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Yannis Ritsos / Γιάννης Ρίτσος: Aποχαιρετισμός

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(Yannis Ritsos / Γιάννης Ρίτσος)
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Apohairetismós
Ποίημα του Γιάννη Ρίτσου
Poemetto di Yannis Ritsos
Poème de Yanni Ritsos

Grigoris Afxendiou.
Grigoris Afxendiou.


Nota dello Staff di CCG/AWS. Il poemetto di Ritsos è stato inserito negli "Extra" non certo quanto a argomento, bensì perché è esclusivamente un componimento poetico non accompagnato da musica.

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Introduzione. Nel 1975 uscì il disco Ο Γιάννης Ρίτσος διαβάζει τον Αποχαιρετισμό (Yannis Ritsos legge Αποχαιρετισμός), riedito nel 2008, nel quale il poeta legge il suo componimento. Nello stesso anno usciva un LP dedicato a Cipro, intitolato 'Υμνος και θρήνος για την Κύπρο (Inno e lamento per Cipro) su altri testi del poeta e con la musica di Michalis Terzìs. In You Tube si possono ascoltare, della lettura del poeta, tre frammenti: i due primi in sequenza dall'inizio; il terzo (numerato 5) copre l'ultima parte.

Cipro: "Breve nota storica. Dal 1191, quando re Riccardo Plantageneto "Cuor di Leone" sottrasse l'isola all'Imperatore di Bisanzio Isacco II Angelo nel corso della terza Crociata, e fino al 16 agosto 1960, quando fu proclamata una Repubblica indipendente e plurietnica, la comunità ellenofona e cristiana di Cipro, maggioranza della popolazione, non conobbe più un solo governante greco e di osservanza cristiano-ortodossa. Per oltre sette secoli e mezzo dovette reggere sulle proprie spalle, in sequenza, la dinastia francese di rango reale dei Lusignan (dal 1192), il tributo ai Mamelucchi (1426), la regina nata veneziana Caterina Corner (dal 1473), il dominio diretto della Serenissima (dal 1489), quello degli Ottomani (dal 1571) e, infine, ancora un'ingombrante presenza britannica. Nel 1878, infatti il Congresso di Berlino, convocato in gran fretta per contenere e ridimensionare i preoccupanti vantaggi ottenuti dallo Zar di Russia con la guerra mossa al Sultano l'anno precedente, "incaricava" gli Inglesi di amministrare e presidiare l'isola, che l'Impero Ottomano, indebolito dalla sconfitta e minato dal suo progressivo collasso interno, rischiava prima o poi di perdere a favore della Russia. Dopo l'apertura del Canale di Suez (1869), per il Regno Unito la fattuale acquisizione di un'isola che gli consentiva di controllare ben tre continenti e la via dell'India, era un'occasione impossibile da perdere. La finzione diplomatica, con la quale le potenze europee sbocconcellavano il dominio ottomano, stando però ben attente a non farlo morire, non ne metteva in discussione, di solito, la sovranità formale sui territori di fatto sottratti: ciò significava che la popolazione, invece di un solo esattore di tributi, doveva foraggiarne due (ad es. il "tributo di Cipro" dovuto al Turco). Il dominio inglese sui Ciprioti greci fu duro e sbilanciato a favore di quelli turchi. Costretta a rispondere alla montante agitazione nazionale della comunità greca, che intravedeva la soluzione dei suoi problemi in una unificazione ('Ενωσις) con Atene, l'amministrazione britannica si risolse nel 1882 a concedere una Costituzione che, nel riconoscere una rappresentanza politica alle due componenti etniche e religiose, nella proporzione di 2/3 ai Greci e 1/3 ai Turchi, ribadiva tuttavia il predominio britannico e la facoltà del Governatore di compensare con proprie nomine l'inferiorità numerica turca. Questa situazione perdurò fino al primo conflitto mondiale, quando il Regno Unito, in seguito alla scelta della Porta di combattere al fianco degli Imperi Centrali, colse l'occasione per aggiungere Cipro ai propri domini coloniali. Riapertesi così le loro speranze, molti Ciprioti greci combatterono agli ordini degli Inglesi. Ma la fine del conflitto non fece mutare l'atteggiamento del Regno Unito, che continuò a tenere a bada l'aspirazione nazionale dell'elemento greco contrapponendole quello turco, questo rinfrancato dall'avere alle sue spalle il nuovo regime kemalista. La disfatta del 1922 della Grecia in Asia Minore, la revisione a Losanna (1923) del Trattato di Sèvres, e gli accordi greco-turchi per lo scambio delle popolazioni e per l'avvio di una fase di buon vicinato tra i due Stati avevano necessariamente affievolito le speranze di una Enosis delle comunità greche disperse, e del tutto liquidato il mito nazionalistico della Grande Idea, facendo maturare tra i Ciprioti greci piuttosto quella di uno stato indipendente federale. La dura mano britannica si fece ancora più dura nel 1931, quando, di fronte alle agitazioni antifiscali che rischiavano di coinvolgere in posizione antibritannica alcuni circoli politici turcofoni, sensibili al progetto di uno stato federale indipendente, furono d'un colpo aboliti la costituzione concessa nel 1882, i partiti politici, la libertà di stampa e l'autonomia del clero ortodosso. La seconda guerra mondiale ebbe la conseguenza di ridistribuire tutte le carte, compresa quella dell' Enosis, che sembrava diventata non più giocabile. L'ambigua condotta turca nel corso del conflitto (una neutralità che non nascondeva una simpatia per l'Asse e che, rispetto alla Grecia aggredita, aveva tradito la promessa di aiuto reciproco che alla metà degli anni Venti si erano scambiati Venizelos e Kemal Atatürk nel tentativo di chiudere gli annosi problemi aperti) fece sì che i due Paesi al ritorno della pace si guardassero con rinnovata ostilità, solo temperata dalla vigilanza delle grandi potenze occidentali, che li volevano entrambi alleati nel nuovo scenario della Guerra Fredda. La trasformazione della Grecia in pedina internazionale importante, quasi una "marca" del confine del mondo capitalista rispetto a ben tre stati socialisti, congiunta alle interne difficoltà di un paese stremato e dilaniato da un decennio di guerre e da una situazione economica sociale insostenibile, indussero l'establishment conservatore di Atene a rispolverare e a giocare, nei primi anni Cinquanta, il diversivo dell'Enosis di Cipro con la madrepatria, questione che unilateralmente (il Regno Unito considerava quello cipriota un problema "interno" come quello dell'Ulster) fu posta nel 1954 all'attenzione dell'ONU. Il gioco era pericoloso perché, se da un lato aveva il vantaggio di venire rilanciato nel quadro di un processo globale di de-colonizzazione e della trasformazione in corso della configurazione dell'impero coloniale britannico, dall'altro non teneva conto che lo stesso Regno Unito non aveva alcuna intenzione di abbandonare il controllo diretto delle vie di comunicazione con i paesi del Commonwealth delle Nazioni in via di impetuoso ampliamento, vale a dire la catena di basi e presidi disseminati negli oceani e, naturalmente, nel Mare Mediterraneo e nel Mar Rosso (Gibilterra, Malta, Suez, Cipro, Aden). In questo modo la Grecia apriva un campo di azione politica e/o militare alle speranze di riscatto dei Ciprioti greci, quelli almeno che non trovavano più conveniente continuare a sfruttare le opportunità economiche offerte dalla presenza britannica: e in quello spazio prontamente si inserì un
Yorgos Grivas (1898-1974)
Yorgos Grivas (1898-1974)
torbido uomo d'azione, Yorgos Grivas (1898 - 1974), un cipriota cresciuto nei quadri dell'esercito greco, da cui si era congedato con il grado di tenente colonnello per far ritorno nell'isola natale a organizzare la lotta armata, por fine del dominio britannico e approdare all'unione con quella che considerava la sua madre patria. Grivas, acceso nazionalista e fanatico anticomunista, aveva già fatto esperienze di guerriglia durante l'occupazione tedesca della Grecia, come organizzatore e comandante di una feroce formazione, detta " X" ("Chi", 22a lettera dell'alfabeto greco) che più che alla liberazione nazionale, si era dedicata a intralciare la resistenza socialcomunista dell'ELAS, terrorizzando i villaggi che davano assistenza ai partigiani: al punto che non sono pochi in Grecia quelli che lo considerano senz'altro un collaborazionista. Ritiratisi i Tedeschi, aveva continuato per diverso tempo la sua opera di anticomunista armato al fianco degli Inglesi (si veda Το μοιρολόϊ του Bασίλη), specialmente nei fatti del dicembre 1944, ma non aveva partecipato alla vera e propria guerra civile, nella quale l'indispensabile appoggio britannico alla monarchia e alle forze governative consigliava che si accantonassero le ambizioni su Cipro. Aveva perciò scelto di tornare, già nel 1946, nella sua isola per agitare la causa dell'Enosis e organizzare un forza armata di liberazione che, nel momento in cui il governo di Atene sollevò la questione cipriota alle Nazioni Unite, era già pronta a entrare in azione, con il nome di EOKA (Organizzazione Nazionale dei Combattenti Ciprioti), ovviamente agli ordini dello stesso Grivas, rinominatosi per l'occasione "Digene", come l'eroe dell'epica bizantina. Nei primi due anni di guerriglia il colonnello Grivas ebbe l'accortezza di colpire solo obiettivi britannici, senza disturbare le comunità turche con atti "pulizia" etnica, come avrebbe fatto successivamente - specie dopo il pogrom antigreco organizzato a Istanbul dal governo turco di Menderes nel settembre 1957, quello che diede il via allo svuotamento dell'antica capitale bizantina di quasi tutta la popolazione greca (e armena), allora assommante a circa 200.000 abitanti. Del resto anche i Ciprioti turchi non stettero con le mani in mano e diedero vita a una loro organizzazione armata. Ma fu soprattutto la reazione britannica a rendere sempre più sanguinosa la lotta per l'indipendenza cipriota. Il governatore generale, maresciallo sir John Harding si affrettò a dichiarare lo stato d'assedio e ad applicare la legge marziale, che comportò un lugubre rosario di impiccagioni di giovani patrioti e, naturalmente, l'infoltimento delle file dell'EOKA, con la trasfigurazione del losco Grivas in un eroe alla testa di eroi e di martiri. Tutto ciò - e si può capirlo - impressionava profondamente l'opinione pubblica greca in madrepatria.
L'acme dell'azione di guerriglia e della cieca reazione britannica venne raggiunto nel 1957, dopo che il Regno Unito aveva mandato al confino nelle isole Seychelles l'etnarca degli ortodossi ciprioti, l'arcivescovo Makarios - che rappresentava la miglior carta in mano a tutti i contendenti per avviare una soluzione politica - e soprattutto dopo il disastro dell'intervento militare anglofrancese contro Suez, fatto che, nella presunzione di una debolezza dell'avversario, aveva dato a Grivas il destro per offrire inutilmente a sir Harding una tregua per iniziare dei colloqui, mentre questi l'aveva interpretata come il segno di una debolezza di Grivas.
Come è noto, la "sberla" di Suez fu tale che gli USA assunsero direttamente la guida della politica occidentale nel Mediterraneo. Nel riesame complessivo della situazione, si aprì lo spazio politico per convincere Londra ad ammettere che la questione cipriota non era un suo problema interno e per avviare nella capitale inglese dei colloqui tripartiti tra UK, Grecia e Turchia, che, escludendo l'ipotesi dell'Enosis e quella della spartizione in due stati etnici, portarono nel 1959 all'accordo di Zurigo e l'anno successivo alla proclamazione dell Repubblica indipendente plurietnica. L'arcivescovo Makharios poté rientrare per essere eletto presidente. Ma il Regno Unito mantenne, e mantiene, sotto la propria sovranità le basi cipriote di Akrotiri e di Dekelia.
Per le complicazioni - e quante! - successive, si può leggere qui un articolo abbastanza esauriente, anche dal quale ho attinto per questa nota.

