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Χριστόδουλος Χάλαρης, Νίκος Ξυλούρης, Τάνια Τσανακλίδου: Ἐρωτόκριτος

GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCG
Lingua: Greco moderno (Cretese / Cretan)


Lista delle versioni e commenti


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Erotókritos
Στίχοι: Από το ποίημα “Ερωτόκριτος” του Βιτσέντζου Κορνάρου (1553-1614)
Μουσική: Χριστόδουλος Χάλαρης
Έγχορδο τοξοτό: Γιάννης Ξυλούρης, Ζ. Φασουλάς
Επιμέλεια κειμένων: Ερρίκος Θαλασσινός
Δίσκος: Ερωτόκριτος, Νίκος Ξυλούρης και Τάνια Τσανακλίδου [1976]
EMI ODEON 2J064-70276

Versi: dal poema Erotocrito di Vincenzo Cornaro (1553-1614)
Musica: Christodoulos Halaris
Strumenti ad arco: Giannis Xylouris, Z. Fasoulàs
Trattamento dei testi: Errikos Thalassinos
Disco: Erotocrito [Ερωτόκριτος], Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou [1976]
EMI ODEON 2J064-70276

rotokaretu.


Il qui presente “paginone extra” ha, come dire, una lunga storia. O meglio, una lunga preistoria. Lo si potrebbe chiamare una vecchia promessa che non ho fatto in tempo a mantenere, anche per le non poche difficoltà che presenta; però, nelle tante e lunghissime telefonate notturne con Gian Piero Testa, era diventato come una specie di tormentone. “Prima o poi mi metto sotto con l'Erotocrito”, “E l'Erotocrito a che punto è...?”. Non era in realtà a nessun punto, l'Erotocrito; è una promessa che mantengo, quindi, fuori tempo massimo. O forse no, chissà, e non esiste nessun tempo, massimo o minimo che sia. Spero comunque che le vicende e le amorose peripezie di Erotocrito e di Aretusa non spiacciano in questo sito, peripezie di cui vi vado un po' a parlare.

erotokaretusa


L'Erotòcrito [Ἐρωτόκριτος] è da annoverarsi tra i capolavori della letteratura di tutti i tempi, e non è certamente una mia “uscita” bensì il parere di molti. Sicuramente lo è, e riconosciutamente, della letteratura cretese, che appartiene sì a quella neoellenica, ma che vi occupa un posto del tutto particolare e ben distinto. Si tratta di un poema di argomento epico-amoroso, formato da 10.012 distici in rima baciata AABB scritti in un linguaggio che, usualmente, viene definito “dialetto cretese orientale”, ma che risente molto della lingua classica (parecchie delle cui forme sono comunque conservate negli arcaici dialetti dell'isola). Le sue vicende riportano direttamente al roman medievale francese, o “franco”, e in particolare al romanzo Paris et Vienne (XV secolo; il titolo non ha nulla a che vedere con le due città, ma significa “Paride e Viviana”), che si incrociano precisamente con quelle dell'Erotocrito anche se nell'originale francese sono connesse alle Crociate. Il romanzo francese è attribuito al marsigliese Pierre De La Cépède.

erotokritos1713L'Erotocrito fu sicuramente scritto nel XVII secolo; fu pubblicato per la prima volta a stampa a Venezia nel 1713, come Ποίημα ἐρωτικόν λεγόμενον Ἐρωτόκριτος presso il tipografo Bortoli, Con licenza de' superiori, e Privilegio. Non è certo un caso che sia stato stampato e pubblicato a Venezia, anche se la Serenissima aveva già da tempo perso Creta, o meglio Candia, per mano degli Ottomani. Tra Creta e Venezia continuò a sussistere un legame strettissimo, e non nutro alcun dubbio che il Testa, a questo punto, avrebbe rimandato a Γεια σου χαρά σου Βενετιά, che è di Gatsos. Fu probabilmente proprio a causa dei suoi legami indissolubili con Venezia, che Creta e la sua letteratura, fino almeno all'indipendenza ellenica del 1821, continuarono a reggere da sole la fiaccola delle lettere in un mondo greco imbarbarito dalla Turcocrazia. A Creta, diverse tradizioni europee (il romanzo amoroso francese e il romanzo pastorale italiano in primis) si fusero con le tradizioni locali, dando vita a componimenti assai originali e di grande valore, che furono a loro volta diffusi tramite le stamperie veneziane, tra le poche nell'Europa occidentale che possedevano e sapevano utilizzare i caratteri greci e che, soprattutto, erano in grado di maneggiare il greco volgare.

I versi finali del poema con la "firma" di Vincenzo Cornaro.
I versi finali del poema con la "firma" di Vincenzo Cornaro.
Secondo la tradizione, e così come è indicato nella sua prima edizione a stampa, l'autore dell'Erotocrito sarebbe Vincenzo Cornaro, e questo cognome provoca immediatamente facili e comprensibili suggestioni. Evito però qui di stabilire qualsiasi link biografico: la stessa esistenza dell'autore è da molti, e ragionevolmente, messa in dubbio. Le uniche notizie certe provengono, del resto, dai due distici finali del poema, sorta di “firma” nella quale compare un Βιτζέντζοc Κορνάροc che si dice nato a Στεία, vale a dire l'odierna Σητεία (in italiano Sitia, nell'estrema parte orientale dell'isola). In realtà, qualche notizia frammentaria su Vincenzo Cornaro esiste: sarebbe nato il 29 marzo 1553 a Trapezonda, sobborgo di Sitia, e sarebbe morto nel 1613 o 1614 (in base a tali ipotesi biografiche, l'Erotocrito dovrebbe essere ascritto alla seconda parte del XVI secolo). Sarebbe stato figlio di un aristocratico veneziano dell'antichissimo e regale casato dei Cornaro, o Cornèr, ellenizzato (o meglio, cretesizzato). Ulteriori notizie biografiche, sulla cui attendibilità molti hanno nutrito e continuano a nutrire seri dubbi, gli attribuiscono un trasferimento nel 1590 da Sitia a Candia (l'odierna Heraklion, il capoluogo dell'isola), dove si sarebbe sposato con tale Marietta Zeno ed avrebbe avuto due figlie chiamate Heleni e Katerina (cioè, un'omonima nientemeno che di Caterina Cornaro, Signora di Asolo e Regina di Cipro, Gerusalemme e Armenia). Sempre secondo le notizie biografiche, Vincenzo Cornaro sarebbe stato, tra il 1591 e il 1593, direttore sanitario di Candia proprio mentre infuriava una pestilenza; i suoi interessi letterari si sarebbero esplicati, sia in lingua veneziana che greca, nella cosiddetta Accademia degli Stravaganti, la cui fondazione a Candia viene attribuita a un suo fratello chiamato Andrea. Sarebbe morto per cause ignote, come detto, nel 1613 o 1614, e seppellito nella chiesa di San Francesco, dove comunque attualmente non v'è traccia del suo sepolcro. Ora, succede che non poche fonti, però, spostano la data della morte di Vincenzo Cornaro al 1677, indicando il 1613 o 1614 come suo anno di nascita; come si può vedere, “Vincenzo Cornaro”, ancorché sia effettivamente esistito (la cosa è comunque possibile) ha molte componenti leggendarie, così come è certo che l'Erotocrito ha in sé molte caratteristiche dei componimenti popolari, in primis delle famose μαντινάδες [madinades] cretesi che, beninteso, sono tuttora tipiche proprio della parte orientale dell'isola. Che però il poema presenti una componente colta e “autoriale” è indubbio: un'analisi approfondita del suo linguaggio e delle sue tournures poetiche lo rivela chiaramente. Si mantiene perciò qui la tradizionale attribuzione a Vincenzo Cornaro.

erotokmerosbL'Erotocrito, nella sua struttura e argomentazione, è un romanzo pienamente medievale nonostante la sua redazione abbastanza tarda. Romanzi del genere circolavano comunque ancora pienamente nell'Europa cinque e seicentesca. Giunto sulle sponde di Creta, comunque, il Paris et Vienne ricevette, come è ovvio che sia, un trattamento del tutto particolare, e non solo dal punto di vista metrico e del linguaggio; fu trasportato di peso, insomma, nella tradizione cretese (o meglio, cretese-veneziana) pur mantenendo i suoi evidenti legami con le sue origini. Sparita ogni componente risalente alle Crociate, divenne ben presto l'opera più rappresentativa e vitale della letteratura cretese, l'unica che si esprimeva interamente attraverso dialetti volgari. L'azione viene trasportata in Grecia, in un'antica Atene immaginaria che riproduce invece perfettamente (anche nell'iconografia tradizionale del poema) una città medievale. Atene è retta da un re, Eraclio, il quale ha un'unica e bellissima figlia diciottenne, Aretùsa (“Virtuosa”). Il giovane Erotocrito (che nel poema, a parte il titolo, viene esclusivamente nominato nella sua forma popolare Ῥωτόκριτος [Rotòkritos], così come dal classico verbo ἐρωτῶ “io domando” si è formato il moderno ρωτώ), figlio del consigliere del re Pezòstrato (“Soldato di Fanteria”), se ne innamora perdutamente e disperatamente (“Erotocrito” significa “Tormentato dall'Amore”). Ogni notte Erotocrito, spinto dalla passione, si reca col suo liuto sotto le finestre del palazzo reale per cantare versi d'amore, dopo averli trascritti per potersene ricordare. Il re Eraclio, padre della bella Aretusa, mette in atto vari agguati per scoprire l'identità del corteggiatore della figlia, e Erotocrito è per questo costretto a interrompere le sue appassionatissime serenate. Aretusa, che col tempo s'è anch'ella innamorata follemente del giovanotto, se ne affligge assai e confessa tutto alla sua nutrice; Erotocrito quindi parte, facendo ammalare suo padre dal dolore ma ricevendo la visita della regina assieme a sua figlia Aretusa, quando quest'ultima trova una casetta nel giardino in cui Erotocrito è solito trattenersi e in cui conserva i suoi versi d'amore. Spinto dalla malattia del padre, Erotocrito torna ad Atene, pur temendo che Aretusa abbia detto tutto a suo padre, il re Eraclio; ma costui non sa niente, e il giovane torna così a frequentare la corte prendendo parte ad una giostra cavalleresca. Erotocrito la vince, e riceve dalle mani di Aretusa il premio; la fanciulla gli dichiara poi il suo amore. Erotocrito prende coraggio e chiede al re Eraclio la mano di Aretusa; ma il re la rifiuta, e lo manda in esilio (l'argomento del celeberrimo brano Τὰ θλιβερὰ μαντάτα). Aretusa gli dona però un anello, come pegno d'amore e di fedeltà; il re suo padre vuole darla in sposa al principe di Bisanzio. La fanciulla rifiuta, e suo padre la fa allora rinchiudere in prigione. Nel frattempo è scoppiata la guerra tra il re di Atene e il re dei Vlachi; Erotocrito accorre allora a combattere per la sua patria, uccidendo molti Vlachi e salvando la vita del re Eraclio, che era stato rapito. Il re dona così a Erotocrito la metà del suo regno, e gli concede la mano di Aretusa. Il romanzo si conclude felicemente con le nozze dei due innamorati.

Sitia (Creta): Il monumento a Vincenzo Cornaro con i versi finali dell'Erotocrito
Sitia (Creta): Il monumento a Vincenzo Cornaro con i versi finali dell'Erotocrito


Come detto, la trasposizione del romanzo medievale francese in terra di Creta ha prodotto, come tutte le ibridazioni, un'opera letteraria assai originale sotto ogni aspetto. Sotto quello dell'ambientazione, in quanto dal poema si intravede perfettamente Creta sotto le spoglie dell'antica Atene immaginaria (a sua volta un τόπος diffuso nell'Europa medievale: si pensi ad esempio alle novelle del Boccaccio ambientate in un'Atene anch'essa solo letteriamente classica); sotto quello della versificazione, che rispetta una forma tradizionale cretese, quella della μαντινάδα in distici in rima baciata di argomento amoroso o satirico, la quale è però a sua volta di derivazione veneziana (il termine deriva dal veneziano matinada “canto mattutino”) e che, in ultima analisi, prende avvio dalle aubades provenzali; sotto quello del linguaggio, dove convivono le forme dialettali cretesi, le forme neoelleniche normali e le forme classiche producendo una ricchezza incomparabile; e sotto quello della freschezza, che restituisce vita all'oramai frusto romanzo medievale, sorta di feuilleton popolare che a Creta fu rivitalizzato, probabilmente, anche con la sua immediata trasposizione in canto. In realtà, l'Erotocrito è imbevuto della vita greca, e cretese in particolare, delle sue tradizioni e del suo folklore. Al tempo stesso l’autore, chiunque sia, dimostra una consumata maestria letteraria; sa ritrarre i personaggi in modo preciso, dimostrando sia un grande spirito di osservazione sia un notevole approfondimento psicologico dei personaggi (del tutto assente dal romanzo medievale originale, unicamente incentrato sulle loro vicende avventurose). Nonostante si sappia fin dall'inizio che le complicate vicende avranno un lieto fine, l'autore tenta abilmente di mantenere avvinto il lettore: tipico è ad esempio l'uso delle ripetizioni, dato che desidera mantenere l'intreccio in sospeso e non è affatto desideroso di arrivare alla fine (da qui anche la notevole lunghezza del poema). In italiano, il poema è stato tradotto integralmente e commentato nel 1975 dal grande neogrecista Francesco Maspero, per le edizioni Bietti; ma per i brani di questa pagina si offrono traduzioni originali.

