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Черный тюльпан

Aleksandr Rozenbaum / Александр Розенбаум
Language: Russian


Aleksandr Rozenbaum / Александр Розенбаум

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Песенка о пехоте
(Bulat Šalvovič Okudžava / Булат Шалвович Oкуджава)


Čërnyj tjul’pan
[1986]
Слова и музыка: Александр Розенбаум
Parole e musica: Alexander Rosenbaum
Testo trovato qui e qui

Alexander Rosenbaum è cantautore famoso in Russia soprattutto per la sue interpretazioni nel genere musicale “Блатнaя пeсня”, che qui da noi sarebbero le “canzoni della mala”. Nell’ultimo decennio Rosenbaum ha usato la sua popolarità per fare carriera politica nelle fila del partito di Putin e di Medvedev, il nazionalista, mafioso, bellicoso e destrorso Единая Россия (che non per nulla ha come simbolo un orso che si muove verso destra, sormontato dai colori della Madre Russia!)...
Ce ne sarebbe già abbastanza per non accogliere le sue canzoni sulle CCG…



Se non che questa canzone, pure a suo modo patriottica, parla di tutti quei giovani che tra il 1979 ed il 1989 dall’URSS furono mandati a morire in Afghanistan, il “Vietnam sovietico”, anzi, qualcosa di più del Vietnam, visto che gli USA non si dissolsero dopo la batosta in Indocina mentre l’avventura sovietica in Afghanistan contribuì e di molto all’accelerazione del crollo del regime comunista (oltre ad impiantare alcuni dei mali che ancora oggi affliggono il pianeta, primo fra tutti il jihadismo fomentato dagli americani che, come ebbe a dire Brzezinski – consigliere per la sicurezza del presidente Jimmy Carter e viscerale anti-comunista di origine polacca – in Afghanistan fecero cadere in trappola i sovietici).



Tulipano Nero” era il funereo nome dato all’aereo cargo Antonov An-12, modello da trasporto largamente impiegato dalla forze armate sovietiche e poi russe, fino al recente bando dai cieli dovuto alla sua inaffidabilità e insicurezza (quasi 200 i gravi incidenti accaduti a partire dalla sua introduzione nel 1959!). I soldati sovietici in Afghanistan lo chiamavano anche con la sigla “Груз 200” perché 200 erano le bare zincate che l’aereo poteva contenere nella sua capiente pancia. Oggi credo che il nome sia stato ripreso per i TIR che trasportano i cadaveri dei russi che combattono nell’Ucraina orientale…



Riprendo da un articolo di Francesco Roberto pubblicato su Cronache Internazionali:

“[…] Ma non erano mai più di trenta o quaranta a compiere insieme questo viaggio: le tristi operazioni di scarico sarebbero dovute avvenire nel modo più veloce e insospettabile possibile.

In realtà, l’intero volo si svolgeva in gran segreto, senza insegna alcuna e in completo silenzio radio. Agli occhi dell’intera Unione Sovietica e a quelli dell’opinione pubblica mondiale nemmeno il minimo segnale di debolezza sarebbe dovuto trapelare. La guerra era quasi del tutto vinta: questa doveva essere l’unica notizia ufficiale. La realtà era però ben diversa, e da lì a pochi mesi gli ufficiali dell’Armata rossa – che con la 40-esima armata avevano occupato i centri nevralgici di quello sperduto Paese – cominciarono ad accorgersene. I voli mensili del Tulipano nero divennero sempre più frequenti, e se a fine 1980 i caduti avevano raggiunto la già spaventosa cifra di 1500 soldati, nel 1984 il totale annuo di morti arrivò addirittura a 4800. L’Unione Sovietica cominciava così a nascondere i suoi primi morti dalla fine della seconda guerra mondiale. […]



Assieme alle bare zincate cominciò ad arrivare la censura, tagliente ed efficiente come solamente l’ufficio stampa del KGB sapeva fare. Le poche notizie sull’Afghanistan che comparivano nelle testate nazionali vennero “sovieticamente” ripulite delle parole scomode, dalle notizie delle continue imboscate ai convogli e dall’interminabile elenco dei morti. In Afghanistan non si moriva più in battaglia ma durante le esercitazioni: questa era la versione ufficiale. Sulle lapidi, in aree ben circoscritte all’interno dei molti cimiteri militari sparsi in tutta la Russia, l’epitaffio riportava semplicemente le alquanto tristi e desolanti parole «Morto nello svolgimento del proprio dovere. Luogo: sconosciuto».

Al 15 febbraio 1989, quando l’ultimo soldato russo attraversò il ponte sul fiume Amu Darya, si calcola che per ben 26 mila uomini non ci fu ritorno. E per chi invece riuscì a tornare la vita non fu affatto semplice e riconoscente. Tutti quei soldati mandati a combattere per una causa non loro in una terra desolata non riuscirono mai a trovare nella società il meritato posto che tanto a lungo gli era stato promesso: quello di eroi dell’Unione sovietica. Negli anni Ottanta erano stati combattenti di una guerra che ufficialmente non esisteva. Poi, in un impero che si stava velocemente sgretolando a suon di perestrojka e glasnost’ non ci fu alcuno spazio per loro, e così immediatamente divennero l’ultimo problema della società.