La grotta di Monì Mahairà dove fu arso vivo Grigoris Afxendiou dalle truppe colonialiste britanniche.
La grotta di Monì Mahairà dove fu arso vivo Grigoris Afxendiou dalle truppe colonialiste britanniche.


Il poemetto di Ritsos. Come il poeta stesso premette al suo componimento, trascrivendo l'articolo di stampa da cui aveva tratto la notizia, nel marzo del 1957 cadeva in un modo particolarmente crudele il miliziano dell'EOKA Grigoris Afxendiou, un taxista ventinovenne accanitamente ricercato dagli Inglesi, che lo ritenevano il numero due dell'organizzazione. Il fatto colpisce Yannis Ritsos, che non esita a considerare Afxendiou puro eroe e martire dell'indipendenza del suo popolo oppresso. Ma quella morte, che Afxendiou avrebbe potuto evitare come la evitarono i suoi compagni con lui braccati in una grotta, induce nel poeta una riflessione (che si esprime attraverso uno stream of consciousness dell'eroe) sulle motivazioni razionali, psicologiche ed emotive che conducono un individuo a rinunciare alla vita, che pur ama, in ossequio a un doppio imperativo, uno interiore e uno superiore. Alla fine, il giovane martire assume la statura di un campione dell'intera umanità umiliata e offesa. La distanza tra l'eroe idealizzato e la figura del suo capo Grivas, di cui Ritsos doveva ben conoscere le pregresse imprese, se non altro per avere documentato come cronista di guerra i quaranta giorni di scontri delle Dekemvrianà di Atene durante le quali i "Hites" del colonnello si distinsero per ferocia, è tale da sconcertare.
Ma evidentemente Ritsos aveva bisogno di indagare l'estremo comportamento umano ad un livello più astratto e assoluto, forse per spiegare a se stesso la propria propensione a mettere in gioco la vita per qualcosa di valore universale e per spiegarsi anche la corsa al sacrificio di quanti compagni aveva visto cadere nel corso del decennio di guerre e di prigionie attraversato dal suo paese. Una riflessione per mettere un punto fermo su una questione bruciante, e confermare che il sacrificio per gli altri è il vertice della condotta morale.
E', quella di Ritsos, una riflessione nient'affatto estranea a questo nostro sito, al quale si collabora cercando e scegliendo le espressioni di chi nel mondo e nelle società ha cercato e cerca l'uomo attraverso la realtà delle lotte contro le disuguaglianze, le ingiustizie e le oppressioni. Lotte che assumono le forme della denuncia, dell'agitazione, della cospirazione, della sollevazione e non di rado della guerra comunemente intesa. La guerra che, come eterna e incomoda compagna dell'umanità, generatrice così di mostri come di eroi, nelle sue rappresentazioni artistiche e poetiche, o anche solo banalmente retoriche, sembra riproporre ineluttabilmente i suoi propri cliché morali e le sue prosopopee: la vittima innocente, il disertore, il ribelle e gli eroi "sempre giovani e belli" che, incarnazione di superiori valori, sfidano i pericoli e le sofferenze e sanno rifiutare la vita per ciò che vanno cercando. Noi certo distinguamo tra chi, cadendo, grida "viva la muerte" e chi muore perché altri vivano: ma non ci può sfuggire che la loro rappresentazione, che è sempre immaginativa e letteraria, riproponga da secoli e per gli uni e per gli altri i medesimi "topoi", che solo la differenza che separa un poeta da un imbonitore di morte con le greche sul cappello riesce a rendere senza rimedio differenti. (gpt)

ΓΙΑΝΝΗΣ ΡΙΤΣΟΣ



ΑΠΟΧΑΙΡΕΤΙΣΜΟΣ

Οι τελευταίες ώρες του

ΓΡΗΓΟΡΗ ΑΥΞΕΝΤΙΟΥ

μες στη φλεγόμενη σπηλιά.