La traduzione italiana integrale dell'Erotocrito, di Francesco Maspero (Bietti, 1975)
La traduzione italiana integrale dell'Erotocrito, di Francesco Maspero (Bietti, 1975)
Come è forse ovvio che sia, l'Erotocrito ha trovato trasposizioni musicali anche in tempi moderni; della principale di esse si occupa specificamente questa pagina. Risale al 1976, quando dodici brani dell'Erotocrito furono musicati dal musicista ateniese Christodoulos Hàlaris (Χριστόδουλος Χάλαρης, nato nel 1946) ed affidati alle voci di Tania Tsanaklidou (Τάνια Τσανακλίδου, nata nel 1952 a Drama in Macedonia) e, soprattutto, del cretese Nikos Xylouris “Psaronikos” (1936-1980). In realtà il primo dei dodici brani, Ὁ τροχὸς τῆς Μοίρας, era stato musicato da Halaris già nel 1964 e interpretato da Manos Katrakis (Μάνος Κατράκης). Il successo dell'album fu straordinario, e non solo grazie alla voce dell' “Arcangelo di Creta”: l'ateniese Halaris seppe creare delle musiche che difficilmente, orchestrazione a parte, potrebbero essere distinte da quelle di autentici componimenti popolari cretesi. Altri brani dell'Erotocrito sono stati musicati da altri, tra i quali si ricordano Paris Perysinakis, Nikos Mamangakis, Nikos Xydakis; un brano (i vv. 491-514) è stato musicato da Miltiadis Paschalidis e interpretato dallo stesso Nikos Xylouris. Ma l'album del 1976 resta l'Erotocrito in musica per eccellenza; particolarmente da notare è la copertina dell'album, ripresa dall'iconografia tradizionale del poema. In essa, all'Erotocrito che suona il suo liuto è stato dato il volto di Nikos Xylouris, e viene forse da immaginare che quell'Erotocrito stesse cantando, nel suo esilio, quella stupefacente canzone di amore perduto che è Χαμένη αγάπη, che peraltro è l'ultima che fu incisa da Psaronikos prima di morire. La speranza di questa lunga e complicata pagina, nell'adempiere alla promessa fatta a Gian Piero Testa, è che essa, oltre ad invogliare alla lettura dell'Erotocrito nella sua interezza, sappia anche fare un po' sognare. [RV]
Note testuali. I testi dell'Erotocrito presenti in rete (e non esclusivamente quelli dei brani del presente album) sono oramai tutti trascritti col sistema monotonico; così anche le edizioni più recenti dell'intero poema. Si tratta di una pratica che, mi sia permesso, non approvo. Ho quindi ripristinato i testi nel sistema tritonico classico e con gli spiriti (anche sul ρ) e lo iota sottoscritto; così era nell'edizione originale veneziana del 1713. In un primo momento avevo pensato di indicare gli esatti brani del poema dai quali sono state tratte le canzoni; questo, però, è nella pratica impossibile in quanto le canzoni dell'album sono, in realtà, un sapiente "collage" di distici del poema (scelti e assemblati da Errikos Thalassinòs), spesso niente affatto contigui, a formare così una data canzone il cui titolo è del tutto arbitrario. Nel poema originario, non esiste alcuna separazione testuale che non sia quella tra i vari libri. Nelle edizioni moderne (e nelle traduzioni) del poema, esiste però spesso l'indicazione di chi sta parlando (Il Poeta, Erotocrito, Aretusa, la nutrice ecc.)


Βιτσένζου Κορνάρου
ΕΡΩΤΟΚΡΙΤΟΣ

Ἀποσπάσματα μελοποιημένα ἀπό
ΧΡΙΣΤΟΔΟΥΛΟ ΧΑΛΑΡΗ

Ἑρμήνευσαν
ΝΙΚΟΣ ΞΥΛΟΥΡΗΣ
ΤΑΝΙΑ ΤΣΑΝΑΚΛΙΔΟΥ
1976


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L'intero album.
1. Ὁ τροχὸς τῆς Μοίρας
Νίκος Ξυλούρης



Tοῦ κύκλου τὰ γυρίσματα, ποὺ ἀνεβοκατεβαίνουν,
Καὶ τοῦ τροχοῦ, π' ὥρες ψηλὰ κι ὥρες στὰ βάθη πηαίνουν
Μὲ τοῦ καιροῦ τ' ἀλλάματα, ποὺ ἀναπαημὸ δὲν ἔχουν,
Μὰ στὸ καλό κι εἰς τὸ κακὸ περιπατοῦν καὶ τρέχουν.

Καὶ τῶν ἀρμάτω οἱ ταραχές, ὄχθρητες, καὶ τὰ βάρη,
Τοῦ Ἔρωτα οἱ μπόρεσες καὶ τσῆ Φιλιᾶς ἡ χάρη.
Αὐτὰ νὰ τὰ μ’ ἐκινήσασι τὴ σήμερον ἡμέρα,
Ν’ ἀναθιβάλω καὶ νὰ πῶ τὰ κάμαν καὶ τὰ φέρα

Μιὰ κόρη κι ἕνας ἄγουρος, ποὺ μπερδευτήκα ὁμάδι
Σὲ μιὰ φιλιὰν ἀμάλαγη, μὲ δίχως ἀσκημάδι.
Kαὶ τ’ ὄνομά τση τὸ γλυκὺ τὸ λέγαν Ἀρετοῦσα,
Οἱ ὀμορφιὲς τση ἦσαν πολλές, τὰ κάλλη τση ἦσαν πλοῦσα.

Xαριτωμένο θηλυκὸ τὴν ἤκαμεν ἡ φύση,
Κι ἡ σιάτση δὲν εὑρίσκετο σ’ Ἀνατολὴ καὶ Δύση.
Kαὶ τ’ ὄνομά τοῦ νιούτσικου Ῥωτόκριτο τὸ λέγα,
Ἤτονε τσ’ ἀρετῆς πηγὴ καὶ τσ’ ἀρχοντιᾶς ἡ φλέγα.

Κι ὅλες τσὶ χάρες π’ Oὐρανὸς καὶ τ’ Ἄστρη ἐγεννήσαν,
Μ’ ὅλες τὸν ἐμοιράνανε, μ’ ὅλες τὸν ἐστολίσαν.
Kι ὅντεν ἡ νύκτα ἡ δροσερὴ κάθ’ ἄνθρωπο ἀναπεύγει,
Καὶ κάθε ζὸ νὰ κοιμηθῇ τόπο νὰ βρῇ γυρεύγει,

Ἤπαιρνεν τὸ λαγοῦτο του, κι ἐσιγανοπορπάτει,
Κι ἐκτύπαν τὸ γλυκιὰ γλυκιὰ ἀνάδια στὸ Παλάτι.

2. Ρίζες
Νίκος Ξυλούρης και Τάνια Τσανακλίδου



Τσὶ περαζόμενους καιροὺς πού οἱ Ἕλληνες ὁρίζα
Κι ὁποὺ δὲν εἶχ’ ἡ πίστη τως θεμέλιο μηδὲ ρίζα,
Τότε μιὰ ἀγάπη μπιστικὴ στὸν κόσμο ἐφανερώθη
Κι ἐγράφτη μέσα στὴν καρδιά κι οὐδὲ ποτὲ τσῆ λειώθη.

Εἰς τὴν Ἀθήνα ποὺ ἤτονε τσῆ μάθησης ἡ βρώσις
Καὶ τὸ θρονὶ τῆς ἀρετῆς κι ὁ ποταμὸς τσῆ γνώσης,
Ῥήγας μεγάλος ὅριζε τὴν ἄξα χώρα ἐκείνη,
Ἡράκλη τὸν ἐλέγασι, ἐξακουστὸς ἐγίνη.

Ἀπό μικρὸς παντρεύτηκε καὶ συντροφιάστη ὁμάδι
Μὲ ταίρι ὁποὺ ποτὲ κανεὶς δὲν τοῦ `βρισκε ψεγάδι.
Ἀρτέμη τὴν ἐλέγασι τὴ ῥήγισσαν ἐκείνη,
Ἄλλη καμιὰ στὴ φρόνεψη ἴσα τση δὲν ἐγίνη.

Τὸν ἥλιο καὶ τὸν οὐρανὸ συχνιὰ παρακαλοῦσα
Γιὰ νὰ τσ’ ἀξώσει καὶ νὰ δοῦν παιδὶ ποὺ πεθυμοῦσα.
Περνοῦν οἱ χρόνοι κι οἱ καιροί κι ἡ ῥήγισσα ἐγαστρώθη
Κι ὁ ῥήγας ἀπ’ τὸ λογισμὸ καὶ βάρος ἐλυτρώθη.

Μιὰ θυγατέρα ἤκαμε πού `φεξε τὸ Παλάτι,
Κείνη τὴν ὥρα πού ἡ μαμὴ στὰ χέρια τὴν ἐκράτη
Και τ’ ὄνομά τση τὸ γλυκὺ τὸ λέγανε Ἀρετοῦσα,
Οἱ ὀμορφιές τση ἦσαν πολλές, τὰ κάλλη τση ἦσα πλοῦσα.

Εἶχεν ὁ βασιλιὸς πολλοὺς μὲ φρόνεψη καὶ πλούτη,
Συμβουλατόροι του ἤτανε οἱ μπιστημένοι ἐτούτοι.
Μὰ ἀπ’ ὅλους εἶχεν ἀκριβὸ πάντα στὴ συντροφιά του
Ἕναν ὁποὺ Πεζόστρατο ἔκραζαν τ’ ὄνομά του.

Εἶχε κι αὐτὸς ἕναν ὑγιὸ πολλὰ κανακεμένο,
Φρόνιμο κι ἀξαζόμενο, ζαχαροζυμωμένο.

3. Ἡ ὥρα τῆς ἀγάπης
Νίκος Ξυλούρης και Τάνια Τσανακλίδου



Καὶ τ’ ὄνομα τοῦ νιούτσικου Ῥωτόκριτο τὸ λέγα,
Ἤτανε τσ’ ἀρετῆς πηγὴ καὶ τσ’ ἀρχοντιᾶς ἡ φλέγα.
Κι ὅλες τσὶ χάρες π’ οὐρανός καὶ τ’ ἄστρι ἐγεννήσα,
μ’ ὅλες τὸν ἐμοιράνανε, μ’ ὅλες τὸν ἐστολίσα.

Θέλει σ’ ἐκεῖνο τὸν καιρὸ τὸ πρικοριζικό του,
Κι ἀγάπη γιὰ τὴν Ἀρετὴ βάνει στὸ λογισμό του.
Κ’ ἴντα δὲν κάνει ὁ Ἔρωτας σὲ μιὰ καρδιὰ π’ ὁρίζει,
Σὰν τὴ νικήσει οὐδέ καλό, οὐδέ κακὸ γνωρίζει.

Ἐβράδιασεν, ἐνύχτωσε, λιποψυχᾶ ἡ καρδιά τως,
Στὸ παραθύρι νὰ βρεθοῦ, νὰ ποῦν τὰ βάσανά τως.
Μιὰν ὥρα κλάψασιν ὀμπρός δριμιά κι ἐλουχτουκήσα,
Κι ἀπόκει μ’ ἀναστεναγμοὺς τὰ πάθη τως ἀρχίσα.

4. Τὰ θλιβερὰ μαντάτα
Νίκος Ξυλούρης




Τ' ἄκουσες, Ἀρετοῦσα μου, τὰ θλιβερὰ μαντάτα;
Ὁ κύρης σου μ' ἐξόρισε εἰς τὴ ξενιτιὰ στὴ στράτα.
Τέσσερεις μέρες μοναχὰ μοῦ 'δωκε ν’ ἀνιμένω,
Ὕστερα νὰ ξενιτευτῶ, πολὺ μακριὰ νὰ πηαίνω.

Καὶ πὼς νὰ σ' ἀποχωριστῶ, καὶ πὼς νὰ σοῦ μακρύνω,
Καὶ πὼς νὰ ζήσω δίχως σοῦ εἰς τὸ ξορισμὸν εκεῖνο;
Κατέχω τό κι ὁ κύρης σου γρήγορα σὲ παντρεύει,
Ρηγόπουλο, ἀφεντόπουλο, σὰν εἶσαι σύ, γυρεύει.