Gli ufficiali cercarono la via politica, mentre per i soldati rimase soltanto quella dell’emarginazione: era arrivata la tanto agognata libertà di parola ma nessuno li ascoltava più. Attorno a questi reduci dimenticati iniziò a nascere una moltitudine di piccole associazioni di aiuto, composte dalle madri dei caduti zincati – come i commilitoni chiamavano gli sfortunati utilizzatori del Tulipano nero – e dei soldati mai più ritornati.

Dall’avventura afghana, tuttavia, quasi nulla del modus operandi militare russo è cambiato, nonostante oggi nuove leggi garantiscano un’esistenza abbastanza decorosa alla maggior parte dei reduci. I soldati di leva sono divenuti i nuovi emarginati, vessati da innumerevoli violenze e privazioni, considerati dai loro comandanti più come schiavi e lavoratori da sfruttare che come difensori di una patria che d’imponente conserva ormai solamente l’altisonante passato. Sono stati spediti in Ossezia per ben due volte e in Cecenia per altrettante [e più recentemente nel Donbass e in Siria, ndr] […]

Alla fine dunque, nonostante le innumerevoli assicurazioni che ciò non sarebbe accaduto mai più, altri Tulipani Neri hanno volato in questi anni senza insegne sulla carlinga, verso luoghi sconosciuti, carichi di bare anonime consumate dalla vergogna di un’istituzione che non è stata in grado di difendere i propri figli. Quegli stessi figli dimenticati in lontani e sconosciuti campi di battaglia stranieri, che non rivedranno mai più le loro madri in attesa di quell’ultimo Nero Tulipano.




Un articolo questo a tratti (omessi) piuttosto retorico, così come peraltro la canzone stessa, che celebra il sacrificio dei soldatini comunisti ma omette completamente di parlare di tutte le nefandezze da loro compiute sugli Afghani, un popolo che negli ultimi decenni ha conosciuto soltanto e ininterrottamente le guerre volute dai potenti della Terra… E poi inorridiamo di fronte alle crudeltà di Talebani e mujahideen jihadisti!
В Афганистане в "Черном тюльпане"
С водкой в стакане мы молча плывем над землей.
Скорбная птица через границу
К русским зарницам несет наших братьев домой.

В чёрном тюльпане те, кто с заданий
Едут на родину милую в землю залечь,
В отпуск бессрочный, рваные в клочья,
Им никогда, никогда не обнять тёплых плеч.

Когда в оазисы Джелалабада
Свалившись на крыло "Тюльпан" наш падал,
Мы проклинали все свою работу:
Опять пацан подвел потерей роту!

В Шинданде, в Кандагаре и в Баграме
Опять на душу класть тяжелый камень,
Опять нести на Родину героев,
Которым в двадцать лет могилы роют.
Которым в двадцать лет могилы роют.

Но надо добраться, надо собраться
И, если сломаться, но можно нарваться и тут.
Горы стреляют, "Стингер" взлетает,
И, если нарваться, то парни второй раз умрут.

И мы идем совсем не так, как дома,
Где нет войны, и все давно знакомо,
Где трупы видят раз в году пилоты,
Где с облаков не валят вертолеты.

И мы идем, от гнева стиснув зубы,
Сухие водкой смачивая губы.
Идут из Пакистана караваны,
И значит, есть работа для "Тюльпана".
И значит, есть работа для "Тюльпана".

В Афганистане в "Черном тюльпане"
С водкой в стакане мы молча плывем над землей.
Скорбная птица через границу
К русским зарницам несет наших братьев домой.

Когда в оазисы Джелалабада
Свалившись на крыло "Тюльпан" наш падал,
Мы проклинали все свою работу:
Опять пацан подвел потерей роту!

В Шинданде, в Кандагаре и в Баграме
Опять на душу класть тяжелый камень,
Опять нести на Родину героев,
Которым в двадцать лет могилы роют.

Опять нести на Родину героев,
Которым в двадцать лет могилы роют…

Contributed by Bernart Bartleby - 2015/12/23 - 11:35


Ciao Admins, spero che col russo me la sono cavata... Ma però se ci avete voglia di darci un'occhiata...

Ho inserito la canzone nel percorso sulla Destra viste le posizioni dell'autore... Un percorso sull'invasione sovietica dell'Afghanistan non c'è, e quindi...

Bernart Bartleby - 2015/12/23 - 11:38


Автор ты бездарный олень - понятия не имеющий о чем пишешь - хотя, читая этот недалекий опус настроение от твоей тупости конечно же поднимается))) PS. Посмотрим куда США растворится после очередного ухода из Афганистана (хрен знает какого по счету американского Вьетнама)

Обама-навсегда - 2019/4/12 - 18:17




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