ΑΦΙΕΡΩΝΕΤΑΙ


Στον Ήρωα και Άγιο

ΓΡΗΓΟΡΗ ΑΥΞΕΝΤΙΟΥ

Στους Μεγάλους Νεκρούς

Ποιητές

Και Διδασκάλους του Έθνους

ΔΙΟΝΥΣΙΟ ΣΟΛΩΜΟ

ΑΝΔΡΕΑ ΚΑΛΒΟ

ΚΩΣΤΗ ΠΑΛΑΜΑ

ΑΓΓΕΛΟ ΣΙΚΕΛΙΑΝΟ

Και

Σ’ όλους τους Γνωστούς

Κι

Άγνωστους

Μάρτυρες

Των

Ελληνικών και Παγκόσμιων

Αγώνων


afxe


Στις 5 Μαρτίου 1957, μέρα Τρίτη, όλες οι πρωινές αθηναϊκές εφημερίδες έγραψαν :

ΛΕΥΚΩΣΙΑ, 4. (Ιδ. Υπ. ) – Ο Γρηγόρης Αυξεντίου, φερόμενος ως υπαρχηγός της ΕΟΚΑ και υπασπιστής του αρχηγού της Διγενή, εφονεύθη προχθές, αφού επολέμησε ηρωικώς επί δέκα ολόκληρες ώρες, μόνος αυτός εναντίον ισχυρών βρετανικών δυνάμεων , στην περιοχή του όρους Τρόοδος σε μια σπηλιά πλησίον της Μονής Μαχαιρά. Η μάχη διεξήχθη υπό τις ακόλουθες συνθήκες.
Οι δυνάμεις ασφαλείας είχαν την πληροφορία ότι στη Μονή Μαχαιρά εκρύπτετο ο καταζητούμενος αυτός πατριώτης , ο οποίος είχε επικηρυχθεί αντί 5.000 λιρών στερλινών. Τις απογευματινές ώρες του Σαββάτου απόσπασμα του βρετανικού στρατού από 60 άνδρες εκινήθη προς την Μονή, την οποία και εκύκλωσε για να συλλάβει τον καταδιωκόμενο αγωνιστή. Οι Βρετανοί στρατιώται ανεστάτωσαν κυριολεκτικώς την Μονή και έθεσαν υπό κράτησιν όλους τους μοναχούς, περιλαμβανομένου και του Ηγουμένου, τους οποίους και εκακοποίησαν για να τους αποσπάσουν πληροφορίες περί του ακριβούς σημείου όπου εκρύπτετο ο Αυξεντίου.
Κανείς όμως μοναχός δεν είπε τίποτα. Κατά την διάρκεια της ερεύνης στην περιοχή γύρω από το μοναστήρι, οι Βρετανοί στρατιώται ανεκάλυψαν μια σπηλιά κρυμμένη μέσα σε θάμνους.
Λέγεται ότι κάποιος βοσκός τους έδωσε την πληροφορία ότι μέσα στην σπηλιά ήταν κρυμμένος ο Αυξεντίου. Αμέσως οι βρετανικές δυνάμεις εκύκλωσαν την σπηλιά και εκάλεσαν τον Αυξεντίου να παραδοθεί.
Ο επί κεφαλής του βρετανικού αποσπάσματος ανθυπολοχαγός Μίντλεντον πλησίασε την είσοδο της σπηλιάς και εφώναξε : ” Ρίξε τα όπλα σου και παραδώσου, αλλιώς θα επιτεθούμε “. Κάποιος απήντησε : ” Καλά παραδιδόμαστε “. Τέσσερες άνδρες βγήκαν έξω, δυο από αυτούς επικηρυγμένοι με 5.000 λίρες, όπως και ο Αυξεντίου. Ο Αυξεντίου δεν ήταν μεταξύ αυτών. Ο ανθυπολοχαγός Μίντλεντον τον εκάλεσε και πάλιν να παραδοθεί, αλλά έλαβε την υπερήφανη απάντησιν ” Μολών λαβέ “.
Αμέσως, τέσερες άνδρες όρμησαν μέσα στην σπηλιά. Ο ηρωικός μαχητής της κυπριακής ελευθερίας τους υπεδέχθη με καταιγισμόν πυρός. Oι τρεις από τους τέσερες Βρετανούς, οι οποίοι είχαν ελπίσει ότι θα εισέπραττον την επικήρυξιν του Αυξεντίου βγήκαν αμέσως έντρομοι, ενώ ο τέταρτος, τραυματισμένος στο στήθος κατέπεσε στο έδαφος, για να υποκύψει λίγες ώρες αργότερα στα τραύματά του. Ο επί κεφαλής των βρετανικών δυνάμεων ανθυπολοχαγός Μίντλεντον εζήτησε αμέσως ενισχύσεις, οι οποίες και κατέφθασαν με τα ελικόπτερα. Η μάχη συνεχίσθη έτσι επί 10 ολόκληρες ώρες, κατά την διάρκειά της δε οι Βρετανοί εχρησιμοποίησαν μεταξύ των άλλων δακρυγόνες βόμβες.
Μπροστά στο αλύγιστο θάρρος του Αυξεντίου και αφού προηγουμένως έκαναν χρήσιν όλων των ειδών των όπλων, οι Βρετανοί στρατιώται έρριψαν μέσα στην σπηλιά βόμβες πετρελαίου. Τεράστιες φλόγες εκάλυψαν το σπήλαιο για να τυλίξουν σε λίγο το κορμί του ηρωικού πατριώτη.
Η μάχη ετελείωσε στις 2 η ώρα την νύκτα.
Το πτώμα του Αυξεντίου ανευρέθη απηνθρακωμένο.
Ο Αυξεντίου ήταν ηλικίας 29 ετών, το επάγγελμά του δε ήταν σοφέρ ταξί.
Στον κατάλογο των καταζητουμένων από τους Άγγλους, ήταν εγγεγραμμένος δεύτερος μετά τον στρατηγό Γρίβα.


( Ακριβές αντίγραφο απ’ τις εφημερίδες της 5ης Μαρτίου 1957 )

Α Π Ο Χ Α Ι Ρ Ε Τ Ι Σ Μ Ο Σ

( Ο Γρηγόρης ΑΥΞΕΝΤΙΟΥ αποκλεισμένος
στη σπηλιά της Μονής Μαχαιρά ).


Τέλειωσαν πια τα ψέματα – δικά μας και ξένα.
Η φωτιά η παντάνασσα πλησιάζει. Δεν μπορείς πια
να ξεχωρίσεις αν καίγεται σκοίνος ή φτέρη ή θυμάρι. Η φωτιά πλησιάζει.

Κι όμως πρέπει να προφτάσω να ξεχωρίσω,
Να δω, να υπολογίσω, να σκεφτώ – ( για ποιόν; Για μένα; για τους άλλους;) Πρέπει.
Μου χρειάζεται πριν απ’ το θάνατό μου μια ύστατη γνώση,
η γνώση του θανάτου μου, για να μπορέσω να πεθάνω.

Οι άλλοι τέσσερις έφυγαν. Στο καλό. Τι ησυχία –
σα νάναι εδώ να γεννηθεί ένα παιδί ή να πεθάνει ένας μάρτυρας, και περιμένεις
ν’ ακουστεί μια πελώρια κραυγή ( του παιδιού ή του Θεού ), μια κραυγή πιο τρανή απ’ τη σιωπή
που θα ρίξει τα τείχη του πριν, του μετά και του τώρα· να μπορέσεις
να θυμηθείς, να μαντέψεις, να ζήσεις μαζί, μες σε μια άχρονη στιγμή, τα πάντα. Όμως τίποτα.