Καὶ δὲ μπορεῖς ν’ ἀντισταθῇς στὰ θέλουν οἱ γονεῖς σου,
Νικοῦν τήνε τὴ γνώμη σου κι ἀλλάζει κι ἡ ὄρεξή σου.
Μιὰ χάρη, ἀφέντρα, σοῦ ζητῶ κι’ ἐκείνη θέλω μόνο,
Καί μετὰ κείνη ὁλόχαρος τὴ ζήση μου τελειώνω.

Ὅτα θὰ ἀῤῥαβωνιαστῇς, νὰ βαριαναστενάξῃς,
Κι ὅτα σὰ νύφη στολιστῇς, σὰν παντρεμένη ἀλλάξῃς.
Ν’ ἀναδακρυώσῃς καί να πῇς, Ῥωτόκριτε καημένε,
Τὰ σοῦ 'ταζα ἐλησμόνησα, τὰ 'θελες μπλιὰ δὲν ἔναι.

Καὶ κάθε μήνα μιὰ φορά, μέσα στὴν κάμερά σου,
Λόγιαζε ἠντά 'παθα γιὰ σέ, νὰ μὲ πονῇ ἡ καρδιά σου.
Καὶ πιάσε καὶ τὴ ζωγραφιά, πού 'βρες στ’ ἀρμάρι μέσα,
καὶ τὰ τραγούδια πού 'λεγα, ὅπου πολὺ σ’ ἀρέσα.

Καὶ διάβαζέ τα, θώρει τα κι ἀναθυμοῦ κι ἐμένα,
Πὼς μὲ ξορίσανε γιά σε πολὺ μακριά εἰς τὰ ξένα.
Κι ἂς τάξω ὁ κακοῤῥίζικος πὼς δὲ σ’ εἶδα ποτέ μου,
Ἕνα κεράκι ἀφτούμενο ἐκράτου κι ἔσβησέ μου.

Ἂς τάξω πὼς ἐπιάστηκα σὲ μιᾶς γυναίκας τρίχα,
Ἔσπασε ἡ τρίχα κι ἔχασα εἰς τὸν κόσμο ὅ,τι κι ἂν εἶχα.
Λήσμόνησε παντοτινὰ καὶ διώξε κάθε ἐρπίδα,
Καὶ πὲ πὼς μὲ γνώρισες, κι οὖτε κι ἐγὼ πὼς σ' εἶδα.

Ὅπου κι ἂν πάω κι ἂ βρεθῶ, κι ὅ,τι καιρό κι ἂ ζήσω,
Τάζω σου ἄλλη νὰ μὴ δῶ μηδέ ν’ ἀναντρανίσω.
Κάλλιά ’χω ἐσὰ μὲ θάνατο, παρ’ ἄλλη μὲ ζωή μου.
Γιά σέναν ἐγεννήθηκε στὸν κόσμο τὸ κορμί μου.

5. Παράπονο τῆς Ἀρετοῦσας
Τάνια Τσανακλίδου




Τὰ λόγια σου Ῥωτόκριτε, φαρμάκιν ἐβαστοῦσα
Κι οὐδ’ ὄλπιζα κι ἀνίμενα τ’ αὐτιά μου ὅ,τι σ’ ακοῦσα.
Καὶ πὼς μπορῶ νὰ σ’ ἀρνηθῶ κι ἂ θέλω δὲ μ’ ἀφήνει
Τούτη ἡ καρδιὰ ποὺ ἐσύ `βαλες σ’ τς’ ἀγάπης τὸ καμίνι.
Κι ἀμνόγω σου στὸν οὐρανό, στὸν ἥλιο, στὸ φεγγάρι,
Ἄλλος ὀγιὰ γυναῖκα του ποτὲ νὰ μή μὲ πάρῃ.

Καὶ βγάνει ἀπό τὸ δαχτύλι της ὄμορφο δακτυλίδι,
Μὲ δάκρυα κι ἀναστεναγμοὺς τοῦ Ῥώκριτου το δίδει.
Λέει του: "Νὰ καὶ βάλε το εἰς τὸ δεξό σου χέρι,
Σημάδι πὼς ὥστε νὰ ζῶ εἶσαι δικό μου ταίρι.
Καὶ μήν το βγάλῃς ἀπό κεῖ ὥστε νὰ ζῇς καὶ νά `σαι,
Φόριε το κι ὅποια στό `δωκε κάμε νά της θυμᾶσαι.
Καλλιὰ θανάτους ἑκατὸ τὴν ὥρα θέλω πάρει,
Παρὰ ἄλλος μόν’ ὁ Ῥώκριτος γυναῖκα νὰ μὲ πάρῃ".

6. Χωρισμός
Νίκος Ξυλούρης και Τάνια Τσανακλίδου




Ὡς τὴν αὐγὴ ἐμιλούσανε, ὡς τὴν αὐγή ἐκλαῖγα
Κι ὡς τὴν αὐγὴ τὰ πάθη τως καὶ πόνους τως ἐλέγα.
Ἤστραψεν ἡ ἀνατολή κι ἐβρόντηξεν ἡ δύση
Ὅντε τὰ χείλη του ἤνοιξε γιά ν’ ἀποχαιρετήσῃ.

Κι ἕνα μεγάλο θαύμασμα στὸ παραθύρι ἐγίνη,
Οἱ πέτρες καὶ τὰ σίδερα κλαίσι τὴν ὥρα ἐκείνη.
Ἐμίσεψ’ ὁ Ῥωτόκριτος καὶ βιάζει τον ἡ ὥρα,
Μ’ ἕνα πρικὺ ἀναστεναγμὸ ποὺ σείστηκεν ἡ χώρα.

Τα βάσανά του τὰ πολλὰ στὰ δάση τὰ ἐδηγᾶτο
Καὶ τὸ λαγκάδι καὶ βουνὶ συχνιά του πιλογᾶτο.
Οὐρανέ, ῥίξε φωτιά ὁ κόσμος ν’ ἀναλάβῃ
Κι ὅλοι ἂς λαβοῦ κι ὅλοι ἂς καοῦ κι ἡ Ἀρετὴ μὴ λάβῃ.

Στὴν ἄδικη ἀπόφαση ποὺ δόθηκε σὲ `μένα,
Ν’ ἀπαρνηθῶ τὸν τόπο μου, νὰ περπατῶ στὰ ξένα.
Ἄστρη μήν το βαστάξετε, ἥλιε σημάδι δείξε
Καὶ σ’ ἔτοιου ἀφέντη ἀλύπητου ἀστροπελέκι ῥίξε.

7. Ἡ συνάντηση
Νίκος Ξυλούρης και Τάνια Τσανακλίδου



Ἤρθεν ἡ ὥρα κι ὁ καιρός κι ἡ μέρα ξημερώνει
Νὰ φανερώσῃ ὁ Ῥώκριτος τὸ πρόσωπο ποὺ χώνει.
Ἐφάνη ὁλόχαρη ἡ αὐγή καὶ τὴ δροσούλα ῥίχνει,
Σημάδι τσῆ ξεφάντωσης κείνη τὴν ὥρα δείχνει.

Χορτάρια ἐβγήκασι εἰς τὴ γῆ, τὰ δεντρουλάκια ἀνθίσα
Κι ἀπ’ τς’ ἀγκάλες τ’ ουρανοῦ γλυκὺς βοῤῥᾶς ἐφύσα.
Τὰ περιγιάλια ἐλάμπασι κι ἡ θάλασσα ἐκοιμᾶτο,
Γλυκὺς σκοπός εἰς τὰ δεντρά κι εἰς τὰ νερὰ ἐγροικᾶτο.

Γελοῦν τσῆ χώρας τὰ στενά κι οἱ στράτες καμαρώνου,
Ὅλα γροικοῦν κουρφὲς χαρές κι ὅλα τση φανερώνου
Καὶ μὲς στὴ σκοτεινὴ φλακὴ ὅπου `το ἡ Ἀρετοῦσα
Ἐμπῆκα δυὸ ὄμορφα πουλιά κι ἐγλυκοκελαδοῦσα.

8. Τὸ παραμύθι
Νίκος Ξυλούρης



Ὡς μπήκεν ὁ Ῥετόκριτος στὴ φυλακή κι ἀρχίζει
Νὰ τση μιλῇ καὶ σπλαχνικὰ νὰ τὴν ἀναντρανίζῃ.
Λέγει τση: "Τὸ μὲ ῥώτηξες θὰ σοῦ το πῶ καὶ γροῖκα
Πού το βρῆκα τὸ χάρισμα στὴ φυλακὴ σ’ ἀφῆκα.

Εἶναι δυὸ μήνες σήμερο πού `λαχα κάποια δάση,
Εἰς τὴ μεριὰ τῆς Ἔγριπος κι ἐβγήκαν νὰ μὰ φᾶσι
Ἄγρια θεριὰ ν' ἐμάλωσα κι ἐσκότωσα ἀπ’ ἐκεῖνα
Κι ἀπὸ τὰ χέρια μου νεκρὰ ὅλα τὰ πιὰ ἀπομεῖναν.

Μὲ κίνδυνο ἐγλύτωσα ὁσώραν ἐπολέμου
Νὰ γλυτωθῶ ἀπὸ λόγου τους δὲν τό’ λπιζα ποτέ μου
Μὰ ἐβούθηξε τὸ ριζικὸ τ’ ἀστρὶ μὲ λυπηθῆκαν
Καὶ σκότωσα καὶ ζύγωσα καὶ ἀλάβωτο μ’ ἀφῆκαν.

Δίψα μεγάλη γροίκησα στὸ πόλεμον ἐκεῖνο
Γυρεύοντας νὰ βρῶ δροσιὰ ἐσῶθε σ’ ἕνα πρίνο
Καὶ παρεμπρὸς ἐφάνη μου κουτσουναράκι χτύπα,
Σιμώνω βρίσκω τὸ νερό εἰς τοῦ χαρακιοῦ τὴν τρύπα.

Ἤπια το κι ἐδροσίστηκα καὶ πέρασέ μου ἡ δίψα,
Μὰ πούρι κι ἄλλα βάσανα ἐτότε δὲ μοῦ λείψαν.
Ἔκατσα νὰ ξεκουραστῶ σιμὰ στὸ κουτσουνάρι
Ὅντε γροικῶ ἀναστεναγμὸ καὶ μύσματ’ ἀῤῥωστάρη.

Καὶ βιαστικὰ σηκώνομαι, τὸ ζάλο μου σπουδάζει
Νὰ δῶ ποιὸς εἶναι ποὺ πονεῖ καὶ βαριαναστενάζει
Καὶ μπαίνω μέσα στὰ δεντρά πού `ταν κοντὰ εἰς τὴ βρύση,
Διὰ νὰ δῶ καὶ γιὰ νὰ βρῶ τὸ νέο αὐτὸ ὅπου μύσσει.

Βρίσκω ἕνα νιὸν ὡραιόπλουμο πού `λαμπε σὰν τὸν ἥλιο
Κι ἐκείτουντο ὁλομάτωτος μπροστά εἰς ἕνα σπήλιο.
Σγουρὰ ξανθά `χε τὰ μαλλιὰ καὶ τὰ σοθέματά του
Πάρ’ ὅλο ὁπού `τα σὰν νεκρός, ἤδειχνεγιε ἡ μορφιά του.

Καὶ δυὸ θεριὰ στὸ πλάι του ἤτανε σκοτωμένα
Καὶ τὸ σπαθὶ καὶ τ’ ἄρματα ὅλα ἦσαν ματωμένα.
Σιμώνω χαιρετῶ τονε, λέω του: "Ἀδέλφι γειά σου.
Ἴντα `χεις κι ἀπονέκρωσες, πούντη λαβωματιά σου;"

Τὰ μάτια του `χε σφαλιχτά, τότε τ’ ἀναντρανίζει
Κι ἐθώρειε δίχως νὰ μιλῇ καὶ στὸ λαϊμό του ἀγγίζει.
Μὲ τὸ δακτύλι δυὸ φορές μου δείχνει νὰ νοήσω
Ποὺ εἶχε τὴν λαβωματιὰ νά τον ἐβοηθήσω.

Τὸ στῆθος του ξαρμάτωσα καὶ μιὰ πληγή του βρίσκω
Δαμάκιν ἀποκατωθιὸ ἀπὸ τὸν οὐρανίσκο.
Ὁλίγο του ἀπό βοτσί τον εἶχε δαγκαμένο
Φαίνεται νὰ 'χε τὸ θεριὸ δόντι φαρμακεμένο
Και πῆρεν του τὴ δύναμη καὶ τὴν πνοήν του ἐχάσε
Καὶ τὸ φαρμάκι πέρασε καὶ μέσα τον ἐπιάσε.

