quanti Ciccio Busacca, che sulla Luna c'era naturalmente già andato assieme a mezza Sicilia. Girava per il Mare della Tranquillità (che, credo, fosse in provincia di Siracusa) a bordo di una Fiat 600 Multipla, e raccontava storie cantandole.
Vi saluto cari amici
partu 'n cerca di fortuna
aju pronti li valigi
mi 'nni vaju 'nta la luna

'Nta la luna ,'nta la Luna
'nta la luna si travagghia
nun c'è nuddu ca varagghia
li dinari fazzu 'ddà

'Ddà ci portu tutti i canti
di la bedda terra mia
ca sù tutti puisia
e li fassu pazzià

'Nta la Luna, 'ntà la Luna
nun c'è nuddu ca cumanna
nun ci sunu 'sti latruna
nun esisti la cunnanna

Nun ci sunu 'sti rignanti
nun ci sunu 'sti ministri
nun c'è carta nè registri
tutti uguali semu 'ddà

Semu 'ddà tutti patruna
pirchì è libera la terra
nun c'è nuddu ca fa guerra
c'è la vera libirtà
c'è la vera libirtà
c'è la vera libirtà

inviata da Riccardo Venturi - 14/1/2013 - 02:07




Lingua: Italiano

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
14 gennaio 2013

louksna
ME NE VADO SULLA LUNA

Vi saluto, cari amici,
parto in cerca di fortuna.
Ho già pronte le valigie,
me ne vado sulla Luna.

Sulla Luna, sulla Luna,
sulla Luna si lavora,
non c'è nessuno che sbadiglia,
i quattrini ci faccio, là.

Là ci porto tutti i canti
della bella terra mia,
che son tutti poesia
e li faccio divertire

Sulla Luna, sulla Luna
non c'è nessuno che comanda,
non ci sono 'sti ladroni
non esiste la condanna

Non ci sono 'sti regnanti,
non ci sono 'sti ministri,
non c'è carta né registri,
tutti uguali siamo là

Là siamo tutti padroni
perché libera è la terra,
non c'è nessuno che fa la guerra,
c'è la vera libertà
c'è la vera libertà
c'è la vera libertà.

14/1/2013 - 03:53




Lingua: Francese

Version française – SUR LA LUNE – Marco Valdo M.I. – 2 013
d'après la version italienne de Riccardo Venturi
d'une chanson sicilienne – Mi 'nni vaju 'nta la luna – Ciccio Busacca -1971
Écrite par Ciccio e Concettina Busacca

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Histoire de Ciccio (qui alla sur la Lune en 600 Multipla)
de Riccardo Venturi.

Francesco Busacca, dit Ciccio (ou mieux, Cicciu), né à Paternò en province de Catane le 15 février 1925, parcourait la Sicile, jusque dans les villages plus isolés et oubliés, à bord de sa vieille Fiat 600 Multipla avec son toit ouvrant. À bord il avait peu de choses : une paire de guitares, des cordes de rechange et le panneau qui illustrait les histoires qu'il racontait en musique. Les dessins il les faisait lui-même ; les histoires, parfois, il les écrivait avec sa sœur Concettina. C'était un aède, un chantauteur , un vrai, un de ceux-là, nés dans les campagnes du monde, qui allaient de village en village raconter des histoires véridiques, « des faits et des faits divers » qui s'étaient produits à un kilomètre ou aux antipodes. Dans le monde rural (mais, pas seulement, dans les villes aussi), ils faisaient fonction de véritable « journal chanté », même si le « journalisme » qu'ils exerçaient était ce qu'aujourd'hui nous appellerions un journalisme de bas étage, des « Faits-divers » ; mais, parfois, ils développaient une passion pour le récit et pour la dénonciation civile qui les élevait au rang des poètes et des chantres populaires. Ciccio Busacca était un de ceux-ci ; il possédait en outre, cas pas fréquent, une grande sensibilité musicale.