Μαρμαρωμένη ησυχία, – μ’ όλο που ακούγονται
οι ντουφεκιές κ’ οι φωνές – πόσο ξένα· δεν ακούγονται· χαράζονται,
στεγνά σα σύρματα κομμένα ή σα νερά που κρυστάλλωσαν πριν πέσουν
και μένουν σ’ έναν ξένο χώρο, σταματημένα κ’ αιχμηρά. Τι ησυχία, -
μ’ όλο που ακούγεται η έλευση της φωτιάς. Δεν είναι ώρα πια για πίσω -

Πίσω και πλάι και πάνω, το φράγμα της πέτρας, μπροστά
ένας μικρός ή ο ατελείωτος θάνατος· στη μέση
(στη μέση ;) εγώ. – ποιός εγώ; Τι είναι
ένας άνθρωπος κλεισμένος στη φωτιά και στην πέτρα, που η μόνη του διέξοδος:
ένας τμηματικός θάνατος; Πρέπει να τον γνωρίσω. Δεν προφταίνω.

Ίσως και να μπορούσα να γλυτώσω. Ίσως μπορούσα
ν’ αντέξω την καταφρόνια ή την συγγνώμη ή την λησμονιά των άλλων. Όμως εγώ θα μπορούσα
να λησμονήσω το φως που ονειρευτήκαμε μαζί; κείνο το μέγα καρδιοχτύπι της σημαίας μας ; Θα μπορούσα
να βολευτώ στον ίσκιο μιας γωνιάς με σταυρωμένα τα χέρια γύρω στα σταυρωμένα γόνατα
σα μνησίκακη, μεμψίμοιρη ή αμέτοχη αράχνη
που πλέκει μόνο με το σάλιο της τα δίχτυα της ;

Ίσως μπορούσε, κ’ έτσι ακόμη, νάταν όμορφα -
μια πεταλούδα παραπλανημένη ίσως θαρχόταν κάποτε να καθήσει στα κάγκελα του παραθύρου
παίζοντας αόριστα, όχι για μένα, (μα ίσως και για μένα), τη δίδυμη, λεπτή σημαιούλα της·
μια γραμμή φως ίσως περνούσε απ’ τη χαραματιά της πόρτας σαν το μικρό δαχτυλάκι μιας φίλης
που τραβάει επιτιμητικά μια γραμμή στη σκόνη του τραπεζιού σου με τα τεφτέρια σου.
Η φωνή ενός παιδιού – δε μπορεί – θ’ ακουγόταν στα χωράφια ένα απόγευμα
κ’ η ματιά μιας γυναίκας που ονειρεύεται χαμογελώντας – η ματιά της, χαμένη στο βράδυ, θα σ’ άγγιζε,
η ματιά μιας γυναίκας που δε σ’ είδε και την είδες.

Ίσως και νάταν καλά. Ένας γλόμπος που θ’ άναβε νωρίς μπροστά στην καγκελόπορτα της φυλακής σου
μες στο ρόδινο ανοιξιάτικο δείλι, θάταν ίσως
τούτος ο γλόμπος η απαλή καμπύλη ολόκληρης ακρογιαλιάς· θα μαζεύονταν πάνω του τα έντομα
σαν τα μικρά καΐκια σ’ ένα λιμανάκι του νησιού μας.

Παντού μπορείς να ταξιδέψεις κι ασάλευτος.
Μονάχα η τελευταία ακινησία : αταξίδευτη. Δε μπόρεσα να φύγω.
Δε χωρούσα. Είταν η έξοδος στενή. Μούλειψε και το θάρρος
μήπως και δε μπορέσω να πεθάνω. Συχωράτε με.
Ίσως οι τέσσερις συντρόφοι μου νάταν πιο δυνατοί από μένα – δηλαδή πιο ειλικρινείς.
Εγώ είμουν αδύναμος : ντράπηκα.

Εσείς πηγαίνετε. ( Φύγανε.) Δε σας κρατώ. ( Φύγανε κιόλας. ) Στο καλό.
Η φωτιά πλησιάζει. Συχωράτε με, φίλοι που δεν μπόρεσα
να σας ακολουθήσω, που σας άφησα μόνους σε τούτη την έξοδο.
Είναι η πρώτη φορά. Δε μπορούσα. Συγχωρέστε με.

Κι όμως, το νιώθω ακόμη, θα μπορούσα να ζήσω οπουδήποτε,
στην ερημιά σαν κουρασμένος πεισματάρης βράχος, ξεχασμένος,
ή ν’ αδικιέμαι, ν’ αδικώ, να βλέπω ν’ αδικούνται οι φίλοι μου και να σωπαίνω,
ή σα δαρμένος, μαδημένος σκύλος που κοιτάει καχύποπτα τη σκιά ενός σπουργιτιού και τη σκιά του,
ή (το μελέτησα κι αυτό) ασκητεύοντας, να λειάνω με τις ρώγες των δαχτύλων μου
(μαλακωμένες πια απ’ την αχρηστία) να λειάνω μια πέτρα
κι ώρες ν’ αποξεχνιέμαι κοιτάζοντας τις ασάλευτες φλέβες της, κι έτσι σκυφτός
να κλαίω αμίλητα απ’ την ευτυχία να υπάρχω. Δε μπόρεσα.

Αν έβγαινα παραδίνοντας τα κλειδιά μου, μπουσουλώντας
με χέρια και με πόδια (κάθε έξοδος είναι στενή, συντρόφια μου), αν κινούσα
να παραδώσω σα σκισμένη σημαία την ψυχή μου – Ποια ψυχή μου ;
Δεν πρόφτασα όλη να τη δοκιμάσω, να τη γνωρίσω ολόκληρη. Μου χρειάζεται
τούτη η στιγμή, να μάθω που και τι θα παραδώσω ή δε θα παραδώσω. Ξέρω
πως θα μπορούσε νάμαι στη θέση σας, αδέρφια μου που φύγατε,
γιατί ξέρω, όπως κι εσείς, τι θα πει πόνος και φόβος,
μα εγώ είχα ένα φόβο πιο μεγάλο απ’ τον πόνο μου κι απ’ το φόβο σας,
όχι μονάχα το φόβο του κορμιού μου, μα και τον φόβο της ψυχής μου, που δεν την ξέρω –
ο ίσκιος της κάθε κίνησής μου μεγάλωνε απέραντα πάνω σ’ έναν τρομαχτικά κάτασπρο τοίχο,
και κάθε σφυγμό μου τον άκουγα να πέφτει μες στο πάντοτε
γράφοντας στέρεους κ’ υδάτινους κύκλους ατελείωτους. Έτσι
με τούτο το φόβο της ψυχής μου γλύτωσα απ’ το φόβο του κορμιού μου. Ωστόσο ξέρω
όλο το φόβο, και μπορείτε να με πιστέψετε,
γιατί κανένας μας δεν είναι που να θέλει να πονάμε ή να φοβόμαστε.

Εδώ τουλάχιστο, μπορείτε να με πιστέψετε,
Εδώ δεν είναι δύσκολο ν’ αγαπηθούμε. Όλα είναι τόσο δύσκολα,
κ’ ίσως για τούτο και ν’ αξίζουν. Όμως δε θα μπορούσα
να περπατήσω με κομμένα τα γόνατα της ψυχής μου.
Με του κορμιού μου, τα πόδια και τα χέρια κομμένα, θα το μπορούσα. Συχωράτε με. Γεια σας.

Έφυγαν. Ησυχία. Τι μοναξιά πυκνοκατοικημένη. Τα πάντα πυκνά και διαλυμένα. Το απέραντο
δίχως βάρος μάρτυρες. Σε ποιόν να μιλήσω και γιατί ; Αν είχαν τουλάχιστο μείνει -

Δεν πρέπει να βουλιάξω μέσα μου. Ας κρατηθώ έστω απ’ τη φωνή μου,
απ’ τον ήχο του δικού μου ντουφεκιού, να μείνει το κεφάλι μου έξω
ή μοναχά το μέτωπό μου και τα μάτια μου. Θέλω να βλέπω.

