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Le quattro stagioni (Ecco è l’Aprile)

anonimo
Lingua: Italiano




Per la serie "Dalle galere del mondo" vi invio questo poetico canto anarchico.

Nota tratta dall’LP del Gruppo Sperimentale di Canto Popolare (con la partecipazione di Margot e di Fausto Cigliano) intitolato “Noi chiamammo Libertà. Antologia di canti politici italiani nati nell’esilio, nella prigione e nei lager dal 1821 al 1948”, a cura di Anton Virgilio Savona, Edizione I Dischi dello Zodiaco (nota riportata dal sito della Union des Amis Chanteurs di Torino, rivista e corretta da B.B.)
In quel disco il canto viene datato precisamente al 1890.

Noi chiamammo LibertàCanti di maremma e d'anarchia


[…] Il canto “Ecco è l’Aprile (Le quattro stagioni)”, conosciuto anche con i titoli di “Lamento del carcerato” e “Canto d’amore anarchico” , è di autore anonimo e risale approssimativamente al periodo che va dal 1888, - anno in cui, nel corso di una manifestazione popolare, fu arrestato e condannato a tre anni di reclusione, benché coperto dall’immunità parlamentare, il primo deputato socialista Andrea Costa - e il 1894 - anno in cui, prendendo a pretesto l’uccisione del presidente francese Sadi Carnot ad opera dell’anarchico italiano Dante Jeronimo Caserio, i socialisti italiani venivano processati e condannati in base alle leggi antianarchiche emanate “dall’uomo forte” della borghesia, Francesco Crispi.
In quegli anni, in seguito alla nuova tariffa doganale protezionistica adottata dall’Italia nel 1887, si ebbe come conseguenza una sorta di “guerra commerciale” tra Francia e Italia con effetti disastrosi sull’agricoltura, pesante aggravio del dislivello economico tre il Nord e il Sud del nostro paese, aumento del prezzo del pane, disordini e agitazioni, soprattutto nelle campagne. Nel 1893 si accesero in tutta la Sicilia nuovi moti di rivolta contro il rincaro delle farine e si svilupparono le organizzazioni politico-sindacali dei lavoratori, di orientamento socialista, dirette da Nicola Barbato, Rosario Garibaldi Bosco, Giuseppe de Felice Giuffrida e Bernardino Verro.
Nel gennaio dell’anno seguente fu decretato lo stato d’assedio nell’isola, con pieni poteri al generale Roberto Morra di Lavriano e della Montà. Le organizzazioni dei lavoratori furono sciolte, cominciarono a funzionare i tribunali militari e venne scatenata una brutale repressione poliziesca. Innumerevoli furono le condanne: 18 anni di reclusione al de Felice Giuffrida, 12 anni al Barbato, al Bosco e al Verro. Poco dopo fu proclamato lo stato d’assedio della Lunigiana, il bacino della Magra al confine tra la Toscana e la Liguria, dove, per solidarietà con i siciliani, gli anarchici formarono bande armate.
L’avvocato Luigi Molinari fu condannato a 23 anni di carcere, inflitti dal tribunale militare di Massa sotto la falsa imputazione di essere stato promotore di quei moti.
E’ nel clima rovente di quegli anni, che videro la persecuzione di innumerevoli militanti anarchici e socialisti, molti dei quali anonimi, che va inquadrato “Ecco è l’Aprile” (titolo originario: “Le quattro stagioni”), di cui una delle più belle edizioni discografiche rimane quella di Caterina Bueno ricavata da una registrazione da lei stessa effettuata in Toscana [si tratta del disco della Bueno intitolato “Canti di maremma e d'anarchia”, in supplemento al settimanale Avvenimenti, 1997, dove il canto è la registrazione originale dalle voci di tali Mario Gigli e Nada Guerrin, ndr].
E’ interessante notare come il tema conduttore del testo, ispirato al susseguirsi lento e monotono delle stagioni fuori delle mura del carcere, si sia sviluppato nella fantasia degli anonimi autori come estrinsecazione di un inconfondibile desiderio di libertà e di giustizia o come significazione di un doloroso sentimento di nostalgia, così in Toscana come nella lontana Sicilia.”
Ecco è l’aprile, il fiore della vita:
l’aria l’è piena oh di soavi odor,
scorgo lontano tra l’erba ch’è fiorita
due che s’amano, son confusi nell’amor.

Oh degli uccelli amo lo sgorgheggiar
là sugli alberi e tra la verdura;
amo coi piedi calpestar
quel che produce la natura.

Quando scorgo quel sentier
che mi conduce dov’io bramo,
tutti i miei sogni, i miei pensier
volano verso colei ch’io amo.

E nell’estate il caldo è soffocante;
nell’officina ci sta il buon lavorator
pien di fatica e di sudor grondante,
mentre il borghese lui disprezza il suo sudor.

Oh del martello amo lo smartellar
sull’incudine nell’officina;
amo il gallo canticchiar
con la sua sveglia mattutina.

Quando penso che il mio ben
tra le mie braccia s’addormenta,
chino il mio capo sul suo sen,
vorrei saperla sempre contenta.

E nell’autunno cadon le foglie morte;
le mie speranze con loro se ne van.
Vorrei morir per non veder più niente,
ma poi mi pento, dico: Sarebbe una viltà.

Amo dell’uva il vendemmiar
con i suoi canti d’allegria;
amo il vino spumeggiar
in mezzo ai canti all’osteria.

Quando penso nel mio cuor
alla mia piccola lontana,
cade una lacrima dal cuor,
triste risuona una campana.

Ecco l’inverno, cade la neve bianca
e bianchi i tetti, i camin son lì a fumar.
Quel casolare anche di legna manca,
tutto è silenzio fuor che i marosi al mar.

Amo l’onda spumeggiar
contro lo scoglio che l’aspetta;
amo il fulmine, il tuonar
nel fragor della tempesta.

Quando son presso di te,
mi sento il cuore in armonia;
sento di amarti e non so che,
sento di amarti alla follia.

Or son vent’anni in questa oscura cella,
dimenticato da colei che amo ancor.
Se ci ripenso, io perdo la favella
con il pensare a quel mio soave amor.

Amo la notte, lo ascoltar
il passo della sentinella;
amo la luna salutar
quando rischiara la mia cella.

Quando penso all’avvenir,
alla mia libertà perduta,
vorrei baciarla e poi morir,
mentr’ella dorme, a l’insaputa.

inviata da Renato Stecca - 26/5/2007 - 17:58




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