Après avoir écouté dans sa prime jeunesse les plus grands aèdes de Paternò, Paolo Garofalo et Gaetano Grasso, et en avoir appris l'art, en 1951, il commença en chantant et en représentant, sur la place de San Cataldo, en province de Caltanissetta, l'histoire de l'Assassinat de Raddusa. C'était l'histoire, entièrement vraie, d'une fille de dix-sept ans qui s'était vengée de l'homme qui l'avait violée, en l'approchant sur la place du village déguisée en femme âgée et en le poignardant. La Sicile des années 50 était remplie d'aèdes grands et experts (Orazio Strano, Turiddu Belle, Vito Santangelo, Matteo Musumeci, « Ciccio Rinzinu » et autres) ; le très jeune Busacca, à un peu plus de vingt-cinq ans, devint une étoile grâce à son habileté. Sa renommée le mena tellement loin qu'en 1956, il débuta au Petit Théâtre de Milan avec un spectacle intitulé Pupi et aèdes de Sicile. En 1957, à Gonzaga (MN), il conquit le premier prix de « Trouvère d'Italie » conféré par l'AICA, l'Association Italienne des Chantauteurs Ambulants ; et à « ambuler » Busacca continuait, malgré son authentique renommée.

Dans les années qui suivirent, il rencontra un grand poète : Ignazio Buttitta. De cette rencontre, jaillira la composition la plus fameuse de Busacca, Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali, sur des vers de Buttitta dédiés à l'histoire d'un syndicaliste socialiste, Salvatore Carnevale, tué par la mafia en 1955. Dans les années 70, il connut une célèbre expérience théâtrale avec Dario Fo , en participant au spectacle de chansons populaires Ci ragiono e canto; on l'entendait souvent même à la radio, et on le voyait à la télévision.

Avec la fin des années 70, la période d'intérêt dans les joutes de chantauteurs populaires (et même des chantauteurs qui n'étaient pas populaires) commença inexorablement à décliner ; les funestes années 80 s'annonçaient. Cela ne correspondit cependant pas du tout à un déclin artistique de Busacca et des autres chantauteurs siciliens, qui cependant durent littéralement succomber à la diffusion de la télévision et des autres moyens de communication de masse. Ce n'était pas la fin seulement du chantauteur (parmi lesquels survécut, peut-être, le seul Franco Trincale) mais d'une civilisation entière qui, dans ses formes (parmi lesquelles la diffusion orale des nouvelles en musique à travers l'activité du chantauteur), avait traversé les siècles. Les faits-divers, maintenant, arrivaient aux gens directement des écrans de télévision, sans aucune « médiation » poétique ; le chantauteur était une épave d'un passé millénaire. Ciccio Busacca meurt à Busto Arsizio, en Lombardie, le 11 septembre 1989.

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Pourtant, il ne s'était pas passé beaucoup d'années depuis 1971, quand il voulait aller sur la Lune, lui aussi. Peut-être, peut-être, à bord de sa 600 Multipla qu'il avait encore. C'étaient des années durant lesquelles la Lune était fort à la mode ; seulement deux ans auparavant, en juillet 1969, l'Homme y avait posé le pied pour la première fois (Allez, Merckx!, dit Lucien l'âne en riant). « Un petit pas pour moi, un grand pas pour l'humanité », avait dit Neil Armstrong ; il y eut ensuite les autres expéditions « Apollo ». Elle mit assez peu de temps, cependant, pour passer de mode la Lune ; en 1972, avec le dernier voyage d'Apollo 17, on n'en parla plus. Durant ces quelques années cependant, ils voulaient tous y aller sur la Lune; et alors, pensa Ciccio Busacca dans sa 600 Multipla, pourquoi ne pas y aller travailler moi aussi ? Pourquoi ne pas y émigrer ? Et ce fut ainsi que, au lieu de raconter un fait-divers, dans cette chanson qui fut publiée dans des 45 tours des « Disques du Soleil » (Lune et le Soleil sur le même disque, dirait-on…) Busacca emmena les Siciliens et tous les Sudsdu monde sur la Lune. Pas tout à fait une affaire de quatre sous !

