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Ρωμαιίκο 2 ΙΙ

Mihalis Terzis / Μιχάλης Τερζής
Language: Greek (Modern)


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Το τραγούδι της πλατείας
(Vasilis Papakonstandinou / Βασίλης Παπακωνσταντίνου)
Όλη τη μουσική μες στην αγάπη βάλε
(Mihalis Terzis / Μιχάλης Τερζής)
Δον Κιχώτες ( Πέντε μάγκες )
(Mihalis Terzis / Μιχάλης Τερζής)


Romaïiko 2, II
Στίχοι: Κωστής Παλαμάς
Μουσική: Μιχάλης Τερζής
Πρώτη εκτέλεση: Διονύσης Θεοδόσης με Παιδική χορωδία
Δίσκο: « Όλη τη μουσική μες στην αγάπη βάλε», 1984

Testo di Kostìs Palamas
Musica di Mihalis Terzis
Prima interpretazione di Dionisis Theodosis e coro infantile
Disco: "Όλη τη μουσική μες στην αγάπη βάλε/Metti tutta la musica dentro l'amore" - 1984

Quando dal disco "Metti tutta la musica dentro l'amore" (Όλη τη μουσική μες στην αγάπη βάλε), con i vecchi testi di Kostìs Palamàs musicati da Terzìs, ho scelto i brani che mi sembravano adatti al sito, non so per quale motivo abbia escluso proprio questo. Eppure il suo posticino se lo meritava, accanto agli altri. Ora voglio rimediare; e non mi dispiace di quella distrazione, perché mi consente di far notare due aspetti non sovente sottolineati della polimorfa produzione del Palamàs (1859 - 1943): il possesso di una pungente vena satirica e il coraggio di una lingua demotica, gettata come una sfida sulla faccia dei bempensanti scandalizzati.
Tra il 1908 e il 1909 sulla rivista "Nouma" - fieramente schierata contro l'uso della lingua "katharevousa" - uscirono in due "puntate" 44 componimenti senza titolo e solamente numerati, che solo più tardi andarono a far parte di altre raccolte, senza mai però diventare una pubblicazione autonoma. Si tratta dei Σατυρικὰ γυμνάσματα (Esercitazioni satiriche), composti sullo stesso metro della terzina dantesca.
Quello scelto da Terzìs, il secondo della seconda serie, è uno dei testi satirici più acri non solo del Palamàs, ma delle lettere neogreche in generale, tale da superare lo "specialista" coevo, Yorgos Sourìs (1853 - 1919).

Se consideriamo il momento in cui Nouma pubblicò la seconda serie dei Ghimnasmata (settembre 1909), non ci si può meravigliare di un attacco tanto duro e globale contro la classe dirigente - militare politica e intellettuale: manca solo quella ecclesiastica - concentrato in questa manciata di versi.
E' la stessa stagione in cui il lungo e profondo malessere della piccola Grecia, non capito o negletto da una classe dirigente trasformatasi in oligarchia avida e ignorante, astuta e opportunista sì nella cura dei propri interessi, ma ottusa e inetta di fronte a quelli del Paese, trova un catalizzatore negli ufficiali, prevalentemente di bassa forza, che partecipano alla cospirazione della Lega Militare (Στρατιωτικό Σύνδεσμο) e che, guidati dall'anziano colonnello Nikòlaos Zorbàs, muovono il 15 agosto 1909 dalla caserma di Goudì, nella periferia della capitale, per imporre una svolta alla politica del governo monarchico.

Sui militari pesano i fallimenti delle recenti imprese di Macedonia (1897) e di Creta (1906), di cui attribuiscono la responsabilità all'ignavia della casa reale, degli altissimi ufficiali innalzati ai gradi per meriti cortigiani, e dei notabili politici, i quali subendo il controllo finanziario e l'egemonia diplomatica delle grandi potenze, lasciano che il progetto della unità greca avvizzisca per la mancanza di una forza armata all'altezza del confronto.
Ma le ragioni dei militari di Goudì - che tradiscono un limite corporativo - si legano presto a quelle più ampie (politiche e sociali) di buona parte della popolazione, che si unisce al movimento. Sembra ritornare il 3 settembre 1843, la giornata costituzionale di Makriyannis.

Il risultato del colpo di stato di Goudì fu però solo politico. Se fu un innegabile progresso costituzionale l'aver imposto a un monarca riluttante di convivere dall'ottobre 1910 con un primo ministro indicato da militari ribelli ma eletto dal popolo (il cretese Eleuterio Venizelos, liberale, repubblicano e nazionalista) dalle vedute politiche opposte alle sue, di certo non si può parlare di una rivoluzione, e tanto meno dell'inizio di una stagione di sollievo per le miserie della plebe. La svolta, anzi, condusse i Greci a imboccare un percorso di sangue, scandito di lì a soli due anni da cinque guerre consecutive (le due vittoriose guerre balcaniche, la partecipazione alla prima guerra mondiale con annesso conflitto civile e, infine, la fallimentare impresa di Anatolia). Per non parlare dell'ingerenza che i militari avrebbero anche in seguito esercitato sugli sviluppi della politica interna e internazionale del Paese.