Κι ἀγάλι ἀγάλια `χάνετο σὰν τὸ κερὶ ὅντε σβήνει,
Ἔκλαψα κι ἐλυπήθηκα πολὺ τὴν ὅρα εκείνη.
Σὰν ἀδελφό μου καρδιακό τον ἔκλαιγα κι ἐπόνου,
Μὰ πόνοι, δάκρυα, κλάηματα ἄνθρωπο δὲ γλιτώνου.
Ἐψυχομάχε κι ἔλεγε νὰ στέκω μὴ μισέψω,
Ἐθάῤῥειε πὼς τέτοια πληγὴ μποροῦσα νὰ γιατρέψω.

Δείχνει μου τὸ δαχτύλι ν' του πού 'χε τὸ δαχτυλίδι
Καὶ γνώρισα σὰν χάρισμα σὰν φίλος μου το δίνει.
Τότε μιὰ σιγανὴ φωνὴ μόνο τ’ αὐτιά μου ἀκοῦσαν
Και εἴπανε τὰ χείλη του: "Σέ `χασα Ἀρετοῦσα".
Ἐτοῦτα εἶπε μοναχὰ καὶ τέλειωσ’ ἡ ζωή του
Καὶ μὲ πρικὺ ἀναστεναγμὸ εβγῆκε ἡ ψυχή του.

Τοῦτα τὰ χέρια ποὺ θωρεῖς λάκκο σιμιό του σκάψαν
Καὶ τοῦτα τον ἐσήκωσαν καὶ τοῦτα τον ἐθάψαν
Ὡς τ’ ἄκουσεν ἡ Ἀρετὴ ὥρα λιγάκι ἐστάθη
Ἀμίλητη καί ὁ πόνος της τὴν ἔκαμε καὶ ἐχάθη.

9. Θρῆνος
Νίκος Ξυλούρης και Τάνια Τσανακλίδου



Ὡς τ’ ἄκουσεν ἡ Ἀρετή ὥρα λιγάκι ἐστάθη
Ἀμίλητη κι ὁ πόνος τση τὴν ἤκαμε κι ἐχάθη.
Ἐπλήθυνε ἡ ἀποκοτιά κι ἐχάθηκεν ἡ τάξη,
Τὸ νοῦ τση ἐγροῖκα σὰν πουλὶ νὰ φύγῃ, νὰ πετάξῃ.

Κανένα μπλιὸ δὲν ντρέπεται, κανένα δὲ φοβᾶται
Καὶ μὲ τοὺς ἀναστεναγμοὺς τὰ πάθη τση δηγᾶται.

10. Ταραχή
Νίκος Ξυλούρης και Τάνια Τσανακλίδου



Ῥωτόκριτε, ἴντα θέλω μπλιὸ τὴ ζήση νὰ μακραίνω,
Ποιὰ ὀλπίδα μπλιό μου `πόμεινε καὶ θέλω ν’ ἀνιμένω;
Δίχως σου πὼς εἶν’ μπορετὸ στὸν κόσμο μπλιὸ νὰ ζήσω.
Ἀνάθεμα στὸ ριζικό στ’ ἀφύλαγεν ὀπίσω!

Μὲ τὴ ζωή σου εἶχα ζωὴ καὶ μὲ τὸ φῶς σου `θώρου,
Τα πάθη μου θυμῶντας σου ἐπέρνου σὰν εμπόρου.
Ἀρνήθηκα τὰ πλούτη μου, τὸν κύρη καὶ τὴ μάνα,
Ποτὲ δὲν ἐβαρέθηκα τὰ πάθη πού μου `κάμαν.

Θυμῶντας σου Ῥωτόκριτε πώς μου `σουν νοικοκύρης,
Ἐγίνον σου καὶ μάνα μου, ἐγίνον σου καὶ κύρης.
Γιὰ σένα ἐνεστέναζα, γιὰ σένα εἶχα πόνους,
Γιὰ σένα βασανίζομαι σήμερα πέντε χρόνους.

11. Τὸ φανέρωμα
Νίκος Ξυλούρης και Τάνια Τσανακλίδου



Ἤθελε κι ἄλλα νά του πῇ μά ἡ ὁμιλιά δὲ σώνει,
Πέφτει στὴ γῆς ἄσπρη καὶ κρυγιὰ μπλιὸ πάρ’ ἀπὸ τὸ χιόνι.
Ἐκεῖνος μπλιὸ ἄλλο δὲ μιλεῖ μὰ πλύθηκεν ὀμπρός τση
Καί τς’ ἠφανίστη ἄλλης λογῆς κι ἐγίνηκε τὸ φῶς τση.

Ἤλαμψε ὁ Ῥετόκριτος βγάνοντας τὸ μελάνι,
Πάλι τὴν πρώτην ὀμορφιὰ τὸ πρόσωπό του πιάνει,
Χρυσᾶ ἐγενῆκαν τὰ μαλλιά, τὰ χέρια μαρμαρένια
Κι ἡ ὅψη του ἀσπροκόκκινη, τὰ κάλλη ζαχαρένια.

Γνωρίζει τον ἡ Ἀρετὴ καλά τον εθυμᾶται,
Μὰ δὲν κατέχει ξυπνητὴ ἂν εἶναι ἢ ἂν κοιμᾶται.
Ἐξελιγώθη, στρέφεται μὲ σπλάχνος τον ἐθώρει
Καὶ νὰ μιλήσῃ ἀπ’ τὴν χαρὰν ἀκόμη δὲν ἐμπόρει.

12. Ἡ μέρα ἡ λαμπρή
Νίκος Ξυλούρης και Τάνια Τσανακλίδου



Ἦρθεν ἡ μέρα ἡ λαμπρή, γλυκὺς καιρὸς ἀρχίζει
Κι ἤκατσεν ὁ Ῥωτόκριτος εἰς τὸ θρονί κι ὁρίζει.
Ἀγαπημένο ἀντρόγυνο σὰν τοῦτο δὲν ἐφάνη
Μηδ’ τέτοιο καλορίζικο, χαιρόμενο στεφάνι.

Ἐκάμασι παιδόγγονα κι ὅλα ἐγενήκαν πλοῦσα
Και μάνα καὶ κερὰ λαλὰ ἐγίνη ἡ Ἀρετοῦσα.
Γιὰ τοῦτο ὁπού `ναι φρόνιμος, δὲ χάνεται στὰ πάθη,
Τὸ ῥόδο κι ὁ ὄμορφος ἀνθός γεννιέται μές στ’ ἀγκάθι.

Ἤρθεν ἡ μέρα ἡ λαμπυρή, γλυκὺς καιρὸς ἀρχίζει
Κι ἤκατσεν ὁ Ῥωτόκριτος εἰς τὸ θρονί κι ὁρίζει.
Ἀγαπημένο ἀντρόγυνο σὰν τοῦτο δὲν ἐφάνη
Μηδ' τέτοιο καλορίζικο, χαιρόμενο στεφάνι.

Ἐκάμασι παιδόγγονα κι ὅλα ἐγενήκαν πλοῦσα
Και μάνα καὶ κερὰ λαλὰ ἐγίνη ἡ Ἀρετοῦσα.
Γιὰ τοῦτο ὁπού `ναι φρόνιμος, δὲ χάνεται στὰ πάθη,
Τὸ ῥόδο κι ὁ ὄμορφος ἀνθός γεννιέται μές στ’ ἀγκάθι.

Βιτσέντζος εἶν’ ὁ ποιητὴς καὶ στὴ γενιὰ Κορνάρος,
Ποὺ νὰ βρεθῇ ἀκριμάτιστος ὅντε τον πάρει ὁ Χάρος.
Στὴν Στεῖαν ἐγεννήθηκε, στὴν Στεῖαν ἐνεθράφη,
Ἐκεῖ `καμε κι ἐκόπιασεν ἐτοῦτα πού σας γράφει.
Στὸ Κάστρον ἐπαντρεύτηκε σὰν ἀρμηνεύγ’ ἡ φύση,
Το τέλος του ἔχει νὰ γενῇ ὅπου ὁ Θεὸς ὁρίσει.

inviata da Riccardo Venturi - Ελληνικό Τμήμα των ΑΠΤ "Gian Piero Testa" - 5/7/2016 - 23:41




Lingua: Italiano

Traduzione integrale di Riccardo Venturi
Firenze, 6 luglio 2016 - Firenze, 9 giugno 2017.

erotokyos


Due parole del traduttore. Come specificato nell'introduzione, dell'Erotocrito esiste almeno una traduzione integrale (dell'intero poema, cioè), opera del neoellenista Francesco Maspero e pubblicata dall'editore Bietti nel 1975. Le presenti versioni, limitate ovviamente ai brani contenuti nel disco del 1976, sono originali. Non hanno alcun “intendimento d'arte”, non sono in metrica e sono in linguaggio corrente; in pratica, “traduzioni di servizio” senza però rinunciare ad una correttezza dell'eloquio, che è quanto sono in grado di fornire di fronte ad un testo del genere. Le note di cui sono corredate le traduzioni sono in massima parte di natura linguistica (ad esempio, per dare conto di certi termini dialettali, particolari o desueti). Approfitto dell'occasione per ribadire che le note linguistiche non sono mai, comunque, messe lì a bella mostra; pur conscio che la loro fruibilità è limitata a chi ha una pur minima conoscenza della lingua neogreca, esse devono essere intese come un sussidio. Nelle traduzioni, il nome del protagonista è sempre riportato nella sua forma piena, Erotocrito; come specificato anche nell'introduzione, nel poema in realtà il suo nome non è mai declinato in tale modo, ma in forme popolari abbreviate e modificate Rotocrito, Rocrito, Retocrito.

Vincenzo Cornaro
EROTOCRITO

Frammenti musicati da
CHRISTODOULOUS HALARIS

Interpreti
NIKOS XYLOURIS
TANIA TSANAKLIDOU
1976


Christodoulos Hàlaris.
Christodoulos Hàlaris.
Nikos Xylouris.
Nikos Xylouris.



Tania Tsanaklidou.
Tania Tsanaklidou.

1. La ruota del Destino
Nikos Xylouris



I giri del cerchio, che salgono e scendono,
E della ruota, che ora ascendono e ora si inabissano
Con il mutar del tempo che riposo non conosce
Ma che a sventure e letizie camminano e corrono.

E delle armi i tumulti, le inimicizie, i gravami,
I poteri dell'Amore, la virtù dell'Amicizia.
Tutto ciò mi spinse, in questo giorno d'oggi
A raccontare [1] e a dire quel che passarono e fecero

Una fanciulla e un giovane, che si legarono assieme [2]
In amicizia incorrotta, senza nulla d'indecente.
Di nome, dolce nome, lei faceva Aretùsa, [3]
Molte eran le sue bellezze, esteriori e interiori. [4]

Donna colma di grazia l'aveva fatta la natura,
Eguale a lei non si trovava né a Oriente e né a Occidente.
E il nome del giovane era invece Erotòcrito, [5]
Era fonte di virtù, sorgente [6] di nobiltà.

E di tutte le grazie generate dal Cielo e dalle Stelle
Ad esse era stato destinato, di esse era stato adornato.
E quando la fresca notte a ognuno dona riposo
E ogni animale cerca un posto dove dormire,

Lui prendeva il suo liuto, e camminando in silenzio
Lo andava a suonar dolcemente davanti alla Reggia.

2. Radici
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



Nei tempi andati, quando gli Elleni [7] comandavano
E la loro fede non aveva né base e né radice [8]
Comparve nel mondo un amore fedele [9]
Che fu inciso [10] nel cuore senza mai cancellarsi.

Ad Atene, che nutriva lo studio e la sapienza [11]
E che era trono di virtù e fiume di conoscenza,
Un grande Re reggeva quella degna terra,
Si chiamava Eraclio e divenne celebrato.

Da giovanissimo si sposò e visse assieme
A una compagna cui nessuno mai trovò difetto,
Artemide si chiamava quella Regina,
Di saggezza ella non ebbe mai altra uguale. [12]

E pregavano spesso il Sole e il Cielo
Che concedessero loro il figlio che desideravano; [13]
Passano gli anni e i tempi, e la Regina resta incinta,
E il Re non ebbe più a aver gravi pensieri. [14]

Ebbe [15] una figlia che fece risplendere la Reggia
Quando la balia la teneva in braccio,
Ed il suo nome, dolce nome, era Aretùsa,
Molte eran le sue bellezze, esteriori e interiori. [16]

Il Re disponeva di molti uomini ricchi e saggi,
Consiglieri che eran suoi vassalli fedeli.
Tra tutti loro, uno gli era caro e stava sempre in sua compagnia,
Uno che di nome lo chiamavano Pezòstrato. [17]

Anch'egli aveva un figlio assai adorato,
Intelligente e di gran valore, dolce come zucchero.

3. L'ora dell'amore
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



E il nome del giovane era Erotocrito,
Era fonte di virtù, sorgente di nobiltà.
E di tutte le grazie generate dal Cielo e dalle Stelle
Ad esse era stato destinato, di esse era stato adornato. [18]

Ed in quel tempo, vuole il suo amaro fato [19]
Mettergli nel pensiero l'amore per Aretusa.
E che cosa fa l'Amore, in un cuore che comanda,
Se non vincerlo in modo che non distingua il bene dal male?