[ Incise de Lucien l'âne : Trenet disait :
Le soleil a rendez-vous avec la lune
Mais la lune n'est pas là et le soleil l'attend
Ici-bas souvent chacun pour sa chacune
Chacun doit en faire autant
La lune est là, la lune est là
La lune est là, mais le soleil ne la voit pas
Pour la trouver il faut la nuit
Il faut la nuit mais le soleil ne le sait pas et toujours luit
Le soleil a rendez-vous avec la lune
Mais la lune n'est pas là et le soleil l'attend
Papa dit qu'il a vu ça lui...]


Il les y mena cependant, sur la Lune, dans les formes usuelles de l’émigration. Pas du tout avec l'astronef superinformatisé de la NASA, qui débarqua sur la Lune guidé par un « cerveau électronique » qui avait la puissance d'un portable actuel en vente à 20 euros au supermarché. Non, il les y mena avec leurs valises, sans doute liées avec de la ficelle – même si la chanson ne le dit pas. Il les mena, naturellement, faire fortune ; mot qui, inexorablement, a sa rime avec « lune » et ce doit être ainsi. Il les mena faire de l'argent, sur la Lune, de la même manière qu'on allait à Turin, en Amérique ou en Australie. Il les mena travailler à des conditions finalement justes, car – comme il est notable – sur la Lune on travaille, on gagne et il n'y a personne qui est forcé. Il les mena avec les chants de sa terre, comment en douter ? Sur la Lune ne pouvait pas résonner seulement la langue barbare des astronautes (même si il semble que, à un certain point, un d'eux – peut-être même Armstrong, je ne me rappelle pas lequel, s'est exclamé « Mamma mia ! » en italien, qui sait pourquoi) ; on y voulait même Vitti 'na crozza et, pourquoi pas, même l'histoire de la fille qui avait poignardé son violeur et celle du syndicaliste tué par les mafieux. Et sur la Lune, ensuite, il n'y a personne qui commande (peut-être, qui sait, y aura-t-il trouvé même son compatriote Alfonso Failla, peut-être avec un carrier de Carrare ; qui sait combien de marbre y doit y avoir sur la Lune, sans que ne viennent le prendre les multinationales). Sur la Lune, il n'y a pas de voleurs, n'existent même pas les juges et les tribunaux ; et il n'y a pas de roi, de présidents, d'états et de ministres. Il n'y a pas de bureaucratie. Il n'y a pas la guerre. Il y a la vraie liberté.

C'est, qu'on me le laisse dire, une chanson extraordinaire. J'ai un souvenir, toutefois décoloré et de gamin, de ces années de la Lune. Nous aussi on jouait, à l'école primaire, à imaginer ce que nous aurions fait sur la Lune ; nous avions dépassé la phase de « vouloir faire l'astronaute ». Nous étions déjà des astronautes et nous nous trouvions déjà sur la Lune à vouloir faire, peut-être, les électriciens. Ou les ingénieurs. Ou les ouvriers lunaires. C'est ainsi que, sans le savoir, nous avons rencontré tous Ciccio Busacca, qui sur la Lune naturellement y était déjà allé avec la moitié de la Sicile. Il parcourut la Mer de la Tranquillité (qui, je crois, était en province de Syracuse) à bord d'une Fiat 600 Multipla, et racontait des histoires en les chantant.

Voilà donc une chanson mon bon Lucien l'âne qui devrait te plaire au plus haut point et qui devrait te rappeler ta jeunesse, du temps où tu étais toi-même un des premiers écrivains de l'Histoire... N'essaye pas de nier que tu fus un temps Lucien à Samosate, dans ce qui est aujourd'hui la Syrie. Lieu où se déroule encore un des ces grands massacres, dont sont coutumières ces régions du côté ,du Pont-Euxin; là-bas aussi, le prix de la connerie en graine est en train de monter . Et fameusement … Nul ne sait à quelles hauteurs astronomiques il va s'arrêter. Que tu fus déjà Lucien et que tu écrivis cette Histoire véritable qui inspira Cyrano et Voltaire et le bon Jules Verne – entre autres. Ne rabats pas tes oreilles par timidité ! Ne fais pas ta Modestine !