Θέλω να φανταστώ τα δέντρα, τα παράθυρα, τα πράγματα,
να νιώσω τη σπιτίσια ζεστασιά τους, ν’ αντιμετωπίσω
αυτή τη μεγάλη παγωνιά της φωτιάς που πλησιάζει. Μια καρέκλα
ακουμπισμένη στη γωνιά μιας κάμαρας μπορεί και νάναι, λέω,
σαν εσωτερικό καμπαναριού, όπου ο ήχος της καμπάνας
στρογγυλός κατεβαίνει γεμίζοντας με κυριακάτικη ησυχία το σπίτι. Δε μπορώ να συνεχίσω.

Μοιάζει ανέφικτη η νίκη δίχως μάρτυρες που να τη διαλαλήσουν.

Θέλω να φανταστώ το πτώμα μου τριγυρισμένο από κλαμένους φίλους και μεσίστιες σημαίες
για να μπορέσω να παραιτηθώ απ’ το σώμα μου. Κανείς τριγύρω μου.
Μάρτυρας μόνος η φωνή μου – κι αυτή πώς να περάσει τη φωτιά και την πέτρα ;

Πρέπει μονάχος να τα βγάλω πέρα. Τι ησυχία ! – σα μόνιμη. Ρητή. Το παγούρι
μου θυμίζει πως κιόλας δε διψώ. Δε θα διψάσω πια. Κι όμως
το γυλιό μου εκεί στο καρφί κρέμεται ακόμη με την έκφραση
του πρώτου άστρου της βραδιάς πάνω απ’ την παραλία της Λεμεσός
την ώρα που τα γκαρσόνια καταβρέχουν με λαστιχένιους σωλήνες το πεζοδρόμιο
ύστερα από την τρομερή ζέστη μιας μέρας του Ιούλη· την ώρα
που βγάζουν τα πρώτα τραπεζάκια στην προκυμαία για τους βραδινούς πελάτες·
την ώρα που κι ο πιο μικρός θόρυβος του πιο μικρού ψαριού, εκεί δίπλα, στα ρηχά,
φωνάζει : «αύριο, αύριο, αύριο».

Ναι, θα μπορούσα να ζήσω οπουδήποτε, στη μοναξιά, στη λησμονιά, οπουδήποτε,
απόστρατος κι ανεύθυνος, δίχως φθόνο, να χαίρουμαι τα κατορθώματα των άλλων,
ένδοξες πράξεις, που δεν έκανα εγώ – να κοιτάω
τη διαδρομή ενός αργοπορημένου μερμηγκιού που κουβαλάει μες στο ολοπόρφυρο λιόγερμα
ένα σπυρί καλαμπόκι πιο μεγάλο απ’ το μπόι του και να νιώθω
όλης της γης το κάλεσμα και του καλοκαιριού τη ζέστα με τα πόδια αυτού του μερμηγκιού,
κι όλου του κόσμου η ευγνωμοσύνη αμίλητη να στέκει μες στα μάτια μου
καθώς θ’ ακούω αιώνια κείνο το ψαράκι να φωνάζει :
«αύριο, αύριο». Ποιό αύριο σήμερα ;

Τρομερή παγωνιά τούτη η ζέστη. Δεν προφταίνω. Ο αέρας χάνεται.
Και πρέπει να εξαντλήσω την προθεσμία μου. Ν’ αφήσω και κάποια διαθήκη. Τι χρειάζεται ;
Θα την κάψει κι αυτήν η φωτιά. Δε θα την κάψει.
Τι δύσκολα, λοιπόν που τελειώνει η ζωή. Και πρέπει να προλάβω
να ζήσω αυτή την τελευταία μου δυσκολία, να την κερδίσω, κ’ ίσως να τη δώσω
σα μια χαρά στους άλλους. Πως ; Με τι ; «Μα πρέπει».

Τι πρέπει ; Ποιος μιλάει ; Τι λέει ; Γιατί ; «Μα πρέπει».
Εδώ ούτε καθήκοντα, ούτε ανάγκες πια. Ποιος προστάζει;
Τι ζητούν από μένα ; και ποιοί ; Κ’ οι φτωχοί, κ’ οι αδικημένοι, κ’ η πατρίδα, κι ο κόσμος, κι ο εαυτός μου ;
Καθήκοντα κι ανάγκες. Ναι. Καθήκοντα κι ανάγκες.
Ένα κόκκινο φως μέσα κ’ έξω. Το αίμα κι ο αγέρας.
Υπάρχουν. Υπάρχω. Να υπάρξουμε.
Θα υπάρξουμε. Ένα κόκκινο φως η στιγμή μου. Και πρέπει
να δέσω τις σκέψεις με τα πράγματα – να υπάρξουν
χεροπιαστά. Και δεν έχω καιρό. Και τα πράγματα φύγαν. Δεν τα βλέπω.
Οι άπιαστες σκέψεις απομένουν μόνο και πρέπει
αυτές, τουλάχιστο, να τις κρατήσω – νάβρω κάποιο τρόπο να τις δώσω -

Δυο ψίχουλα απ'το χτεσινό ψωμί μου μέσα στο γυλιό μου,
η καραβάνα θαμπωμένη απ'το χνώτο της φωτιάς το φαΐ μου παγωμένο, ανέγγιχτο
το ρολόϊ του χεριού μου που σταμάτησε στις 2 η ώρα τα μεσάνυχτα χτες - πως έχασα να το κουρντίσω ; -
παράξενο να σταματούν τα πράγματα που τα ξέρεις να κινούνται,
που , μάλιστα, σου ορίζουν και το δικό σου χρόνο, τις συναντήσεις σου, - δεν εχει άλλη συνάντηση ·
σαν σταματήσουν, τοτε μόνο, ακούς, μες στη δική τους σιωπή, την παλιά κίνηση τους,
βλέπεις σχεδόν την κίνηση τους, πάρουσα, μες στην εξαφάνιση της,
και ξερέις πια πως μοίρα τους είναι η κίνηση τους πιο πέρα από κει που σταμάτησαν.

Και τούτο δω το σαλιγκάρι που ανηφοράει ανέμελο στην πέτρα,
αυτό και το εκκλησάκι του μαζί, – που πάει ; Δεν προσέχει.
Να του μιλήσω ; να του εμπιστευτώ ; Είναι κουφό. Σα να μην έχει πάρει δανεικά από κανέναν, – τραβάει
αυτό και το εκκλησάκι του μαζί. – Πρέπει λοιπόν να προφτάσω ολομόναχος, – τι να προφτάσω ;
Δεν είναι η πιο κατάλληλη στιγμή για να σκεφτείς
η στιγμή του θανάτου, κ’ είναι η μόνη
που την έχεις ακέρια, γιατί είναι το τέλος, και δω δε χωράνε διαψεύσεις κι απάτες – ποιός ο λόγος άλλωστε ;

Είμαι 29 μόλις χρονώ και το μόνο που ξέρω είναι πως θέλω να ζήσω.
Δεν πρόφτασα ακόμη να σκεφτώ, μια και δεν πρόφτασα να ζήσω. Μες στη μάχη
τι να σκεφτείς ; Δεν πρόφτασα. Μου χρειάζεται, τουλάχιστο,
τούτη η ολόκληρη στιγμή μου για να ζήσω ολόκληρος. Θυμάμαι-.