Si fece sera, si fece notte, i loro cuori vengono meno,
Ecco che s'incontrano alla finestra a dirsi i loro tormenti.
Un'ora non facevan che piangere e gemere aspramente,
E poi con gran sospiri cominciavan le loro pene. [20]

4. Le tristi novelle [21]
Nikos Xylouris




Le hai udite, Aretusa mia, le tristi novelle?
Il tuo Signore mi ha mandato sulle strade dell'esilio.
Quattro giorni soltanto m'ha dato per restare,
E dopo infine partirò per andarmene lontano.

E come farò a separarmi, a allontanarmi da te?
Come potrò vivere senza di te in quel lontano esilio?
So pure che il tuo Signore ti farà sposare presto,
Cerca il figlio d'un re o d'un nobile che sia tuo pari.

E non puoi opporti al volere dei tuoi genitori,
Essi ti piegheranno [22] e muterai parere.
Ma, Signora, io ti chiedo, e questo solo io voglio,
E dopo questo con gran gioia finirò la mia vita.

Quando sarai promessa sposa, abbi per me un sospiro,
E quando ti vestiran da sposa e tu diverrai moglie,
Di' fra di te, in lacrime: Erotocrito infelice,
Ho scordato la mia promessa, quel che volevi non c'è più.

Ed una volta ogni mese, chiusa nella tua stanza,
Rammenta ciò che ho sofferto per te, soffra per me il tuo cuore.
E prendi anche il ritratto che hai trovato nell'armadio,
E i canti che composi, che ti piacquero tanto.

E leggili, e rivolgi anche a me il tuo pensiero,
A me che fui esiliato in remote terre straniere.
E io, infelice, fingerò di non averti mai vista,
Che avevo acceso una candela, ma che per me s'è spenta.

E fingerò d'esser stato preso nel laccio d'amore d'una donna,
Ma che il laccio s'è spezzato, e ho perso quel che avevo al mondo.
Dimenticami per sempre e caccia via ogni speranza,
Scordati d'avermi conosciuto, e che io ti abbia mai vista.

Ma dovunque io andrò, e fintanto che io viva,
Ti prometto che mai guarderò un'altra e che non cederò.
Te preferisco avere con la morte, che un'altra con la vita,
Per te è venuta al mondo tutta la mia persona.

5. Lamento di Aretusa
Tania Tsanaklidou



Le tue parole, Erotocrito, le tengo per veleno,
Mai avrei creduto, mai mi sarei aspettata di udirle.
E come potrei rinnegarti, volessi pure? Non mi lasciare,
Questo mio cuore tu lo hai posto sul braciere dell'amore.
E giuro innanzi al Cielo, al Sole e alla Luna
che un altro non mi prenderà mai come sua sposa.

E si toglie dal dito lo splendido anellino,
Tra lacrime e sospiri lo porge a Erotocrito.
Gli dice: “Ecco, prendilo e mettitelo alla mano destra,
Segno che, finché io viva, tu sarai il mio compagno.
E non te lo togliere mai, finché vivrai la vita,
Serbalo per ricordare sempre colei che te lo ha dato.
Preferirò morire cento volte, piuttosto che un altro
Mi prenda in sposa che non sia l'Erotocrito mio.

6. Il distacco
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou




Fino all'alba parlarono, piansero fino all'alba
E fino all'alba si dissero i loro dolori e le pene.
Lampeggiò il cielo ad oriente e tuonò a occidente,
Quando le loro labbra si aprirono all'addio.

Ed un grande prodigio avvenne alla finestra,
Le pietre e le inferriate piangono quel momento.
E se ne andò Erotocrito, ché l'ora già lo incalza,
Con un sospiro amaro che ne fu scosso il paese.

Ed i suoi tanti tormenti ai boschi li narrava,
E spesso a lui la valle o il monte rispondeva.
“Cielo, scaglia il fuoco e che il mondo ne sia preso,
E tutti ne sian presi e bruciati, eccetto Aretusa. [23]

Per l'ingiusto decreto che mi è stato applicato,
D'andarmene via esule lasciando il mio paese,
Stelle, non permettetelo! Sole, mandami un segno,
E contro quel re crudele scaglia la tua folgore.

7. L'incontro
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



E venne l'ora e il tempo, e sorge infine il giorno
Per Erotocrito, che riveli ciò che è nascosto.
Sorse gioiosa l'alba gettando la dolce rugiada,
Segno dell'allegria che quell'ora mostra.

Erbette spuntarono in terra, fiorirono gli alberelli,
E dal grembo del cielo soffiò una dolce tramontana.
Risplendevano i lidi, dormiva il mare, e s'udiva
Tra gli alberi e le acque come una dolce musica.

Ridono i valichi del paese, occhieggiano le strade,
Tutto appalesa gioie nascoste [24], tutto le manifesta;
E nella buia prigione [25] dove giaceva Aretusa
Entrarono due begli uccelli, e cantaron dolcemente.

8. Il falso racconto [26]
Nikos Xylouris



Appena che Erotocrito fu entrato nella prigione,
Con amoroso sguardo così le parla e dice:
“Rispondo a ciò che chiedi, e ascoltami bene,
Dove trovai l'anello che ti ho lasciato in cella.

Oggi fanno due mesi, io mi trovai in un bosco
Dalle parti di Ègripo [27], dove sfuggii a belve
Vogliose di sbranarmi, ma con violenta lotta
Parte scamparono, ma le più le uccisi con le mie mani.

Pericolosamente me ne sottrassi combattendo,
E mai avrei sperato di potermi salvare;
Ma mi aiutò la buona sorte; ne uccisi
E ne cacciai vita, e mi lasciaron sano e salvo.

Sentivo una gran sete dopo quella battaglia,
Cercando acqua mi avvicinai ad un leccio; [28]
Mi parve udire il gorgoglìo d'un ruscelletto,
Mi accosto e trovo l'acqua nella cavità di un pietrone.

La bevvi e mi rinfrescai, e mi passò la sete,
Ma pure [29] altri tormenti allor non mi mancavano.
Mi ero seduto a riposarmi presso il ruscelletto
Quando odo sospiri e gemiti come di un ammalato.

Mi alzo in fretta, e di corsa [30] mi affretto a andare
A veder chi sia che sta soffrendo e si lamenta terribilmente;
Ed entro nel folto delgi alberi là presso la fonte
E vedo, e trovo quel giovane che si lamenta. [31]

Trovo un leggiadro giovane, splendido come il sole,
Che giaceva insanguinato davanti a una caverna.
Capelli biondi e ricci, e nonostante avesse
L'aspetto di un morto, era palese la sua bellezza.

Accanto a lui giacevano due belve ammazzate,
E la sua spada, e le sue armi, eran tutte insanguinate.
Mi accosto e lo saluto; gli dico: “Salute a te, fratello.
Perché giaci morente, dov'è che sei ferito?”

Aveva gli occhi serrati, ma allora un po' si riprende,
Mi guardava in silenzio, e si tocca la gola.
Col dito, per due volte, in modo che io capissi,
M'indica dov'è ferito perché possa aiutarlo.

Io gli scopersi il petto togliendo l'armatura,
Gli trovo una ferita, poco sotto il palato;
Una cosa da nulla, un morso molto leggero
Ma il dente della belva doveva essere avvelenato
perché gli aveva tolto la forza ed il respiro,
Il veleno era passato e tutto lo aveva invaso.

Si spegneva come una candela che muore poco a poco,
Io molto piensi e mi afflissi per lui in quel momento.
Fratello nel mio cuore, lo piangevo e per lui soffrivo,
Ma pene, lacrime e lamenti non posson salvare un uomo.
Mi diceva agonizzando di star là e di non andar via,
Credeva che io potessi guarirlo da quella ferita.

Mi mostra allora il dito dove teneva l'anello,
Credetti che volesse darmelo in dono da amico.
A stento le mie orecchie udiron la sua voce,
E dissero le sue labbra: “Io ti ho persa, Aretusa.”
Questo disse soltanto; e finì la sua vita,
E con un triste rantolo l'anima gli uscì fuori.

Queste mani che vedi gli hanno scavato la fossa,
Queste lo han sollevato e queste lo hanno sepolto.
Com'ebbe udito questo, ristette un po' Aretusa
In silenzio, e il dolore la invase e ne fu perduta.

9. Lamentazione [32]
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



Com'ebbe udito questo, ristette un po' Aretusa
In silenzio, e il dolore la invase e ne fu perduta.
L'ardire in lei s'accrebbe, e perse ogni ritegno,
Sentiva la mente volar via come un uccello che fugge.

Di nessuno ha vergogna, non teme più nessuno,
Ma tra i singhiozzi e i sospiri trabocca la sua pena.

10. Sconforto
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



Erotocrito, perché dovrei voler prolungare la mia vita,
Quale speranza ormai mi resta perché voglia aspettarti?
Senza di te, come posso vivere ancora in questo mondo,
Maledetto il destino che questo m'ha riservato!

Vivevo con la tua vita, vedevo con la tua luce,
Pensando a te passavo e sopportavo ogni mia pena.
Ho rinnegato la mia ricchezza ed i miei genitori
E mai mi son pesati i castighi che m'infliggevano.

Pensando che eri tu, Erotocrito, il mio sposo,
Tu, per me, diventavi mia madre e mio padre.
Per te mi lamentai, per te soffrii dolori,
Per te son torturata ormai da cinque anni.

11. La rivelazione
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



Voleva dirgli altre cose, ma le manca la voce,
E cadde a terra, bianca e fredda più della neve.
Egli non dice altro, ma si lavò e davanti a lei
Apparve com'era prima tornando al suo splendore.

Risplendeva Erotocrito senza più quel color nero,
Di nuovo il suo volto riacquista la sua bellezza,
D'oro tornan le chiome, le mani bianche come marmo
E bianco e rosso l'incarnato, il suo aspetto soave.

Lo riconosce Aretusa e ben se ne ricorda,
Ma non capisce ancora se è sveglia oppur se sta sognando.
Ancora viene meno; si volge e lo guarda con gran gioia,
Ma parlare ancora non può per la gran contentezza.

12. Il giorno splendido
Nikos Xylouris e Tania Tsanaklidou



Venne quel giorno splendido, comincia il dolce tempo
in cui si assise Erotocrito in trono e prese il comando.
Non si vide mai una coppia di sposi tanto amata [33]
né mai un matrimonio tanto prospero e felice.

Ed ebbero figlioli, che divennero ricchi,
e madre ed anche nonna divenne Aretusa.
Perché l'uomo, se è saggio, nei guai non si smarrisce:
la rosa, quel bel fiore, nasce in mezzo alle spine.

Venne quel giorno splendido, comincia il dolce tempo
in cui si assise Erotocrito in trono e prese il comando.
Non si vide mai una coppia di sposi tanto amata
né mai un matrimonio tanto prospero e felice.

Ed ebbero figlioli, che divennero ricchi,
e madre ed anche nonna divenne Aretusa.
Perché l'uomo, se è saggio, nei guai non si smarrisce:
la rosa, quel bel fiore, nasce in mezzo alle spine.

Vincenzo è chi compose questo, della stirpe dei Cornaro,
E sia senza peccato quando lo coglierà Caronte.
A Sitìa egli nacque, a Sitìa è stato allevato,
e là compose e scrisse questa sua gran fatica.
A Castro ha preso moglie, come natura consiglia,
e verrà la sua fine dove Iddio vorrà.
[1] Dialettale: ἀναθιβάνω o ἀθιβάλλω “raccontare, narrare” (in ultima analisi dal classico ἀντιβάλλω, ma con probabile influsso anche di ἀμφιβάλλω).

[2] Più che il significato standard di “confondere, ingarbugliare, invischiare”, qui μπερδεύω ha il valore dialettale di “legare, avviluppare”, che è molto antico (gr. a. περιδέω o ἐμπεριδέω “legare tutto attorno, aggrovigliare”).

[3] Come specificato nell'introduzione, il nome significa “Virtuosa” (< ἀρετή) e deve pronunciarsi “Aretùsa” anche per non confonderlo con Arètusa (gr. Ἀρέθουσα), la figlia di Nereo e Doride di cui si innamorò il dio Alfeo, figlio del dio Oceano. La leggenda ha dato, come è noto, il nome alla celebre Fonte Arètusa dell'isola di Ortigia, a Siracusa.

[4] In questo modo ho tentato di rendere la differenza di fondo tra ὀμορφιές “bellezze esteriori” (pl. di ὀμορφιά “avvenenza”, gr.a. εὐμορφία “bellezza di forme”) e κάλλη “bellezze interiori” (pl. di κάλλος “bellezza” in senso astratto).

[5] Come specificato nell'introduzione, nei versi del poema il personaggio è costantemente nominato nella sua forma dialettale, o popolare, Ῥωτόκριτος (probabilmente anche perche Ἐρωτόκριτος avrebbe comportato una sillaba in più, decisiva ai fini metrici). Nel poema, qualora la metrica lo esiga, si trova non di rado un'ulteriore abbreviazione in Ῥώκριτος. Usata spesso anche la forma più specificamente dialettale Ῥετόκριτος.

