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Sul selciato di Piazza Garibaldi (I Sette Martiri)

Rocco Rosignoli
Language: Italian


Rocco Rosignoli


Brenno Monardi era un gerarca del partito,
Un pezzo grosso a Parma ai tempi di Benito.
La braga larga gli era valsa un soprannome,
Non gli piaceva, ma per tutti era Bragone.
Cadde da porco sul sagrato del macello.
Il colpo che lo uccise lo sferrò il Monello,
Un ragazzino che per strada era cresciuto
E non alzò mai il braccio teso per saluto,
Un ragazzino che levava la sua mano
Contro i fascisti, un combattente partigiano.

Questo Bragone andava sempre a far razzia
Di carni fresche, mentre fuori, sulla via,
Stava la gente, che avvilita dalla guerra
Che aveva pure reso sterile la terra,
Languiva pallida e smagrita dalla fame.
E grasso e tronfio li sfotteva, quell’infame.
E senza padre, senza madre e senza un nome
A far vendetta degli scherni di Bragone
Giunse il monello, coi compagni di ventura,
forse fu l’incoscienza a vincer la paura.

Diedero subito di matto i miliziani,
Briganti neri, non tedeschi, ma italiani.
Come formiche il cui terrario è profanato
van quei bravacci a perquisire il vicinato.
E se ne van di casa in casa, porta a porta,
son botte e grida per chi incontra quella scorta.
Stava Cleonice a rassettare il suo soggiorno,
sentì d’un tratto quel trambusto tutto attorno,
si affacciò svelta per capire alla finestra,
e quei briganti le spararono alla testa.

Scese la notte, e il coprifuoco sui sentieri.
Nelle spelonche di brigata, prigionieri,
stavano in sette già ben noti alla marmaglia.
Qualcuno aveva combattuto una battaglia,
qualcuno aveva solo un libero pensiero
che non si accompagnava molto bene al nero.
Eran Massari, con Barbieri e Ferrarini,
Afro Fanfoni, con Ferrari e Pattacini,
e un ragazzino diciottenne, che di nome
faceva Bruno, ed era Vescovi il cognome.

Da giorni i militi li stavan torturando
nei sotterranei del palazzo di comando
della brigata nera, in una via centrale
a pochi metri dalla piazza principale.
E gliene avevan fatte d’ogni sorta,
pietà nei cuor di quei malvagi era già morta.
E quella notte, che quasi era mattina,
vollero chiudere quella carneficina
con un’esecuzione come rappresaglia
perché sapesse che si rischia, la plebaglia.

Ognun dei sette, caricato su un furgone,
per pochi metri lo portarono al plotone.
Dal comando li portarono alla piazza,
chi non si regge in piedi al suolo si stramazza.
Sorgeva il sole sulla statua a Garibaldi,
a dare il via ai fucili fu Pino Romualdi,
capo della Brigata Nera parmigiana
che dirigeva la gazzetta cittadina.
Dopo la guerra Pino non fu mai punito,
fece carriera in parlamento, il suo partito.

E questa serva Italia, culla di dolore,
che ha visto sparso sul selciato rosso il fiore
dei sette martiri di Piazza Garibaldi
prima che al sole di settembre si riscaldi
la piazza vuota, e che si riempia di persone,
questa città e questo paese di ogni nome
si son scordati. C’è una lapide ignorata
in piazza Garibaldi, sopra la facciata
dell’edificio del Governatore
vicino all’orologio che segna le ore.

E sia di monito il passare dei minuti
a noi che, letti i sette nomi sconosciuti,
tiriamo avanti e non pensiamo a quelle vite
che per avere sperato il bene son finite,
a quegli amori che han lasciato dietro a loro,
a chi ha portato il proprio lutto con decoro,
e ci scordiamo che la moglie di Massari
sfidando il coprifuoco e i fasci sanguinari
prese le carni del marito dalla strada
su un carro di fortuna lo riportò a casa.



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