Είταν άνοιξη τότες. Καθόμασταν άκρη – άκρη στο λιμάνι της Αμμόχωστος,
και ξέρω τώρα-δεν τόξερα – τότες – είταν όμορφη η ζωή, ( κ’ είναι,
κ’ ίσως πιο όμορφη πάντα – όλο πιο όμορφη γίνεται – τη φτιάχνουμε )
είταν όμορφα τα στάχυα, τα κίτρα, τ’ αμπέλια, τα σπίτια, οι γυναίκες, τα καΐκια -
όμορφα πούπαιζαν οι ανταύγειες του νερού στα πλευρά των καραβιών – όμορφες
κ’ οι σκιές των καραβιών μες στο νερό. Σκιές γλάρων περνούσαν
πάνω απ’ την προκυμαία, πάνω απ’ τα στρογγυλά τραπεζάκια του υπαίθριου καφενείου
με τα φλιτζάνια του καφέ· κ’ έτσι όπως κουβεντιάζαμε, τρεις παλιόφιλοι,
δίχως ν’ ανασηκώνουμε καθόλου το κεφάλι
νιώθαμε πως οι γλάροι ήταν απάνω μας
και πίναμε μαζί με τον καφέ κάτι απ’ τη φευγαλέα σκιά των γλάρων,
μια γέψη απλοχωριάς, φιλίας κ’ ελευθερίας.

Ε, ναι, είναι όμορφη η ζωή, κ’ εγώ ήμουν όμορφος, ( γιατί είμουν ; Είμαι. )
Κι όλα μπορούμε να τα φτιάξουμε όμορφα χέρι με χέρι.
Συχνά τα καλοκαίρια μες στην κάψα του μεσημεριού – και στο χιόνι –
ένιωσα να στεριώνει η ζωή μ’ εμπιστοσύνη τη σημαία της μες στα σκέλια μου,
κι όταν ακόμα με κύκλωνε ο φόβος μ’ όλους τους κυκλώπειους ίσκιους του
κι όταν μου τράνταζε τα φυλλοκάρδια η σημαία της πατρίδας που κρατούσα στα χέρια
καθώς την πλαταγίζαν οι νευρώδεις άνεμοι, κείνη η άλλη σημαία δεν ξεχνιόταν. Είταν όμορφα. Τώρα
δε χωράει κάτι τέτοιο. Διάλεξα τη φωτιά. Η απόφασή μου πάρθηκε. Είμαι έτοιμος.

Λέτε νάναι πιο φαρδιά η πύλη του θανάτου ; Εδώ τελειώνω. Δεν ξέρω πάρα κάτω.
Τ’ άλλα φτιάχτε τα, πείτε τα, εσείς. Κέρδισα ακόμη μια στιγμή
μεγάλη σαν ολόκληρο τον πόνο. Δεν ήξερα
πως μια στιγμή μπορούσε νάχει τόση διάρκεια.
Δεν είχα φανταστεί πως ο πόνος μπορούσε να σκέφτεται. Κι όλα
έχουνε το βαθύ νόημά τους και προσμένουν να το βρούμε. Κι ο κόσμος θα φτώχαινε
αν έλειπε ένα χαλικάκι, ένα τζιτζίκι, ή κ’ η φωνή του γαλατά μες στο χάραμα. Τόμαθα.
Μήπως αυτό είναι τάχα κείνο που λένε ηρωισμός ;
και που ωστόσο δεν τόξερε εκείνος που τον έλεγαν ήρωα;
Και μήπως τάχα η σκέψη νικάει τη σιωπή, τη φωτιά και το χρόνο
κι αυτό το λέμε μοίρα ; Δεν τόξερα. Τόμαθα. Γεια σας.

Αυτή την πιο όμορφη στιγμή μου σας την αφήνω, αδέρφια.
Αυτό είναι το ντουφέκι μου – ολοκαίνουργιο τ’ όπλο του ανθρώπου.
Και τούτο το ντουφέκι, που μου καίει τα χέρια, το αγαπάω·
αυτό το ντουφέκι το δροσίζω με... - Δεν είναι κακό να με δείτε να κλαίω –
είμαι πολύ συγκινημένος απ’ όλα κι απ’ τον εαυτό μου
και πιο συγκινημένος απ’ την ανακάλυψη αυτής της συγκίνησης.

Αν με γνωρίζατε αυτή τη στιγμή θ’ άξιζε και να με αγαπήσετε,
όπως κ’ εγώ σας αγαπάω χωρίς ταπεινοσύνη ή περηφάνεια.
Μα ποιος θα σας μεταδώσει τούτη τη στιγμή ; Δεν τη χωράνε
τα λόγια, τα χέρια, τα μάτια, ούτε η πράξη, ούτε η σκέψη –
είναι μεγάλη σαν εκείνο που λέμε πατρίδα
μεγάλη σαν αυτό που λέμε γη
μεγάλη σαν όλο τον κόσμο· (Τι αλλιώτικη που είναι η φωνή μου.) Σαν όταν
δουλεύεις, με δικιά σου θέληση, στο χωραφάκι του φτωχού και δίψασες το μεσημέρι
και παρατάς την τσάπα σου γερτή όλο εμπιστοσύνη στον κορμό της μονάκριβης συκιάς
και σκύβεις στο ρυάκι να πιεις κι αντικρίζεις στο γάργαρο ρυάκι
το πρόσωπό σου ωραίο, ξαναμμένο απ’ τη δουλειά, τον αγέρα, τη νιότη, τον ήλιο,
κι αποθαμάζεις στο νερό τα αστραποβόλα μάτια σου, και τούτο δε σε σταματάει
μα πίνεις το νερό μαζί με τον εαυτό σου. Ξεδιψάς κι αναγέρνεις κατόπι το κεφάλι
στον ουρανό σάμπως να ψάχνεις κάποιον νάβρεις στα ψηλά για να του πεις ευχαριστώ
κ’ είναι ο ουρανός κ’ η γη μέσα σου
κι όξω απέραντα κι ολόφωτα
κ’ είναι όλος ο κόσμος δικός σου και μπορείς να τον δώσεις.

Αυτή η στιγμή είναι ανεπανάληπτη, γιατί είναι η αιωνιότητα,
κ’ η αιωνιότητα υπάρχει και τη δημιουργούμε – δεν επαναλαμβάνεται
σαν κάτι που έρχεται και φεύγει και ξανάρχεται. Λοιπόν μην κλαίτε.
Όμως εμένα αφήστε με να κλάψω, γιατί σε λίγο, το μαντεύω,
δε θα μπορώ πια να κλάψω μες στην αναγνώριση
της ευτυχίας πως μπορώ να πεθάνω. Συχωρέστε με.

Κι αλήθεια, ξέχασα να σας πω το κυριότερo - που μόλις τώρα τόμαθα -
δεν είναι τόσο δύσκολος ο θάνατος. Το αντίθετο μάλιστα.
Και σας βεβαιώνω τώρα με το αίμα μου :
ποτέ δεν είταν τόσο ευτυχισμένος ο Χριστός
όσο την ώρα που το τελευταίο καρφί τον άφησε ακίνητο, χωρίς να τον σκοτώσει,
για να κοιτάξει κατάματα τον ουρανό και τη θυσία του,
ποτέ ο Προμηθέας δεν αντίκρισε τόσο γαλήνια κι ολόφωτα τον κόσμο
όσο την ώρα που το ράμφος του όρνεου βρήκε τα μάτια του
ξέροντας, τότε μόνο, πως είχε αξιωθεί να δώσει το φως και τη φωτιά στον άνθρωπο,
κι ακόμα, ναι, ποτέ τόσο όμορφος δεν ήταν ο μικρός Γρηγόρης Αυξεντίου 29 χρονώ...

Λέω τον αριθμό των χρόνων μου και κλαίω
ξέροντας πως θα τον προσθέσετε στη δόξα του έθνους μας
(ας μου συχωρεθεί κι αυτή μου η τελευταία αδυναμία).
Ακούω αυτόν τον αριθμό στα χείλη σας
και θάθελα να τον φιλήσω πάνω στα χείλη σας.

Είμουν ίσως μικρός για τη δόξα – ίσως μικρός
για μια τέτοια ευτυχία. Μια πράξη σωστή
είναι το πήδημα του ανθρώπου έξω απ’ τη μοναξιά. Είναι το σφίξιμο
χιλιάδων χεριών κι ο όρκος όλων. Είμαι έτοιμος.

