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Le maledizioni

Ivan Della Mea
Language: Italian


Ivan Della Mea


E maledico l'amore briaco
che nel Quaranta mi diede la vita [1]
intorno un mondo moriva sparato
ma questa storia l'è bella e finita.
E maledico gli anni a collegio [2]
zeppi di dogmi d'inferno e paura
la sega [3] era mortale dispregio
al Padreterno e alla natura

E maledico la scuola con quel due
sommato a due che fa sempre quattro
un solo dubbio e passavi per matto
o mentecatto o ghiozzo [4] come un bue
crescere maschio eran beghe tue
ma maschio era di sesso e di fatto
soltanto chi s'era preso la lue
o la galera di un tempo coatto.

E maledico scienziati e potenti
baronlobbisti [5] di ogni cultura
ammazzan tutto e poi sorridenti
ci dicon come tener la lordura
E maledico la televisione [6]
televiolenta e telecialtrona
tra lazzi e frizzi nell'informazione
comanda sempre la razza padrona

E maledico i telebenefattori [7]
che raschian lira perfin sulla morte
e ai talkisti e agli stranamori [8]
gli mando un cancro ma per buona sorte
E maledico coi rantoli rotti
il gran compagno che col suo sapere
non sa il dolore di giovani morti
perché schifati da ogni potere

E benedico chi ci ha i sogni sfranti [9]
ma sa capire la glan classe morta
dei senza capi bandiere né santi
e pensa un mondo senz'usci di sorta
Lo benedico siccome creatura
d'uomo e natura negata al potere:
la classe morta l'ha già vita dura
ma suo è il mondo e senza frontiere.
[1] Luigi Della Mea, detto poi Ivan, nato a Lucca il 16 ottobre 1940, figlio di un milite fascista della guardia di finanza. Qualifica di “briaco” l'amore che gli diede la vita: bisognava essere più che briachi per mettere al mondo un figlio in quel periodo. Tant'è vero che il Della Mea cresce in un brefotrofio. Viene portato a Milano nel 1946 da un'amica di famiglia.

[2] Arrivato a Milano, Luigi Della Mea incontra per la prima volta suo fratello Luciano, suo maggiore di sedici anni (è nato nel 1924). Il fratello già ventiduenne porta il piccolo Ivan a Bergamo in un carretto a mano; qui cresce con il fratello, la sorella Maria e i genitori che si separeranno dopo una lite furibonda. Ivan viene quindi portato al Collegio Arcivescovile di Lodi, e poi di nuovo a Milano. A undici anni fa, per guadagnare qualche soldo, la comparsa nel film Miracolo a Milano di Vittorio De Sica. Dal collegio religioso Ivan sviluppa un granitico orrore della religione (“Vecchie suore nere” ecc., Francesco Guccini, Piccola città).

[3] Comune denominazione panitaliana della masturbazione maschile. Dopo aver manifestato così il suo dispregio al “Padreterno”, Luigi Ivan Della Mea si iscrive al Partito Comunista Italiano all'età di sedici anni, nel 1956 della Destalinizzazione e della Rivolta Ungherese. Da quell'anno e fino al '60 Ivan Della Mea scrive le Ballate della violenza, basate sui ricordi d'infanzia e sulla figura del padre, ed anche altre canzoni d'amore andate perse.

[4] Luigi Ivan Della Mea assimila il milanese con impressionante rapidità, ma non cessa di mantenere un sostrato toscano per tutta la sua vita. “Ghiozzo” è un toscanismo “costiero”: “stupido, imbecille, tonto”. Deriva dal nome di un pesce (si può dire anche “ghiozzo di mare”).

[5] Nell'impasto linguistico di Ivan Della Mea, esistono le sue famose creazioni: neologismi, composti, parole dell'arcaica lingua riportate in vita, dialettismi, preziosismi sempre usati con una naturalezza assoluta. Inutile dire che “baronlobbisti” ne fa parte; da “baroni” e “lobbisti”, ma “baronlobbisti” è quello e solo quello.

[6] Nel 2000, Luigi Ivan Della Mea, già sessantenne, maledice la televisione; sarebbe stato interessante, ora come ora, sentir quel che avrebbe avuto da dire sui Social Media (ipotizzabile una sua definizione di “socialmèrdia”) e roba del genere. Ad ogni modo, quel che dice a proposito della televisione può essere comunemente applicabile alla cosiddetta “comunicazione” attuale, la quale non ha ovviamente cessato di essere interamente al servizio della razza padrona, nonché suo privilegiato strumento di controllo in aggiunta alla repressione sempre più capillare. Nei “lazzi e frizzi” può essere forse colto anche uno spregio ironico verso uno dei “telecialtroni” in voga all'epoca, tale Fabrizio Frizzi.

[7] Come hanno avuto a dire parecchi “mediologi”, la TV è oramai divenuta un mezzo obsoleto, riservata ai vecchietti o poco più. Però la “telebeneficienza” è ancora un punto fermo: la “carità” che, naturalmente, sostituisce i più elementari fondi pubblici che vengono stornati alle spese militari & compagnia cantante. Così, mentre (ad esempio) la sanità pubblica viene smantellata da un lato, dall'altro si “raccolgono i fondi” per questa o quella ricerca o malattia comune o rara, mediante le varie “Telethon” eccetera.

[8] I talkisti sono naturalmente i conduttori dei “talk show”, in primis Maurizio Costanzo (tessera n° 1819 della Loggia P2). Gli “stranamori” sono gli ideatori e conduttori di programmi basati sulla volontaria intrusione in “questioni di cuore”, che tuttora imperversano. ”Stranamore” fu un programma TV degli anni '90, condotto da Alberto Castagna, ex giornalista del TG2. Il programma fu lanciato nel 1994 sulle reti di Berlusconi. Era basato su “videomessaggi” di coppie in crisi, fidanzati/e lasciati/e, mariti traditi ecc.

[9] Non ho idea se, nel thesaurus della lingua italiana, esista veramente un verbo “sfrangere”, o se sia una creazione dellameiana. In italiano standard si dice piuttosto “sogni infranti”, ma “sfranti” è un'altra cosa. Non sono sogni che si sono (o sono stati) infranti, ma che si sono sgretolati poco a poco, in progressivo modo e costante. Almeno così lo percepisco.



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