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La ballata dell'emigrante

Collettivo Teatro Folk
Language: Neapolitan


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Le Travailleur
(Marco Valdo M.I.)
Valse jaune
(Boris Vian)


1977
Io pezzente contadino
pezzente1
pezzente2

La prima emigrazione italiana su vasta scala fu quella degli anni del "Secondo Impero",in seguito allo sviluppo del sistema capitalistico e della grande industria,negli stessi anni nei quali fu realizzata l'unità d'Italia:un vero e proprio esodo verso i paesi del nord Europa e transoceanici.Il grande flusso migratorio che dissanguò il Mezzogiorno d'Italia di milioni di lavoratori,oltre che di intelligenze e di capacità tecniche,fu un dramma non soltanto umano,ma anche politico,voluto da un' "intelligentia" politica conservatrice e classista.La nuova politica giolittiana di neutralizzazione del movimento operaio settentrionale e di inserimento delle forze di opposizione nella ragnatela del sistema,comportò una netta e funzionale discriminazione ai danni delle masse popolari del Sud,i cui moti di classe furono barbaramente repressi.I ceti popolari furono programmaticamente emarginati dalla partecipazione alla vita politica e alla direzione del paese,il Sud,in relazione al nuovo sviluppo capitalistico dell'economia nazionale,fu costretto a contribuire alle fortune economiche della borghesia settentrionale e dello stato,sia attraverso l'allentamento della pressione popolare e l'apporto finanziario resi possibili proprio grazie al fenomeno dell'emigrazione,sia mediante il consenso politico agli indirizzi dei gruppi egemoni da parte dei ceti dominanti meridionali.Al di là della speranza di una vita diversa,di una condizione umana migliore,in altri paesi,tra altra gente,fu l'impossibilità a reggere un'esistenza senza prospettive e senza futuro nella propria terra che spinse le masse meridionali ad abbandonare i paesi,le campagne,le montagne.L'emigrazione non fu una libera scelta ma una soluzione obbligata riguardo ad un problema economico-sociale nonché esistenziale,intollerabile e altrimenti irresolubile.Ininterrottamente,anno dopo anno,dalla fine dell'ottocento in poi,milioni di lavoratori e intelligenze del Sud partirono:non trattenuti,ma incoraggiati dallo Stato.Se da un lato la maggior parte degli emigrati italiani venne utilizzata come forza-lavoro dalla nascente industria,d'altra parte questa emigrazione,nei suoi aspetti indubbiamente minori ma anche più vistosi e senza dubbio essenziali al fine della creazione degli stereotipi,trovò sbocco in una miriade di mestieri minori che si esplicavano ai margini della produzione capitalistica.Accanto ai mestieri usuranti e pericolosi troviamo i caurarai(di Agnone Cilento),i piccoli spazzacamini,i cui complimenti piacevano tanto a Madame Récamier,frivola salottiera nell'epoca del Direttorio.Erano gli anni dei "saltimbanchi"(soggetti preferiti nelle opere di Dario Fo),dei tosacani,dei lustrascarpe(meglio ancora conosciuti come "sciuscià").Più carica di significati è rimasta l'immagine pittorica del musicante italiano che percorre le strade di periferia con una piccola troupe d'animali ammaestrati,un'immagine resa eterna dal Vitalis di "Senza famiglia" di Hector Malot.Questi musicanti ambulanti erano originari dalla Basilicata,di Viggiano,molto significativo è il canto riportato dal Parzanese "In ogni terra ritrovo il mio paese"(I Canti del Viggianese).Nell'ambito di questa serie di mestieri minori va poi inquadrato un problema d'ordine più generale:quello dello sfruttamento del lavoro dei minori,che il romanzo di H.Malot propone con un linguaggio appena sfumato.Tutti questi mestieri inventati per esorcizzare la fame,era in genere occasione per un vero e proprio commercio di mano d'opera in nero,con un sistema di tratta assai simile al coolie-bondage.La linea di tendenza della realtà odierna non è mutata più di tanto rispetto alle incresciose vicende del passato.Gli anni dell'ubriacatura del pensiero unico e dell'illusione di una globalizzazione inarrestabile foriera di benessere per tutti,rivelano in maniera ancora più drammatica il rovescio della medaglia.Giorno dopo giorno diventano clamorosamente evidenti gli effetti drammatici del capitalismo neoliberista e l'insostenibilità di un modello di sviluppo che assume come unico valore la libertà economica.Le politiche liberiste,governate dalle grandi banche,non hanno prodotto sviluppo e migliori condizioni di vita per tutti,hanno invece generato squilibri e disuguaglianza,nessun futuro per i giovani e disastro ambientale.L'uso irresponsabile delle risorse sta mettendo a rischio la stessa sopravvivenza del pianeta.La negazione dei diritti e della dignità di persone di cui sempre più spesso sono vittime gli emigranti di oggi sono diventate un paradigma delle contraddizioni di questo tempo.Come ieri,quando il loro viaggio di speranza non termina in fondo al mare,i nuovi esuli sono il più delle volte destinati ad essere sfruttati,vittime di un nuovo schiavismo ancora più cinico e indifferente,condannati alla marginalità sociale e all'assenza di qualsiasi possibilità di riscatto. PEPPE BASILE
Lasciaie la mamma la sore e lu frate
lu pate viécchie e disoccupate
l’urdeme abbracce a li cumpagne
l’urdeme viste a li care muntagne

Ammundunate 'ndo stésse vagone
faccia bruta da disperazione
vanno a lu Nord a cercà lu lavore
speranne se fa n'avvenire migliore

‘Nda li baracca ... che t’aspiette
rinte la fabbrica non truova arreciétte
rice ‘o paisane a li nuovi venuti
ccà li patrune so tanto cornute

Pènze ‘a famiglie ... luntane
s’accire ‘e fatiche penzanne a dimane
spera ‘e se fà ‘a casarelle o paese
mannanne tre ssorde a la fine do mese

Passane i mesei luntane r”a casa
s'accire ‘e fatiche nun esce e nu' trase
mentre o padrone se fà ‘e sacche r’oro
magnannese o sangue ‘e sti lavorator

So ormai do anne da quanno hè partute
se sènt stanco distrutte e avvelute
na distrazione, maronne, hè mmuorte
truvarene ‘a capa staccatate r''o cuorpe

Lasce 'a famiglie 'nd' a disperazione
custrette a partì p"a disoccupazione
isse sperave ‘e se fa ‘a catarèlle
invece ‘o patrone l’hé ffatte la pelle

Nu’ ‘nc’è giustizie pe sti puverelle
ca pe’ fatìcà ‘nce lascene ‘o pielle
allore mannamme a ffancule ‘o padrone
stu schife ‘e sisteme assassine e ladrone

Contributed by Dq82 - 2018/4/6 - 11:00


bella assai, grazie

senza questa retorica di falce e martello sarebbe ancora meglio, ma è un mio parere personale

krzyś Ѡ - 2018/4/7 - 21:55


Krzyś caro, è una canzone del 1977. A parte questo, non ci vedo nemmeno tanta "retorica falce e martello", anzi proprio punta; ma forse è meglio che mi azzardi a fare una traduzione, questa canzone è in napoletano stretto. Casomai io ci vedo molti punti di contatto con "'A Flobert"...

Riccardo Venturi - 2018/4/8 - 08:50


Perché retorica, il 1976 - 1977 furono anni di forte sentire sociale, direi il preludio agli anni di piombo e l'emigrazione, il tema del canto, fu un vero e proprio flagello, un esodo di massa verso i paesi transoceanici e nord europei.

P. De Filippis - 2019/5/20 - 03:07




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