Δε δέχομαι, όχι, τη θυσία για το θάνατο. Τη δέχομαι
μονάχα για τη ζωή – για μια ζωή
που πια δε θα απαιτεί καμιά θυσία. Είμαι έτοιμος.

Ποτέ δε θα μπορούσα να πιστέψω πως η στενότηταμιας σπηλιάς
μπορούσε να έχει τόση ευρυχωρία·μπορούσε να χωρέσει
την πατρίδα με τις ελιές της,
τ’ ακρογιάλια της, τα βάσανά της,
με τα καΐκια της μ’ ολάνοιχτα πανιά στον αντρίκιον αγέρα της,
τον κόσμο με τα φλάμπουρά του, τα όνειρά του, τις καμπάνες του, και τα μικρά αγριόχορτα. Ανασαίνω,
μέσα σ’ αυτό το πέτρινο τούνελ που η έξοδός του
είναι το ίδιο το στόμιο του ήλιου. Το ξέρω :
από δω, κατευθείαν, θα περάσω νεκρός μες στον κόσμο. Μην κλαίτε.
Και ξέρω τώρα, όσο ποτέ, πως είναι δυνατή η ελευθερία. Γεια σας.

Τούτη την ώρα δεν τρομάζω τα μικρά ή μεγάλα λόγια -
μπορώ να σκουπίσω τα μάτια μου στη σημαία μας
μια και το ξέρω : στην απόλυτη στιγμή μου
μες απ’ το στόμιο του θανάτου οι συναγωνιστές μου
θα παραλάβουν απ’ τα χέρια μου φλεγόμενη
τη σημαία του ανένδοτου αγώνα, φλεγόμενη
σαν πύρινο άλογο ικανό να διασχίσει το άπειρο και το θάνατο
σαν άσβηστη δάδα μέσα σ’ όλες τις νύχτες των σκλάβων, φλεγόμενη η σημαία μας
σα μέγα αστραφτερό δισκοπότηρο για την Άγια Μετάληψη του Κόσμου. Μπορώ να επαναλάβω :

«Λάβετε, φάγετε, τούτο εστί το σώμα μου και το αίμα μου
– το σώμα και το αίμα του Γρηγόρη Αυξεντίου
ενός φτωχόπαιδου, 29 χρονώ, απ’ το χωριό Λύση, οδηγού ταξί το επάγγελμα,
πούμαθε στη Μεγάλη Σχολή του Αγώνα τόσα μόνο γράμματα
όσα να φτιάχνουν τη λέξη ελευθερία »
και που σήμερα, 2 του Μάρτη 1957, κάηκε ζωντανός στη σπηλιά της Μονής Μαχαιρά
και σήμερα ακριβώς, 2 του Μάρτη, μέρα Σάββατο – μην το ξεχάστε, σύντροφοι -
Στις 2 η ώρα μετά τα μεσάνυχτα, και 3 πρώτα λεπτά,
γεννήθηκε ο μικρός Γρηγόρης ανάμεσα στα ματωμένα γόνατα της πλάσης.

Δέκα ώρες είναι πάρα πολλές για όλα
όταν έχεις ένα ντουφέκι, κάμποσες σφαίρες και το δίκιο με το μέρος σου
όταν έχεις δικά σου 29 χρόνια και μπορείς να τα διαθέσεις μόνος σου
όταν έχεις το θάνατο σου δικό σου. Γεια σας.

Όλο σας αποχαιρετώ κι ακόμα μένω. Ναι, η πιο μεγάλη πράξη της ζωής μας
είναι η απόφαση του θανάτου μας, όταν υπάρχει κάποια διέξοδος
όταν μπορείς και να τον αποφύγεις, και συ τον διαλέγεις
σαν τιμή και σα χρέος για τους άλλους, πιο πέρα απ’ τις ανάγκες σου.
Όποιος μπορεί να νικήσει μια στιγμή τη ζωή του νικάει και το θάνατο. Τόμαθα.

( Αλλιώτικα που ακούγεται η φωνή μου σήμερα. Μην είναι
αυτή που μου ζητάτε ; αυτή που θάθελα ν’ ακούσετε ; Μην είναι
μονάχα αυτή η σωστή φωνή μου ; ή η φωνή σας ; η φωνή όλων μας ; )

Τα πάντα είναι ανύπαρχτα πριν τα σκεφτείς και πριν τα πράξεις.
Όχι μονάχα να τα σκεφτείς, ή μονάχα να τα πράξεις,
μα να τα πράξεις και να τα σκεφτείς μαζί. Και σεις, αδέρφια μου, πολύ με βοηθήσατε.
( Κανένας δεν υπάρχει μόνος χωρίς τη βοήθεια του άλλου. )

Εσύ που θα κλάψεις για το θάνατό μου με βοήθησες να πεθάνω με το κεφάλι ψηλά
εσύ που θα πάρεις το ντουφέκι μου να εκδικηθείς το θάνατό μου
με βοήθησες να πεθάνω ευτυχισμένος για σένα και για μένα.
Με βοήθησαν κι αυτοί που πέσανε πριν από μένα. Όπως και γω θα σας βοηθήσω.

Τούτη η ώρα δεν είναι για καυχησιές και ηρωισμούς,
όταν βρίσκεσαι κατάφατσα με το θάνατο,
και σας το λέω απλά, σα να στρίβω το τιμόνι του αμαξιού μου μιαν ανοιξιάτικη μέρα
για ν’ αποφύγω μια σύγκρουση μ΄ ένα κάρο που το οδηγάει ένας ατζαμής χωριάτης
ή για να μη χτυπήσω ένα παιδί που παίζει ανύποπτο στη λιακάδα
ή ακόμα, ναι, ( και τούτη η τρυφερότητα δεν είναι αταίριαστη σ’ έναν άντρα που πρόκειται να πεθάνει )
για να μη λιώσω ένα αγριολούλουδο που πήγε το μπαστάρδικο και φύτρωσε καταμεσίς στη δημοσιά
αθώο-αθώο και γαλανό σαν το μισόκλειστο ματάκι της πλάσης –
ναι, τόσο απλά μπορώ να σας το πω, σα να στρίβω το τιμόνι του αμαξιού μου : « Τ’ αληθινό μπόι του ανθρώπου
μετριέται πάντα με το μέτρο της λευτεριάς ». Τίποτ’ άλλο. Γεια σας.

Αν λυπάμαι για κάτι είναι που πια δε θα μπορέσω να κάνω τίποτα για σας
( όχι σα φήμη ή σαν ιδέα ή σα θρύλος, μα με τούτα τα ίδια μου τα χέρια ),
έτσι να πούμε, να, να ρίξω και γω μια ντουφεκιά στον αέρα στη γιορτή της απελευθέρωσης
ή να φορτώσω σ’ ένα μεγάλο φορτηγό εκατό τσουβάλια ψωμί, διακόσια τσουβάλια πατάτες,
να σηκώσω κείνης της γριούλας τη ζαλιά τα ξύλα μες στο δάσος
να σηκώσω το άλογο του γέρου αγωγιάτη πούπεσε μες στη λάσπη κάποιο βροχερό πρωινό
να δώσω μια κλωτσιά και γω στη μπάλα που παίζουν τα πατριωτάκια το δείλι στο γήπεδο
ή να δώσω μια σβερκιά στο φίλο ένα βραδάκι που θα λέει ένα άνοστο αστείο
ή να μοιράσω, μια μέρα που η δουλειά πήγε καλά, μια χαρτοσακούλα καραμέλες στα πιτσιρίκια της γειτονιάς μου
ή ν’ ακουμπήσω αυτά τα δυνατά μου χέρια, που σήμερα τα αγάπησα,
σ’ ένα τραπεζάκι της Αμμόχωστος
και, δίχως να κοιτάω τα εργατικά μου χέρια, να τα νιώθω
πως ξεκουράζονται πάνω στα πέτρινα γόνατα του φιλικού μας κόσμου.