Je ne fais pas ma Modestine, dit Lucien l'âne en rougissant à travers son poil noir comme les rejets de l'Etna et les maisons de Catane. Et peut-être même que ce Lucien de Samosate ne fut pas le premier à relater un voyage dans la Lune. Tu sais bien comme moi que la Lune a toujours attiré les poètes. Quant à ce qui s'est passé en 1969, on n'est pas sûr du tout que le fameux « petit pas » d'Armstrong ait été réellement dit ce jour-là... On raconte que le brave Armstrong, Neil de son prénom, aurait tout simplement dit : « Good luck, Mr Gorsky ». En français : « Bonne chance, Monsieur Gorsky ! ». Certains avaient cru entendre Trotsky ou quelque chose du genre... Ce qui préoccupa beaucoup les services secrets étazuniens. Le fait est qu'à son retour sur Terre, Neil Armstrong ne voulut pas s'expliquer sur ces étranges propos. Motus et bouche cousue pendant 30 ans. Et pourtant la question revenait à tout bout de champ. La Lune a toujours, comme tu vois, mon ami Marco Valdo M.I., engendré des légendes quelque peu cryptographiques...


De fait, mais tu sais dans ce cas, Lucien l'âne mon ami, on en a su un peu plus le jour où Neil Armstrong lui-même levé le voile sur cette affaire. Ce n'est qu'en 1995, lors d’une conférence de presse à Tampa, qui comme on sait est une ville en Floride, qu'Armstrong a dévoilé le mystère. Il pouvait enfin parler sans mettre dans l'embarras le mystérieux Monsieur Gorsky, qui venait de décéder. Voici donc l'élucidation du mystère et comme on le verra, elle est assez juteuse.
Quand il était enfant, Neil Armstrong, par un bel après-midi d'été, jouait à la balle avec un ami dans la cour de l'immeuble où résidait sa famille. La balle finit sur la terrasse de la chambre à coucher des résidents du rez de chaussée... Les Gorsky.
Neil courut rechercher la balle et en la ramassant, il entendit Madame Gorsky, très en colère et d'une voix plus qu'indignée, dire à Monsieur Gorsky « Une pipe ? Tu veux une pipe ? Je te ferai une pipe quand le gosse des voisins marchera sur la Lune ! ». Pauvre Monsieur Gorsky ! Mais quelle délivrance vingt ans après... On n'a d'ailleurs jamais su ce qui était advenu de la promesse... S'est-elle réalisée ? Dans le fond, à son retour de la Lune, Neil Armstrong aurait dû s'en enquérir auprès de Monsieur Gorsky. Peut-être l'a-t-il fait, mais il n'en a rien dit et maintenant qu'il est lui aussi décédé... On ne le saura donc jamais.

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Et puis, si j'en crois le peintre hainuyer René Magritte qui disait à propos de son tableau « Ceci n'est pas une pipe ! » : « La fameuse pipe, me l’a-t-on assez reprochée ! Et pourtant, pouvez-vous la bourrer ma pipe ? Non, n’est-ce pas, elle n’est qu’une représentation. Donc si j’avais écrit sous mon tableau « ceci est une pipe », j’aurais menti ! ». Ah, dit Lucien l'âne très troublé et pensif, les manières des humains me stupéfieront toujours... Nous les ânes, on ne fait pas tant d'histoires, surtout pour une malheureuse pipe ! Oh, Marco Valdo M.I. mon ami, trucidons ce vieux monde plein d'ecclésiastiques, pudibond, menteur, dissimulateur et décédément, cacochyme.

Heureusement !

Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
SUR LA LUNE

Je vous salue, chers amis,
Je pars chercher fortune.
J'ai déjà prêtes mes valises,
Je m'en vais sur la Lune.

Sur la Lune, sur la Lune,
Sur la Lune on travaille,
Il n'y a personne qui bâille,
On y fait des sous, sur la Lune.

Tous les chants de vie
de ma belle terre ,
Qui sont tout de poésie
et je m'en vais les divertir.

Sur la Lune, sur la Lune
Il n'y a personne qui commande,
Ces foutus voleurs n'y sont pas
La condamnation n'existe pas

Ces foutus dirigeants n'y sont pas
Et n'y sont pas ces foutus ministres,
Il n'y a ni papiers ni registres,
Nous sommes tous égaux là-bas.