Indipendentemente dagli sviluppi che esso avrebbe impresso al paese, le ragioni e il successo del movimento di Goudì si spiegano anche con il clima di insofferenza che - dal momento "alto" delle Olimpiadi del 1896 era rapidamente andato deprimendosi, fino a isolare la monarchia danese e il ceto indigeno di governo (composto ancora di notabili discendenti da facoltosi clan greci già in auge sotto la Turcocrazia e da politicanti corrotti, e rotti ad ogni trasformismo) dal corpo vivo del paese, costituito questo da una borghesia proprietaria, professionale e intellettuale fortemente segnata dall'orgoglio nazionale (la umiliavano e la indignavano il fallimento finanziario dello Stato e gli insuccessi militari delle ultime campagne), ma in qualche modo aperta alle ragioni del popolo basso, considerato portatore di valori etici morali e nazionali essenziali, che andavano coltivati e trasfusi nell'intera società in un ideale circolo virtuoso che reclamava il superamento della diglossia ufficiale.

L'annoso scontro intorno al nodo della lingua, già vivo fin dai primi anni dell'Indipendenza, diventò acutissimo e politico proprio nel primo decennio del secolo scorso. Gli insuccessi militari furono imputati dalla élite reazionaria (...che sosteneva un re tedesco e una regina russa) anche all'impossibilità che un popolo in possesso di una lingua barbarica e quasi internazionalizzata (turca, albanese, italiana, francese, slava, valacca, zingara ecc.) potesse affrontare sul campo un nemico straniero, di cui condivideva le usanze e il linguaggio, sentendosi sufficientemente "greco". Con questi argomenti sacrileghi, i quali vergognosamente ignoravano il sangue versato per la patria e la religione dagli umili pastori e dai contadini combattenti - che dopo le guerre andarono più nudi di prima - i reazionari rinvigorivano quelli dei sostenitori della lingua demotica, per i quali era facile rintuzzare l'attacco, dimostrando che molto più si dovevano ai politici e agli alti ufficiali dalla lingua pura e forbita le calate di brache di fronte alle armi turche e alle prepotenze delle grandi potenze straniere.

Ecco perché nella satira di Palamàs possiamo trovare, a un tempo tanta provocazione linguistica e tanta animosità sociale. Esse vanno - devono andare - di pari passo. Di certo compiacendosene, Palamàs chiama "dotori" i "ghiatrì" (medici), "spirunati" gli "axiomatikì" (ufficiali, ovviamente muniti di bellicosi speroni), "rusfetlides" i "rusfetològhi" (propagandisti dei ministri e dei politici importanti. Ma il "rusfeti", che ricorre sia nella parola plebea sia in quella più alta, è comunque turco), "avocati" i "dikigòri", "mandarini" i "grafiocràtes" (i burocrati), "tartufi" gli "ipokritès" (gli ipocriti), "rampagades" i "keroskòpi" (gli arrampicatori, gli opportunisti), "tartarini" gli "pseftopalikarades" (i guasconi), "Gas-muli" i "mezzi Franchi-mezzi Greci".

In questa adesione al popolo e alla sua lingua, stiamoci attenti, Palamàs non si fa automaticamente il campione di una rivoluzione sociale: anzi, per molti aspetti della vita comune, si deve atteggiare a reazionario culturale più di quanto, credo, potesse desiderare. Ma in quella Grecia povera, frugale, devota, contadina, patriottica e sanguinaria, amata e raccontata anche dal narratore Papadiamandis, c'è senza dubbio il popolo e non la cupida, cinica, vile e ipocrita gente altolocata, ma - dico io - non c'è speranza di alcuna forma di riscatto.
Nel 3° testo della seconda serie , che viene di seguito a quello qui presentato, per esempio Palamàs così si esprime:

Gli altari sbriciolati e tutti spenti
i lampadari della devozione.
Neppure Atena, vergine guerriera

e neppure la benedizione della Madonna.
Nel nuovo e nell'antico, nelle rovine e nei palazzi
il vuoto ovunque: il gelo dell'incredulità.

Come branchi di belve e come armenti
vivon le vite, mangiano, son mangiati e passan via.
E su ogni sera mandata dagli dei

miranda vision lungi da noi balenano
come fantasmi e Scienza e Idea.
Barbari in chiesa a loro si prosternano.

Il tuo cavallo, Ibrahim, ancora ci calpesta!

[ 3, II
Οἱ βωμοὶ συντριμμένοι καὶ σβησμένα

τὰ πολυκάντηλα ὅλα τῆς λατρείας.

Οὔτ᾿ ἡ Ἀθηνᾶ, πολεμικὴ παρθένα,


καὶ μήτε ἡ εὐλογία τῆς Παναγιᾶς.

Σ᾿ ἀρχαῖα καὶ νέα, παλάτια καὶ ρημάδια

τ᾿ ἄδειο παντοῦ· τὸ κρύο τῆς ἀθεΐας.