[6] Dialettale: il cretese φλέγα è si il corrispondente del neogreco standard φλέβα “vena” (gr.a. φλέψ, φλεβός), ma ha esclusivamente il valore di “sorgente, fonte”.

[7] Si noti l'uso del termine classico Ἕλληνες. La denominazione classica serve naturalmente a riportare la vicenda in una presupposta e gloriosa antica Grecia; ma il termine non apparteneva più da secoli alla cultura popolare nel senso di “Greci” (che, fino all'indipendenza del 1821, si sono chiamati Γραικοί o Ῥωμαίοι “greci, romei”, così come la lingua volgare era la ῥωμαιϊκὴ γλώσσα “lingua romèica”). Nella cultura popolare, il termine ἕλλην era passato ad indicare una figura fiabesca e mostruosa, un “gigante” o addirittura un “orco”. Dopo l'indipendenza fu ripristinato il termine Ἑλλάς per la nazione greca, ma passò del tempo prima che i greci si riabituassero a denominarsi Ἕλληνες.

[8] Vale a dire la “falsa fede” pagana, a' tempi de gli dei falsi e bugiardi.

[9] Il termine μπιστικός (prob. dall'ampliamento *ἐμ-πιστικός) ha ancora qui il significato originario di “fedele, fidato”. Nella lingua moderna standard, πιστικός si è specializzato in un'accezione particolare, quella del “pastore salariato” dipendente da un padrone.

[10] Propriamente “fu scritto” (ἐγράφτη); ma il comune verbo greco per scrivere, γράφω, proviene dalla radice indoeuropea dello “scavare” e dell' “incidere” (cfr. il ted. Grab “fossa, tomba”, graben “scavare”, ingl. grave “tomba”).

[11] Naturalmente si ha qui l'eco immortale di Atene come “nutrimento” (βρώσις, dalla radice dell'antico verbo con presente a raddoppiamento βιβρώσκω “mangiare”; nella lingua standard moderna, βρώση indica piuttosto il “mangiare”, l' “atto del mangiare”) della sapienza e della saggezza.

[12] Alla lettera, “nessun'altra le divenne [fu] uguale in saggezza”.

[13] Come si può vedere, il paganesimo raffigurato per l' “antica Atene” dell'opera è di maniera e non ha assolutamente nulla di quello classico coi suoi dèi. Qui si è tornati a una sorta di paganesimo primitivo dove si adorano il Sole e il Cielo.

[14] Alla lettera, “fu liberato [salvato, ἐλυτρώθη, con la forma classica dell'aoristo passivo ancora comune all'epoca nella lingua popolare] dal pensiero e dal peso”.

[15] Nel testo si dice proprio “fece una figlia”, ἤκαμε. Il comune verbo per “fare”, κάνω (forma standard moderna) / κάμω / κάμνω presenta qui un aumento in η- assai più diffuso all'epoca, e presente ovunque nel testo dell'Erotocrito. Nella lingua standard moderna ha lasciato comunque tracce comuni (si pensi a ἤπια, ἤθελα).

[16] Si noti qui un procedimento comunissimo nell'Erotocrito: la ripetizione continua di interi versi, sorta di “formulari” che debbono ovviamente molto alla poesia popolare (si pensi ai ballad commonplaces britannici). Tali ripetizioni, essendo per natura un ausilio alla recitazione, dimostrano anche senz'ombra di dubbio che l'Erotocrito, composto su una forma popolare tradizionale cretese, era sin dall'inizio inteso per il canto.

[17] Il nome, come anche specificato nell'introduzione, significa “Soldato di fanteria, fante”.

[18] Intera ripetizione di quattro versi già presenti.

[19] Tipico composto formato da aggettivo e sostantivo, formato da πρικο-, dialettale (con metatesi) per πικρός “amaro” e ῥιζικό “destino, sorte, fato” (dall'italiano risico “rischio”).

[20] Nei due versi, i verbi (κλάψασιν, ἐλουχτοκήσα, ἀρχίσα) sono tutti all'aoristo; nella traduzione si è preferito l'imperfetto narrativo.

[21] Come accennato nell'introduzione, Τὰ θλιβερὰ μαντάτα è di gran lunga il brano più famoso di tutto l'album. "In proprio" è stato interpretato, dopo Nikos Xylouris, da numerosissimi artisti greci. Si ricorda particolarmente la versione di Giannis Charoulis:



[22] Alla lettera, "Vinceranno il tuo volere".

[23] Nell'originale qui indicata come Ἀρετή, quindi semplicemente "Virtù".

[24] Per “nascoste” è presente nel testo originale il dialettismo κουρφές (per κρυφές). Si tratta di un fenomeno metafonetico comunissimo nel cretese e in altri dialetti greci.

[25] Il dialettismo φλακή (per φυλακή) è anch'esso comunissimo in cretese.

[26] Così traduco il titolo, Τὸ παραμύθι. Alla lettera sarebbe “La fiaba, la favola”; ma poiché si tratta del racconto inventato da Erotocrito a Aretusa (i versi 936-1016 del Libro V del poema originale, l'unico brano continuativo dell'album e non frutto di un assemblaggio di distici), ho preferito renderlo con “Il falso racconto”.

[27] Ègripo (Ἔγριπος) è un nome medievale dell'isola di Eubea, detta anche Negroponte.

[28] Il cretese mantiene qui il termine nella forma identica al greco classico, πρίνος. Il greco standard ha, per “leccio”, πουρνάρι (da *πρινάριον). Il termine è probabilmente connesso con il latino prūnus.

[29] Nell'originale, μὰ πούρι, che sono le parole italiane (o venete) ma pure. Le ho volute qui mantenere nella traduzione.

[30] Nell'originale, τὸ ζάλο μου σπουδάζει “la mia corsa mi affretta”; ma ζάλο (gr. cl. σάλος) è propriamente un “passo di danza”.

[31] Dialettismo cretese: μύσσω, μύζω “mi lamento, gemo”.

[32] Θρῆνος è propriamente, e come si addice perfettamente a questo brano, la “lamentazione funebre”, il “canto di lutto”.

[33] Ma anche "innamorata", "che si ama".

6/7/2016 - 14:09




Lingua: Francese

Version française – ÉROTOCRITE – Marco Valdo M.I. – 2018
d’après la version italienne
EROTOCRITO de Riccardo Venturi – 2017 (Traduzione integrale di Riccardo Venturi
Firenze, 6 luglio 2016 – Firenze, 9 giugno 2017.)
d’une chanson grecque (Cretese / Cretan),
Érotocrite [Ερωτόκριτος] - Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou – 1976
Tirée de Ερωτόκριτος, poème de Vincenzo Cornaro (1553-1614)

Cette page a une longue histoire. Ou mieux, une longue préhistoire. On pourrait dire que c’est une vieille promesse que je n’ai pas tenue à temps, en raison aussi des nombreuses difficultés qu’elle présente ; cependant, lors de nombreux et très longs coups de téléphone nocturnes avec Gian Piero Testa (Gian Piero Testa, collaborateur historique des Chansons contre la Guerre et âme de la « Section Grecque », avec des dizaines de traductions magistrales, nous a laissés le 28 novembre 2014), c’était devenu comme une espèce d’obsession. « Tôt ou tard, je me mettrai à l’Érotocrite », « Et l’Érotocrite, où en est-il… ? ». Il n’en était en réalité nulle part, l’Érotocrite ; c’est une promesse que je tiens, donc, hors tous les délais. Ou peut-être non, peut-être, qu’il n’existe aucun délai, maximum ou minimum. J’espère de toute façon que les aventures et les péripéties amoureuses d’Érotocrite et d’Arétuse ne déplairont pas ici, péripéties dont je vais un peu parler.

Apollon et Daphné. Mais c'est la même histoire (éternelle ?) - le jeune homme amoureux de la jeune fille...


L’Érotocrite [Ἐρωτόκριτος] doit être compté parmi les chefs-d’œuvre de la littérature de tous des temps, et ce n’est certes pas une de mes « lubies », mais l’avis d’un grand nombre de personnes. Il l’est certainement de la littérature crétoise qui elle-même appartient à la littérature néo-hellénique, mais il y occupe une place particulière et bien distincte. Il s’agit d’un poème du genre épique-amoureux, fait de 10 012 distiques, en rime baisée AABB, écrit dans une langue qui, usuellement, est appelé « dialecte crétois oriental », mais qui s’inspire beaucoup de la langue (grecque) classique (dont les formes sont conservées dans les dialectes archaïques de l’île). Ses aventures renvoient directement au roman médiéval français, ou « franc », et en particulier au roman « Paris et Vienne » (XV siècle ; le titre n’a rien qu’à voir avec les deux villes, mais il signifie « Paris et Viviane »). Ses intrigues se confondent précisément avec celles de l’Érotocrite, même si dans l’original français, elles sont parallèles aux Croisades. Le roman français est attribué au marseillais Pierre De La Cépède.

(Lucien l’âne qui en connaît un bout précise : Dans ce roman, après moult tribulations, Paris, devenu Sarrasin, sauve le Dauphin de France et le ramène à Aigues-Mortes ; revenu en ses états, le Dauphin accepte de lui donner comme épouse, sa fille – Vienne. Tout est bien qui finit bien : Paris épouse Vienne, hérite du Dauphiné ; ils vécurent heureux et eurent beaucoup d’enfants : quatre fils et trois filles ; Paris vécut jusqu’à 105 ans et Vienne jusque 97 ans ; soit environ 80 ans de vie commune).

L’Érotocrite fut sûrement écrit au XVII siècle ; il fut publié sous forme imprimée pour la première fois à Venise en 1713, sous le titre Ποίημα ἐρωτικόν λεγόμενον Ἐρωτόκριτος chez l’imprimeur Bortoli. Ce n’est certes pas un hasard, qu’il ait été imprimé et publié à Venise, même si la Sérénissime avait déjà depuis longtemps perdu la Crète, ou mieux Candia, du fait des Ottomans. Entre la Crète et Venise, il subsista un lien très étroit, et je n’ai aucun doute que Gian Piero Testa, à ce point, aurait évoqué Γεια σου χαρά σου Βενετιά, chanson de Nikos Gatsos. Ce fut probablement à cause de ses liens indissolubles avec Venise que la Crète et sa littérature, jusqu’au moins à l’indépendance hellénique de 1821, continuèrent à tenir seules le flambeau des lettres dans un monde grec embarbarisé par la Turcocratie. En Crète, diverses traditions européennes (le roman amoureux français et le roman pastoral italien in primis) se confondirent avec les traditions locales, en donnant vie à des compositions souvent originales et de grande valeur, qui furent à leur tour répandues par les imprimeries vénitiennes, chez les rares personnes qui en Europe occidentale, connaissaient et savaient utiliser les caractères grecs et qui, surtout, étaient en mesure de comprendre le grec vulgaire.

Selon la tradition, et ainsi qu’il est indiqué dans sa première édition, l’auteur de l’Érotocrite serait Vincenzo Cornaro, et ce nom évoque immédiatement de faciles et compréhensibles suggestions. J’évite cependant ici d’établir quelqu’arbre généalogique (on pense à la famille des Corner, pleine de doges et d’une reine de Chypre) ; l’existence même de l’auteur est par beaucoup, et à raison, mise en doute. Les seuls éléments certains proviennent, du reste, des deux derniers distiques du poème, sorte de « signature » dans laquelle apparaît un Βιτζέντζοc Κορνάροc (Vicénzos Kornáros ou Vitséntzos Kornáros) qu’on dit né à Στεία, à savoir le Σητεία d’aujourd’hui (en italien – comme en français – Sitia, dans la partie orientale de l’île de Crète). En réalité, certaines indications fragmentaires sur Vincenzo Cornaro existent : il serait né le 29 mars 1553 à Trapezonda, faubourg de Sitia, et serait mort en 1613 ou 1614 (sur la base de telles hypothèses biographiques, l’Érotocrite devrait être attribué à la seconde partie du XVI siècle). Il aurait été le fils d’un aristocrate vénitien de l’ancienne lignée royale des Cornaro, ou Corner, hellénisé (ou mieux, crétoisé). D’ultérieures indications biographiques, sur la crédibilité desquelles beaucoup nourrissent de sérieux doutes, lui attribuent un transfert en 1590 de Sitia à Candia (l’actuelle Héraklion, capitale de l’île), où il aurait épousé Marietta Zeno et aurait eu deux filles appelées Heleni et Katerina (c’est-à-dire, rien de moins qu’une homonyme de Caterina Cornaro, Dame d’Asolo et Reine de Chypre, Jérusalem et d’Arménie – 1454-1510). Toujours selon les indications biographiques, Vincenzo Cornaro aurait été, entre 1591 et 1593, directeur sanitaire de Candia au moment d’une épidémie de peste ; ses intérêts littéraires trouveraient leur source, tant en langue vénitienne que grecque, à l’Accademia degli Stravaganti (Académie des Extravagants), dont la fondation à Candia est attribuée à son frère Andrea. Vincenzo Cornaro serait mort pour des causes inconnues, en 1613 ou 1614, et enterré dans l’église de San Francesco, où on ne trouve aucune trace de sa tombe. Maintenant, nombre de sources, cependant, déplacent la date de la mort de Vincenzo Cornaro en 1677, en indiquant 1613 ou 1614, comme année de naissance. Comme on peut voir « Vincenzo Cornaro », encore faut-il qu’il ait effectivement existé (la chose est de toute façon possible), comporte beaucoup d’éléments légendaires, tout comme il est certain que l’Érotocrite a en soi beaucoup de caractéristiques des œuvres populaires, en premier lieu des célèbres μαντινάδες [madinades] crétoises, typiques de la partie orientale de l’île. Que le poème présente une composante cultivée et « littéraire » est indubitable ; une analyse approfondie de sa langue et de ses tournures poétiques le révèle clairement. On gardera donc son attribution traditionnelle à Vincenzo Cornaro.

