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Tommie Smith

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Statue di Tommie Smith e John Carlos alla San Josè state university
Statue di Tommie Smith e John Carlos alla San Josè state university
Thomas C. "Tommie" Smith (Clarksville, 6 giugno 1944) è un ex atleta e giocatore di football americano statunitense, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968 e primo uomo al mondo ad aver corso i 200 metri piani in meno di 20 secondi.

Tommie Smith, soprannominato in seguito The Jet, iniziò ad imporsi nel 1967 vincendo il titolo universitario sulle 220 iarde (201,17 m) e quindi il campionato americano AAU sulla stessa distanza.

Si confermò campione AAU sui 200 m l'anno seguente, guadagnandosi la selezione per la squadra olimpica e stabilendo con 20" netti il nuovo record mondiale. In precedenza, Smith aveva fatto registrare altri due primati mondiali: correndo l'inconsueta distanza delle 220 yard in linea retta aveva fatto fermare i cronometri sul tempo di 19"5; inoltre, in una delle sue rare prestazioni sui 400 metri piani, aveva battuto il futuro campione olimpico Lee Evans, stabilendo il nuovo record mondiale con il tempo di 44"5.

Nel 1968 vinse la medaglia d'oro sui 200 m nella finale olimpica di Città del Messico con il tempo di 19"83, primo uomo al mondo a scendere sotto il limite di 20", precedendo l'australiano Peter Norman e il connazionale John Carlos. Il suo record del mondo sarebbe rimasto imbattuto per 11 anni, finché nel 1979 Pietro Mennea non conquistò, sempre a Città del Messico il nuovo record con il tempo di 19"72 (che a sua volta rimase imbattuto per 17 anni fino al 1996). Durante la cerimonia di premiazione, Smith e Carlos diedero vita a quella che probabilmente è ricordata come la più famosa protesta della storia dei Giochi olimpici: salirono sul podio scalzi e ascoltarono il loro inno nazionale chinando il capo e sollevando un pugno con un guanto nero, a sostegno del movimento denominato Olympic Project for Human Rights (Progetto olimpico per i diritti umani).

Il gesto destò grande scalpore. Molti, a cominciare da Avery Brundage, a quei tempi presidente del CIO, lo considerarono fuori luogo ritenendo che la politica dovesse rimanere estranea ai Giochi olimpici. Molti lo deprecarono, ritenendo che avrebbe messo in cattiva luce l'intera rappresentativa statunitense e recato danno alla nazione americana. Altri, invece, espressero solidarietà ai due atleti, encomiando il loro coraggio.

Per decisione dello stesso Brundage, Smith e Carlos furono sospesi dalla squadra statunitense con effetto immediato ed espulsi dal Villaggio olimpico. Tornati in patria, i due atleti subirono altre ritorsioni, fino a ricevere addirittura minacce di morte.

Smith proseguì la sua carriera agonistica nel football americano, giocando per tre stagioni con i Cincinnati Bengals.

Nel 1982 ha partecipato alla trasmissione della RAI Blitz presentata da Gianni Minà, nella quale fu intervistato insieme all'ex campione di pugilato Muhammad Ali.
Riconoscimenti

Nel 1978 è stato introdotto nella National Track & Field Hall of Fame. Nel 1999 ha ricevuto il premio Sportsman of the Millennium.

Nel 2005, nel campus della San Jose State University, è stata eretta una statua raffigurante Smith e Carlos durante la famosa cerimonia di premiazione olimpica.
(DoNQuijote82)
1968, un ottobre caldo,
centro America, Messico.
Una fiamma vecchia secoli
brilla da qui
sullo sguardo dei popoli.
Anni dove per un'altra fiamma
calda di speranza
molti parlano, cantano.
C'e' chi ha scelto di combattere
di resistere,
c'e' chi ha scelto di correre
Corri che la vita
dura solo un giorno
e il demone scuro del tempo
da' un occasione soltanto
sotto lo sguardo del mondo.
Pensa che per quanto
conti qui la sorte,
per quanto dure le gambe
e' il cuore che spinge piu' forte.
Signori, si parte,
tutti in posizione.
Nel silenzio scoppia il colpo
e Tommie Smith
corre.
Meno di venti secondi,
non ha nessuno davanti.
Certo adesso Tommie ha vinto,
adesso non e' un negro,
adesso Tomiie e' americano.
Grazie, dice, per la farsa
ma siamo uomini
e non cani da corsa.
Sale spora il podio,
porta la medaglia al collo
e mentre parte l'inno alza un guanto
nero come pelle,
nero come rabbia,
nero come e' nero questo silenzio.
Perche' tutte le parole
sono chiuse
dentro un pugno
verso le stelle.
Meno di venti secondi,
non ha nessuno davanti.

inviata da DoNQuijote82 - 21/8/2013 - 20:34


Feysa Lilesa


Rio 2016, maratoneta etiope Feyisa Lilesa rischia vita e galera: al traguardo aveva fatto il gesto delle manette contro il governo

È arrivato secondo nella maratona olimpica e ha lanciato sul traguardo un messaggio politico: l'etiope Feyisa Lilesa ha festeggiato la sua medaglia d'argento concludendo la gara con le braccia incrociate sopra alla testa. Un gesto che richiama la lotta degli oromo, etnia che vive al confine con il Kenya ed è impegnata in un'accesa battaglia per l'indipendenza con le autorità etiopiche

La maratona è da sempre la gara principe delle Olimpiadi, la più ambita e la più seguita dal pubblico di tutto il mondo. Quale migliore occasione, allora, per mostrare al mondo le proprie opinioni, le proprie rivendicazioni, i propri ideali? Un ragionamento molto simile deve aver fatto Feyisa Lilesa, l’atleta etiope che ha scelto la 42 chilometri di Rio 2016 per supportare una causa politica inerente al suo Paese. Ma la sua rimostranza potrebbe costargli la galera.

Arrivato secondo al rush finale della gara, Lilesa ha aspettato proprio l’arrivo al traguardo per alzare le braccia e incrociarle nel classico gesto delle manette, così come ha poi replicato durante la cerimonia di premiazione. Un segno apparentemente innocuo ma che ha un significato politico profondo. Si trattava infatti di una decisa protesta verso gli usi del governo dell’Etiopia, che sta uccidendo molti membri della minoranza etnica degli Oromo.

Gli stessi Oromo, che nei mesi passati si sono resi protagonisti di numerose manifestazioni di protesta, hanno eletto come lo simbolo il gesto delle manette, utilizzato dal maratoneta d’argento in mondovisione. Del resto, è stato lo stesso Lilesa a sciogliere la riserva sul segno delle mani incrociate: “Il governo etiope sta uccidendo la mia gente, pert cui ho incrociato le mani a X”.

“I miei parenti sono in prigione e se si mettono a parlare di diritti democratici verranno ammazzati” ha continuato poi l’atleta. Che ha aggiunto: “Se torno in patria, rischio la vita. E se non vengo ucciso, potrei finire in prigione. Non ho ancora deciso cosa fare, ma forse andrò direttamente in un altro Paese”.

L’opportunità di scappare dall’Etiopia era stata presa in considerazione da Lilesa già in passato. Ora, però, sembra un passo inevitabile.

Huffington Post
e repubblica.it

Dq82 - 22/8/2016 - 23:11




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