Σὰν ἀγριμιῶν καὶ σὰν ἀρνιῶν κοπάδια

ζοῦν οἱ ζωές, τρῶν, τρώγονται καὶ πᾶνε.

Κι ἀπάνου ἀπ᾿ ὅλα τῶν θεῶν τὰ βράδια


ὑπέρθεα ξωτικὰ φεγγοβολᾶνε

μακριὰ ἀπὸ μᾶς Ἰδέα καὶ Ἐπιστήμη.
Βάρβαροι σὲ ναοὺς τὶς προσκυνᾶνε.

Τ᾿ ἄτι σου ἀκόμα μᾶς πατᾷ, Μπραΐμη!]

Non ho trovato, purtroppo, il video con la canzone tratta da Mihalis Terzis, che in buona parte è affidata a un coro di innocenti bambini che, per dire al re «sei nudo», usano la lingua bastarda : ma sono contento di avere potuto aggiungere un pezzetto di storia neogreca al racconto che, un po' alla volta, sto tentando di farne attraverso le canzoni.
E un grazie a tutti per la paziente attenzione (gpt)
2, II

Στ᾿ ἀκάθαρτα κυλῆστε μας τοῦ βούρκου, 

καὶ πιὸ βαθιά. Πατῆστε μας μὲ κάτι 

κι ἀπὸ τὸ πόδι πιὸ σκληρό του Τούρκου.

Διαβασμένοι, ντοτόροι, σπιρουνάτοι, 

ρασοφόροι, δασκάλοι, ρουσφετλῆδες, 

οἰκοπεδοφαγάδες, ἀβοκᾶτοι,

κομματάρχηδες καὶ κοτζαμπασῆδες, 

καὶ τῆς γραμματικῆς οἱ μανταρίνοι 

καὶ τῆς πολιτικῆς οἱ φασουλῆδες,

ταρτούφοι, ραμπαγάδες, ταρταρίνοι! 

-Ἀμάν! Ἀγά, στὰ πόδια σου! ἄκου! στάσου! 

Βυζαντινοὶ — Γασμοῦλοι — Λεβαντίνοι.

Ρωμαίικο, νά! Μὲ γειά σου, μὲ χαρά σου.

Contributed by Gian Piero Testa - 2014/2/1 - 22:29



Language: Italian

Gian Piero Testa.
Gian Piero Testa.

Versione italiana di Gian Piero Testa

Si vedano le Note alla traduzione
GRECITA' NOVA

2, II

Rovesciateci nelle lordure del fango
e ancor più giù. Schiacciateci con qualcosa
di più duro ancor del piede turco.

Letterati, dottori, e voi con gli speroni
e voi che vestite la tonaca, maestri, galoppini,
divoratori di aree edificabili, avvocati,

capipartito e ex notabili dei Turchi 1
e mandarini della grammatica,
e pagliacci della politica,

tartufi, arrampicatori, tartarini!
Aman! Agà! 2 stesi ai tuoi piedi! fermati! ascolta!
Bizantini, Francobastardi, Levantini.

La nuova Grecità, eccola! Salute e gioia a te!
NOTE alla traduzione

1) Ex notabili dei Turchi: così ho reso il termine κοτζαμπασῆδες ("kotzambasìdes", detti anche πρόκριτοι, "pròcriti"), cioè i notabili delle comunità cristiane che, avendo mantenuto le loro proprietà durante la Turcocrazia, assunsero anche il ruolo di intermediari tra l' Agà locale e i "raghiades", i sudditi non musulmani. Parecchi di questi parteciparono alla lotta per l'indipendenza, mantenendosi in generale su posizioni di chiusura nei confronti della massa dei combattenti e delle loro speranze di condividere le proprietà strappate ai Turchi. Il loro scopo, infatti, era di acquisirle per sè. Come i Deliyannis, che già alla sera del 25 marzo 1821 avevano fatto sterminare quaranta famiglie turche del loro paese, impossessandosi dei loro beni, e furono continuamente presenti sulla scena della Grecia indipendente, come eminenti politici e anche primi ministri.

2) Amàn: interiezione di dolore. Agà: il feudatario turco locale.

Contributed by Gian Piero Testa - 2014/2/1 - 22:34


Eccomi di nuovo caduto nella più tipica delle tante trappole tese al traduttore: il qui pro quo lessicale, che scatta quando si crede di aver capito un termine e non lo si va a controllare; mentre la memoria dorme. Al quinto verso s'incontra un ρασοφόροι che ho malamente inteso come "gente vestita di raso", pensando ai "rubans en sautoir" dei governanti evocati dal canto dei Pauvres Canuts...No: το ράσο in greco è sì un tessuto, ma nient'affatto raffinato. E' lo spesso saio dei monaci, che quindi non vengono rispettosamente tenuti al riparo delle frecciate di Palamàs, come ho ho scritto nella nota. Meritatamente, ci sono anche loro. Φοράω τα ράσα vuol dire "vestire la tonaca": e dovevo ricordarmene, perché mi era già capitato d'incontrare questa espressione. Chiedo scusa.

Gian Piero Testa - 2014/2/2 - 08:24




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