L’Érotocrite, en sa structure et son argumentation, est un roman pleinement médiéval malgré sa rédaction assez tardive. Des romans du genre circulaient encore pleinement dans l’Europe XVI et du XVIIe siècles. Arrivé sur les rivages de Crète, le « Paris et Vienne » reçut, comme il apparaît, un traitement particulier, et pas seulement du point de vue de la métrique et du langage ; il fut importé tel quel, en somme, dans la tradition crétoise (ou mieux, crétois-vénitienne) en maintenant des liens évidents avec ses origines. Éliminé tout élément remontant aux Croisades, elle devint bien vite l’œuvre la plus représentative et vitale de la littérature crétoise, l’unique qui s’exprimait entièrement à travers des dialectes vulgaires. L’action est transposée en Grèce, dans une ancienne Athènes imaginaire qui reproduit par contre parfaitement (même dans l’imagerie traditionnelle du poème) une ville médiévale. Athènes est sous la coupe d’un roi, Eraclio, qui a une fille unique et très belle, âgée de dix-huit ans, Arétuse (« Vertueuse »). Le jeune Érotocrite (qui dans le poème, à une partie le titre, est exclusivement nommé dans sa forme populaire Ῥωτόκριτος [Rotòkritos]…), fils du conseiller du roi Pezòstrato (« Soldat d’infanterie »), en tombe éperdument et désespérément amoureux (« Érotocrite » signifie « Tourmenté de l’Amour »). Chaque nuit Érotocrite, poussé par la passion, se rend avec son luth sous les fenêtres du palais royal pour chanter des vers d’amour, après les avoir transcrits pour pouvoir s’en souvenir. Le roi Eraclio, père de la belle Arétuse, met en place divers guets-apens pour découvrir l’identité de l’amoureux de sa fille, et par lui, Érotocrite est forcé d’interrompre ses sérénades passionnées. Arétuse, qui, avec le temps, est aussi tombée follement amoureuse du garçon, s’en afflige beaucoup et confesse tout à sa nourrice ; Érotocrite part, rendant malade de douleur son père, qui reçoit la visite de la reine et de sa fille Arétuse, quand cette dernière trouve dans le jardin une cabane où Érotocrite a l’habitude de se tenir et dans laquelle il garde ses poèmes d’amour. En raison de la maladie de son père, Érotocrite rentre à Athènes, craignant toutefois qu’Arétuse ait tout révélé à son père, le roi Eraclio ; mais celui-ci ne sait rien, et le jeune homme recommence ainsi à fréquenter la cour en participant à un tournoi de chevalerie. Érotocrite l’emporte, et reçoit le prix des mains d’Arétuse, qui lui déclare ensuite son amour. Érotocrite prend courage et demande au roi Eraclio la main d’Arétuse ; mais le roi la lui refuse et l’envoie en exil (sujet du très célèbre morceau Τὰ θλιβερὰ μαντάτα). Arétuse lui offre un anneau, comme gage d’amour et de fidélité ; le roi son père veut donner Arétuse comme épouse au prince de Byzance. Sa fille refuse, et le père fait alors enfermer Arétuse en prison. Entretemps, la guerre a éclaté entre le roi d’Athènes et le roi des Valaques ; Érotocrite revient alors combattre pour sa patrie, en tuant beaucoup de Valaques et en sauvant la vie du roi Eraclio, qui avait été enlevé. Le roi offre à Érotocrite la moitié de son royaume et il lui concède la main d’Arétuse. Le roman se conclut heureusement avec les noces des deux amoureux.

Comme dit supra, la transposition du roman médiéval français en terre de Crète a produit, comme toutes les hybridations, une œuvre littéraire fort originale à tout point de vue. Sous celui de l’acclimatation, puisque du poème on entrevoit parfaitement Crète sous les dépouilles de l’ancienne Athènes imaginaire (à son tour un τόπος [topos] répandu dans l’Europe médiévale ; on pense par exemple aux nouvelles de Boccace acclimatées dans une Athènes elle aussi seulement littérairement classique) ; sous celui de la versification, qui respecte une forme traditionnelle crétoise, celle du μαντινάδα en distiques en rime baisée, au sujet amoureux ou satirique, laquelle est cependant à son tour de dérivation vénitienne (le terme dérive de la vénitienne matinada « chante au matin ») et qui, en dernière analyse, trouve son origine dans l’aubade provençale ; sous celui du langage, où cohabitent les formes dialectales crétoises, les formes neohelléniques normales et les formes classiques en produisant une richesse incomparable ; et sous celui de la fraîcheur, qui rend de la vie à un frustre roman médiéval, sorte feuilleton populaire qui en Crète, fut revitalisé, probablement, aussi par sa transposition immédiate en chant. En réalité, l’Érotocrite est imbibé de la vie grecque, et crétoise en particulier, de ses traditions et de son folklore. En même temps, l’auteur, quel qu’il fut, montre une maestria littéraire consommée ; il sait portraiturer les personnages de manière précise, en montrant un grand esprit d’observation et un considérable approfondissement psychologique des personnages (tout à fait absent du roman médiéval original, uniquement centré sur leurs péripéties aventureuses). Malgré qu’on sache dès le début que les événements compliqués auront une fin heureuse, l’auteur tente habilement de tenir en haleine le lecteur. Par exemple, l’emploi typique des répétitions, du fait qu’il désire maintenir le suspense de l’intrigue et n’est pas du tout désireux d’arriver à la fin (d’où la considérable longueur du poème). En italien, le poème a été traduit intégralement et commenté en 1975 par le grand néohelléniste Francesco Maspero, pour les éditions Bietti ; mais pour les morceaux de cette page, on offre des traductions originales.

Comme ce peut être évident, l’Érotocrite a eu des transpositions musicales dans les temps contemporains ; ce commentaire s’intéresse spécifiquement à la principale d’entre elles. Elle remonte à 1976, quand douze morceaux d’Érotocrite furent mis en musique par le musicien athénien Christodoulos Hàlaris (Χριστόδουλος Χάλαρης, né en 1946) et confiés aux voix de Tania Tsanaklidou (Τάνια Τσανακλίδου, né en 1952 à Drama en Macédoine) et, surtout, du Crétois Nikos Xylouris « Psaronikos » (1936-1980). En réalité, le premier des douze morceaux, Ὁ τροχὸς τῆς Μοίρας, avait été mis en musique par Halaris déjà en 1964 et interprété de Manos Katrakis (Μάνος Κατράκης). Le succès de l’album fut extraordinaire, et pas seulement grâce à la voix de l’« Archange de Crète ». L’Athénien Halaris avait créé des musiques qui, orchestration à part, pourraient être difficilement distinguées des authentiques compositions populaires crétoises. D’autres morceaux de l’Érotocrite ont été mis en musique par d’autres, parmi lesquels on rappelle Paris Perysinakis, Nikos Mamangakis, Nikos Xydakis ; un morceau (le vv. 491-514) l’a été par Miltiadis Paschalidis et interprété par le même Nikos Xylouris. Mais l’album de 1976 reste l’Érotocrite en musique par excellence… L’espoir de cette page longue et compliquée, faite pour s’acquitter de la promesse faite à (au regretté) Gian Piero Testa, est qu’au-delà d’inciter à la lecture d’Érotocrite dans son intégralité, elle fasse quand même un peu rêver. [RV]


Vincenzo Cornaro
ÉROTOCRITE

Fragments mis en musique par
CHRISTODOULOUS HALARIS

Interprètes
NIKOS XYLOURIS
TANIA TSANAKLIDOU
1976


Christodoulos Hàlaris.
Christodoulos Hàlaris.
Nikos Xylouris.
Nikos Xylouris.



Tania Tsanaklidou.
Tania Tsanaklidou.

1. La roue du Destin
Nikos Xylouris


Les tours du cerceau, qui montent et descendent,
Et de la roue, qui parfois montent et parfois s’abîment
Avec le temps qui ne s’arrête pas,
Mais marchent et courent par malheurs et joies.

Armes, tumultes, inimitiés, charges,
Les pouvoirs de l’Amour, la vertu de l’Amitié.
Tout cela me pousse, en ce jour à raconter
Et à dire ce que connurent et firent

Une fille et un garçon, qui se lièrent l’un à l’autre
D’une amitié pure, sans aucune indécence.
Son nom, son doux nom est Arétuse,
Grandes sont ses beautés, extérieures et intérieures.

La nature l’a faite femme pleine de grâce ;
Ni à l’Orient et ni à l’Occident, on ne trouve son égale
Et le nom du garçon est Érotocrite,
Un torrent de courage, un flux de noblesse.

Et toutes les grâces par le Ciel et les Étoiles engendrées
Desquelles il a été doté, lui ont été destinées,
Et dans la nuit fraîche où chacun se repose
Et tout animal cherche un endroit pour la pause,

Il prend son luth, et marchant silencieusement,
Devant le palais, il va jouer doucement.

2. Racines
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Dans le passé, du temps où commandaient les Hellènes
Et où leur foi n’avait ni base ni racine,
Parut dans le monde un amour fidèle qui fut gravé
Dans le cœur sans jamais s’effacer.

À Athènes, qui nourrissait l’étude et la sagesse,
Et qui était trône de vertu et fleuve de connaissance,
Un grand Roi régnait sur cette digne terre,
Il s’appelait Eraclio et devint célèbre.

Très jeune, il épousa et vécut avec une compagne
À laquelle on ne trouva jamais de défaut, personne ;
Artemide était le nom de cette Reine,
Pour la sagesse, elle n’eut jamais d’égale.

Et ils priaient souvent le Soleil et le Ciel afin
Qu’ils leur concèdent l’enfant tant désiré ;
Passent les mois et les ans, et la Reine fut enfin
Enceinte et le Roi ne dut plus ruminer de graves pensées.

Elle eut une fille qui illuminait le Palais
Quand la nourrice dans ses bras la montrait ;
Son nom, son doux nom était Arétuse,
Grandes ses beautés, généreuses ses muses.

Le Roi disposait de beaucoup d’hommes riches et sages,
Conseillers qui étaient ses vassaux fidèles.
Parmi eux, un lui était cher, qu’il tenait toujours en sa compagnie,
Celui-là s’appelait Pezòstrate.

Lui aussi avait un enfant adoré,
Intelligent et de grande valeur, comme le miel, sucré.

3. L’Heure de l’Amour
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Le nom de ce garçon était Érotocrite,
C’était un flux de vertu, un flux de noblesse.
Et de toutes les grâces par le Ciel et les Étoiles générées
Il avait été doté, car elles lui avaient été destinées.

Durant ce temps, le sort amer infuse
En son esprit l’amour pour Arétuse.
Et que fait l’Amour, dans un cœur qu’il commande,
Si ce n’est le vaincre pour que le bien du mal, il ne distingue ?

Il se fait soir, il se fait nuit, leurs cœurs défaillent,
Voilà la rencontre à la fenêtre et se disent leurs tourments.
Une heure durant, ils pleurent et gémissent âprement,
Puis, avec de grands soupirs, ils étreignent leurs peines.

4. Tristes Nouvelles
Nikos Xylouris


Les as-tu entendues, mon Arétuse, les tristes nouvelles ?
Ton Seigneur m’envoie sur les routes de l’exil.
Il m’a laissé, quatre jours seulement,
Et après, je partirai pour m’en aller loin, pour longtemps.

Et comment pourrai-je m’éloigner, me séparer de toi ?
Comment pourrai-je vivre en cet exil lointain sans toi ?
Je sais aussi que ton Seigneur te fera épouser, c’est normal,
Le fils d’un roi ou d’un noble qui soit ton égal.

Tu ne peux pas t’opposer à la volonté du Roi,
Il te fera plier et d’avis, tu changeras
Mais, Madame, je te demande, et je veux seulement cela,
Après quoi, je finirai ma vie avec grande joie.