Là nous sommes tous nos maîtres
Car là-bas, la terre est libre
Personne n'y fait la guerre,
C'est la vraie liberté
C'est la vraie liberté
C'est la vraie liberté.

inviata da Marco Valdo M.I. - 16/1/2013 - 20:48


Sı, ma si s'ha a travagghiàri puru 'nta luna stamu frischi..
'Un b'aviti a siddiàri ma allura vogghju varagghjàri ccà..

giorgio - 14/1/2013 - 09:24


PS: Varagghiari significa proprio sbadigliare.

Bonanotti a tutti! :)

giorgio - 14/1/2013 - 09:24


E io, naturalmente, ho corretto la traduzione con "sbadigliare". Ancora ne devo fare di strada col siciliano, mi sa... :-P

Riccardo Venturi - 14/1/2013 - 23:17


No, Riccardo. In questo contesto "poltrire" poteva andare benissimo. (Il senso è: "non c'è nessuno che si annoia"). Mi riferivo alla traduzione 'letterale' del verbo, a ragione delle mie considerazioni da scansafatiche, lavoro-riluttante, scapatravaichemirivu, natostanco, etc. :-))
Cari saluti!

giorgio - 15/1/2013 - 09:53


Leggendo delle tue caratteristiche, Giorgio, mi domando se per caso non siamo fratelli o, quantomeno, cugini... :-)))

Riccardo Venturi - 15/1/2013 - 11:36


Credo però, alla fine, che entrambi sgobberemo di più di quanto gli altri non credano..
Ma - geograficamente - "l'eccezione" (che, al suo solito, conferma la regola) sei tu, caro Riccardo:
noi terroni abbiamo addirittura la "fama" (affibbiataci da chi non gli bastava mai) e magari siamo, e abbiamo saputo essere, anche laboriosissisimi. Tant'è che, odiati o ben accetti, pretesi o vilipesi, siamo - di fatto - in tutto il globo terracqueo..
Sei sicuro di non avere, per caso, un po' di sangue terrone anche tu? :-)

giorgio - 15/1/2013 - 14:27


Beh, come sai io vengo in gran parte dall'Isola d'Elba, e sono solito ricordare che, quand'ero ragazzino sull'Isola, anche nella piana di Campo giganteggiavano dei gran tabelloni che indicavano interventi strutturali finanziati dalla famosa "Cassa per il Mezzogiorno"! :-)
Quindi l'Elba era considerata Terronia, e a mio parere Terrone sono un po' tutte le isole. Anche in Islanda ho riscontrato a suo tempo componenti terroniche rispetto agli altri popoli nordici.
Nel mio caso specifico, poi, si aggiungono senz'altro componenti "ideologiche", vale a dire di critica feroce nei confronti della cosiddetta "civiltà del lavoro"; mi chiedo a tale riguardo se tu abbia mai letto il "Manifesto contro il lavoro" del gruppo Krisis, di cui potresti opportunamente approntare una traduzione in siciliano :-)
Qui ci stanno gabellando il "diritto al lavoro"; io sostengo, invece, il "diritto al non-lavoro". Diritto e dovere!
Saluti cari...perché ora debbo uscire e andare, ohimè, a lavorare. Che du' coglioni!

Riccardo Venturi - 15/1/2013 - 15:49


Verissimo che un po' tutti gli isolani siano più "terroni" di quelli continentali: nessuno sa questo quanto e meglio dei siciliani.
Quanto alla traduzione del celebre Manifesto Krisis , è un’impresa, a dir poco, titanica, considerando la sua bella estensione (che è quasi pari a quella del Manifesto di Marx e Engels del '48), e che io, per adesso, non riesco a trovare neanche il tempo per tradurre una canzoncina. Chissà che non mi riesca di provarci prima o poi. Credo comunque che i siciliani (ormai italianizzati a sufficienza) riusciranno, per più ragioni, a comprenderlo bene lo stesso.

Non ti auguro, ovviamente, "buon lavoro", ma tanto otium e tanti bagordi (però senza eccedere..:)

Buona giornata!

giorgio - 17/1/2013 - 09:08


GIORGIOOO!!!
Ma che fine hai fatto?!?
Turna cu nuàutri!!!

Bernart Bartleby - 9/4/2015 - 17:10




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