Aies pour moi un soupir, quand tu seras promise épouse,
Et quand on te vêtira en mariée et tu deviendras femme,
Dis-toi par-devers toi, en larmes : malheureux Érotocrite,
Celle que tu voulais, n’est plus, j’ai oublié ma promesse,

Et une fois chaque mois, enfermée dans ta chambre,
Rappelle-toi que je souffre pour toi, combien pour moi ton cœur souffre.
Et prends le portrait que tu as trouvé dans l’armoire,
Et les chants que je composai, qui tant te plaisent.

Et lis-les, et ramène à moi ta pensée,
À moi qui suis exilé en de lointaines terres étrangères.
Et moi, malheureux, je feindrai de ne t’avoir jamais regardée,
J’avais allumé une bougie, qui pour moi s’est éteinte.

Et je feindrai d’être pris dans les lacs d’amour d’une femme,
Que les lacs se sont cassés, et que je l’ai perdue.
Oublie-moi toujours et chasse tes espérances,
Oublie de que tu m’as connu et que je t’ai jamais vue.

Mais partout où j’irai, et tant que je vivrai,
Je te promets que jamais, je ne regarderai une autre et jamais, je ne céderai.
Je préfère t’avoir avec la mort, qu’une autre avec la vie,
Toute ma personne est venue au monde pour toi, ma mie.

5. Lamentation d’Arétuse
Tania Tsanaklidou


Tes mots, Érotocrite, c’est du poison pour moi,
Jamais je n’aurais cru, jamais je ne me serais attendue à les entendre.
Et comment je pourrais te renier, le voudrais-je même ? Ne me laisse pas,
Tu as peint mon cœur comme un arc-en-ciel
Et je jure au Soleil, à la Lune et au Ciel,
Que je ne serai jamais l’épouse d’un autre.

Elle ôte de son doigt la superbe bague,
Entre les larmes et les soupirs, elle le tend à Érotocrite.
Et lui dit : « Voilà, prends-le et mets-le à ta main droite,
Signe que, tant que je vivrai, je serai ta compagne.
Et ne l’enlève jamais, tant que tu vivras ta vie, mon aimé,
Garde-le pour te rappeler toujours celle qu’il te l’a donné.

Je préférerais mourir cent fois, plutôt que d’être
L’épouse de quelqu’un qui ne serait pas mon Érotocrite.

6. La Séparation
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Jusqu’à l’aube, ils parlent ; ils pleurent jusqu’à l’aube
Et jusqu’à l’aube, ils se dirent leurs douleurs et leurs peines.
Le ciel s’éclaire à l’orient et il tonne à l’occident,
Quand leurs lèvres s’ouvrent à leur adieu déchirant.

Et un grand prodige advient à la fenêtre,
Les pierres et les grilles pleurent cet instant.
Érotocrite s’en va, car déjà le presse le moment,
Avec un soupir amer qui ébranle le royaume.

Il raconte ses tourments aux bois et aux arbres,
Et souvent lui répond la vallée ou la montagne.
« Ciel, jette le feu et qu’il détruise le monde,
Que tous soient touchés et brûlés, sauf Arétuse.

Pour l’injuste décret qui m’a été appliqué,
Laissant mon pays, en exil, je dois m’en aller.
Étoiles, ne le permettez-pas ! Soleil, envoie-moi un signe,
Et contre ce roi cruel, lance ta foudre.

7. La Rencontre
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Viennent le temps et l’heure, et sourd enfin le jour
Pour Érotocrite, qui révèle ce qui est caché.
L’aube fuse joyeuse dissipant la douce rosée,
Signe de la joie de cette heure d’amour.

Les petites herbes sortent de terre, fleurissent les arbrisseaux,
Et du fond du ciel souffle une douce tramontane.
Resplendissent les rivages, la mer dort et on entend
Entre les arbres et les eaux comme une douce sardane.

Les vals du pays rient, les routes sourient,
Tout révèle des joies cachées, tout les manifeste ;
Et dans la sombre prison où gît Arétuse
Entrent deux beaux oiseaux qui doucement chantent.

8. Le faux Récit
Nikos Xylouris


À peine entré dans la prison, Érotocrite
Lance un regard amoureux et lui parle :
« Je réponds à ce que tu demandes, écoute
Où j’ai trouvé l’anneau que je t’ai laissé en cellule.

Il y a aujourd’hui deux mois, je me trouvais dans une forêt
Du côté d’Ègripo, où je fuyais des fauves
Désireux de me dévorer ; après une lutte violente,
Une partie s’échappe ; de mes mains, je tue ceux qui restaient.

Dangereusement, je m’en tire en combattant.
Je n’aurais jamais espéré pouvoir me sauver,
Mais ma bonne étoile m’aida ; j’en tuai
Et j’en chassai et je restai sauf finalement.

Une grande soif me prend après cette bataille,
En cherchant de l’eau, je m’approche d’une yeuse ;
Il me semble entendre le gargouillis d’un ruisseau,
Je m’arrête et dans le creux d’un rocher, je trouve l’eau.

Je la bois, je me rafraîchis, et ma soif passe ,
Mais même alors, mes autres tourments ne m’abandonnent pas.
Pour me reposer près du ruisselet, je m’assois
Quand j’entends les soupirs et les gémissements d’un malade.

Je me lève en vitesse, et je me hâte d’aller
Voir qui souffre, qui est si désespéré ;
J’entre dans le taillis près de la fontaine
Et je trouve ce jeune gars qui se lamente.

C’est un jeune noble, splendide comme le Soleil,
Aux cheveux blonds et frisés, à Apollon pareil,
Qui gît ensanglanté devant une caverne.
Bien qu’il semble mort, sa beauté est manifeste.

Auprès de lui gisent deux fauves tués,
Et son glaive et ses armes sont tout ensanglantés.
Je m’approche, je le salue ; je lui dis : « Salut à toi, étranger.
Te voilà mourant, où es-tu blessé ? »

Il avait les yeux clos, mais alors il se reprend un peu ,
Il me regarde en silence et se touche la gorge.
Avec le doigt, deux fois, afin que je comprenne,
Il m’indique où il est blessé pour que je le puisse aider.

Je découvre sa poitrine en enlevant l’armure,
Un peu sous la gorge, je trouve une blessure,
Une chose de rien, une très légère morsure,
Mais la dent du fauve devait être impure,
Le poison était entré et l’avait tout envahi,
Car sa force et son souffle étaient partis.

Il s’éteignait comme une bougie qui meurt lentement,
J’ai pleuré beaucoup et me suis tourmenté pour lui à ce moment.
Frère dans mon cœur, il me vint de pleurer et pour lui, de souffrir,
Mais peines, larmes et lamentations ne peuvent sauver un homme.
Agonisant, il me disait de rester là et de ne pas partir,
Il croyait que de cette blessure, je pouvais le guérir sur le champ.

Il me montre alors l’anneau qu’il a au doigt,
Je crois qu’il veut me le donner en cadeau d’ami.
Avec peine, mes oreilles entendent sa voix,
Et ses lèvres disent : « Je t’ai perdue, Arétuse. »
Il dit seulement ça ; et sa vie finit ainsi,
Et avec un triste râle, son âme se diffuse.

Ces mains que tu vois creusent sa fosse,
Le portent à la tombe et l’enterrent.
Quand elle entend ça, Arétuse s’enfonce
Dans le silence, la douleur l’envahit et l’atterre.

9. Lamentation
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Quand elle entend ça, Arétuse s’enfonce
Dans sa douleur et se perd dans le silence.
La fièvre croît et elle perd toute retenue,
Elle sent son esprit s’envoler comme un oiseau qui fugue.

Elle n’a honte de rien, elle ne craint plus personne,
Entre les hoquets et les soupirs, déborde sa peine.

10. Désolation
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Érotocrite, pourquoi devrais-je prolonger ma vie,
Quel espoir me reste-t-il pour patienter ?
Sans toi, comment puis-je vivre encore en ce monde ?
Maudit destin que celui qui m’est réservé !

Je vis avec ta vie, je vois avec ta lumière,
En pensant à toi, je surmonte et supporte toutes mes misères.
J’ai renié mes parents, je renie ma richesse
Et jamais ne me pèsent les châtiments qui m’agressent.

Pensant que tu es, Érotocrite, mon époux aimant,
Toi, pour moi, tu es devenu ma mère et mon père.
Pour toi, je me lamente, pour toi, mille douleurs, je souffre,
Pour toi, je me torture depuis cinq ans.

11. La Révélation
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Elle veut lui dire d’autres choses, mais lui faut la voix,
Et elle tombe à terre, blanche et se glace plus que le gel.
Il ne dit rien, mais il se lave et devant elle,
Il apparaît éblouissant comme autrefois.

Érotocrite resplendit sans plus cette noirceur,
De nouveau, son visage retrouve sa splendeur,
Ses boucles d’or, ses mains blanches comme le marbre
Et son incarnat blanc et rouge, et sa beauté suave.

Arétuse le reconnaît et elle se le remémore,
Mais elle ne saisit pas si elle est en éveil ou si elle rêve encore .
Elle défaille soudain ; elle se tourne et le regarde en grande joie,
Mais parler déjà, de grand contentement, elle ne le peut pas.

12. Le Jour splendide
Nikos Xylouris et Tania Tsanaklidou


Arrive ce jour splendide, commence le doux temps
Où Érotocrite accède au trône et prend la relève.
Jamais, on ne vit un couple d’époux s’aimer tant,
Jamais un mariage si heureux et si prospère.

Ils ont des enfants, qui sont riches,
Et Arétuse est mère et même, grand-mère.
L’homme, s’il est sage, ne s’égare pas, dans les sentines
Et la rose, belle fleur, naît au milieu des épines.

Arrive ce jour splendide, commence le doux temps
Où Érotocrite accède au trône et prend la relève.
Jamais, on ne vit un couple d’époux s’aimer tant,
Jamais un mariage si heureux et si prospère.

Ils ont des enfants, qui sont riches,
Et Arétuse est mère et même, grand-mère.
L’homme, s’il est sage, ne s’égare pas, dans les sentines
Et la rose, belle fleur, naît au milieu des épines.

Vincenzo, de la lignée des Cornaro, est celui qui composa
Et qu’il soit sans péché quand Charon le cueillera.
À Sitìa, il est né ; il a été élevé à Sitìa,
Et il composa et écrivit sa grande œuvre, là-bas.
À Castro [1], il a pris femme, comme nature conseilla,
Et il connaîtra sa fin où Dieu le voudra.
[1] Candia, Heraklion

inviata da Marco Valdo M.I. - 23/12/2018 - 18:03


E' anche per te, Lorenzo, l'Erotòcrito

Lorenzo "Mao" Bargellini.
Lorenzo "Mao" Bargellini.


Ci ho messo quasi un anno, undici mesi per la precisione, a terminare questa pagina che, un tempo forse già lontano, avevo promesso a Gian Piero Testa. Non avevo fatto in tempo. Ora è terminata con la sua traduzione completa e le sue note.

Mentre la stavo ultimando mi ha raggiunto la notizia della morte di Lorenzo "Mao" Bargellini. Lorenzo era un compagno e un amico, ma era anche un pezzo di storia di una città dalla parte di chi lotta, di chi non si arrende, di chi non chiacchiera o straparla, di chi si mette in gioco senza nulla chiedere.

Lorenzo se n'è andato in una domenica rovente di prima estate, da solo.

Vorrei quindi dedicare anche a lui l'Erotòcrito, che, come al suo antico compositore Vincenzo Cornaro, "tanta fatica mi è costato" per adempiere ad una promessa fatta ad un altro amico che non c'è più.

E' una favola, l'Erotòcrito, una favola di amore, di sofferenze, di coraggio e, infine, di gioia. Può darsi che sia così soltanto nelle favole, e che tutto questo non c'entri assolutamente niente né con Gian Piero e né con Lorenzo.

O forse sì, chissà. Perché qualcosa, Lorenzo, secondo me ce l'aveva dell'Erotòcrito. "Tormentato dall'amore", che sia di Aretusa o di chi non ha una casa e si trova a fronteggiare un padrone senza pietà, non importa molto.

Era questo che volevo semplicemente dire, chinandomi al volere del Fato.

Riccardo Venturi - 9/6/2017 - 13:03


Sieur Marco Valdo, je tiens à vous remercier personellement pour votre traduction intégrale de l'Érotocrite. Ce n'est pas un jeu, et je le sais bien; et je la prends comme un véritable "cadeau de la fête d'Horus", d'autant plus que je ne m'y attendais pas. Les μαντάτα n'ont pas été θλιβερά, cette fois-ci, dans ce monde cacochyme (pour une fois, c'est moi qui le dis). Merci encore à vous et à Lucien Lâne, Μάρκος Βάλδος και Λουκιάνος 'Ονος, άρχοντες.

Riccardo Venturi - Ελληνικό Τμήμα των ΑΠΤ "Gian Piero Testa" - 24/12/2018 - 07:13




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