Σήμερα νιώθω μια τρυφερότητα για τον εαυτό μου ξέροντας πως θα μ’ αγαπήσετε
σήμερα αγαπάω κ’ εχτιμάω τον εαυτό μου
σήμερα χαμογελάω στον εαυτό μου κοιτάζοντας τον με τ’ αδερφικά σας μάτια.

Μια στιγμή άφησα τ’ όπλο μου να κρυώσει μια στάλα στην πέτρα,
άνοιξα το γυλιό μου κ’ έβγαλα το καθρεφτάκι της τσέπης,
– ναι, είμαι όμορφος, – όταν μ’ αγαπάτε –
τι θα μπορούσα να κάνω για σας, – όταν μ’ αγαπάτε -
τι θα μπορούσα , μόνο τώρα το καταλαβαίνω- ( κ’ ίσως είναι αργά·
μόνο με το θάνατό μου έχω να σας χαρίσω πια. ) λ.χ. θα μπορούσα
να τινάξω ένα τανκ με μια γροθιά,
να πελεκήσω ένα άγαλμα σ’ ‘ένα βουνό, μονομερίς – όταν μ’ αγαπάτε –
ή να χτίσω σε μια ώρα ένα πανύψηλο σκολειό. Δεν αστειεύουμαι.
Δεν είναι ώρα, αδέρφια μου, για αστεία. Θάθελα νάμαι ωραίος μέσα κι όξω
για ν’ αξίζω την αγάπη σας, ναι, ( κι ας το πω κι αυτό : ) για να με σκέφτουνται σαν άντρα τους
όλα τα ωραία κορίτσια, για να με σκέφτουνται σα φίλο τους
όλοι οι ελληνικοί μας έφηβοι και τα παιδιά του κόσμου. Δεν προφταίνω.

Να πρόφταινα, τουλάχιστο, να ξυριστώ, να ψαλιδίσω λιγάκι το μουστάκι μου. Μα ίσως
και να πηγαίνει λίγο γένι στη νεανική μορφή μου. ( Βλέπετε
πόσο παιδί με κάνει η αγάπη σας ; Μου ξαναδίνει τη δικιά μου φωνή. ) Για σκέψου, αδερφέ μου,
μεθαύριο να διαλέγουν πάνω στα χνάρια μας
τα κορίτσια τον άντρα τους
τα παιδιά τους φίλους τους
οι άντρες τις πράξεις τους,
να ξέρεις πως και συ πορεύεσαι μαζί τους στ’ αψηλά,
σ’ ένα ψηλό – ψηλό βουνό, όλο κορδέλες άσφαλτο,
για ν’ αγναντέψεις ακέρια την πλάση,
τις πολιτείες γιομάτες καμινάδες κι αστεροσκοπεία και παράθυρα,
τους κάμπους και τα δάσα, τα λιμάνια γιομάτα κατάρτια,
τα ειρηνικά αεροπλάνα, τους λεβέντες αϊτούς και τους παιδιάστικους χαρταϊτούς
με κείνες τις αστείες πολύχρωμες ουρές τους –
σ’ ένα ψηλό-ψηλό βουνό, με μια αυτοκινητάρα τελευταία μάρκα που ίσως θάχει τ’ όνομά μας -

Και μόλις τώρα το σκέφτηκα, πως τάχατες η ζωή
δεν πάει μπροστά με σκοτεινές εξομολόγησες και μικρές ειλικρίνειες
( η εξομολόγηση – τόχω ακουστά, και τώρα το θυμήθηκα –
σώζει, λέει, εκείνον που ξομολογιέται. Μα τον άλλον ;
Κι ο άλλος τι σου χρωστάει να σηκώνει στη ράχη του σαν τσουβάλια άχρηστες πέτρες τα λόγια σου
δίχως καν να μπορεί να τις χτίσει ; ) Το λοιπόν , η ζωή
τραβάει μπροστά με πράξεις και θυσίες – μ’ αυτό που λένε «γενική ηθική»
κι ούτε που ξέρω πως τα λένε αυτά, κι ωστόσο τάπα.

Εγώ το μόνο πούμαθα είναι : σα χουφτώνεις τη γωνιά του τραπεζιού
είναι η γωνιά του τραπεζιού μ’ όλη της τη στερεότητα
κι όταν χουφτώνεις ένα στήθος ξέρεις πώς και τα πιο στέρεα χέρια τρέμουν
και τότες θέλεις να σπείρεις χιλιάδες παιδιά
για να χαρούν τον κόσμο μας που εσύ δεν πρόφτασες να τον χαρείς
κ’ ίσως, δε λέω, ίσως και να το ξέρεις – κάπου αλλού, βαθιά σου να το νιώθεις – πώς τούτο το στήθος
« γλυκοβύζαστο ετοιμάζει γάλα ανδρείας και λευτεριάς ».
Και, βέβαια, που πρέπει να το ξέρεις. Γεια σας.

Άντε, γριά μάνα, μην αρχίσεις τώρα τις κλάψες. -Όχι;-
Έτσι σε θέλω. Ρωμιά. Σου παίρνω λες τη ζωή σου ; Σου αφήνω την περφάνεια σου.
Δε θα σέϊδει ο εχτρός καμπουριασμένη. Το ξέρω. Θα πεις:
« Είμαι πέρφανη για το γιο μου, – κάλλιο μια φούχτα τιμημένη στάχτη
παρά γονατισμένος ο λεβέντης μου ». Έτσι. Γεια σου, μάνα.

Ο πατέρας
θα με γνωρίσει στο νεκροτομείο απ’ τις χοντρές ελληνικές κοκάλες μου, όμοιες με τις δικές του,
κι απ’ το σταυρό της πατρίδας πούχα φυλαχτάρι μες στις τρίχες του κόρφου μου. Μιλάω για μένα
σα νάμαι ερωτευμένος με τα μένα, σα νάναι η Ρωμιοσύνη ερωτευμένη με τα μένα. Συχωράτε με.
Εσείς μου το δώσατε τούτο το δικαίωμα. Ευχαριστώ.
Εσείς, κ’ η αγάπη μας, κι ο θάνατός μου. Το ξέρω,
ως και κείνος που πήρε τα 5.000 αργύρια
θα πιεί κάποιο βραδάκι ένα ποτήρι στην υγειά μου σε μια ταβέρνα της Πάφος
και θ’ απογείρει να κλάψει μέσα στο ποτήρι του, γιατί ήμουνα φίλος καλός
κ’ ίσως να γίνει φίλος μας κι αυτός μια μέρα.

Τώρα λοιπόν, βαθιά και σίγουρα, μπορώ να σας το πω,
σα να οδηγάω, και πάλι, το αμαξάκι μου σ’ ένα ασφαλτοστρωμένο δρόμο της Κύπρου
ίσα και παστρικά, ένα ολογάλανο κ’ ήμερο πρωινό, – μπορώ να το πω : « Η αρετή μας
είναι η αμοιβαία μας χρησιμότητα ». Εν τάξει αδέρφια. Εδώ
δεν είναι ακατόρθωτη η αδερφοσύνη για μας και για όλους.
Εδώ οι διαφορές βουλιάζουνε σ’ ένα χαμόγελο, – κ’ είναι έτσι
όπως ακούς, κείνες τις νύχτες του καλοκαιριού, – γαλάζιες, αργυρές και ρόδινες –
σ’ ένα μονάχα φέγγος ευτυχίας
όλα τα ξέχωρα σπιτίσια μουρμουρίσματα και των μικρών και των μεγάλων άστρων
και τρέμει η ρίζα της καρδιάς και τρέμει ο κόσμος
τόσο που θέλεις να σκουντήσεις τον αγκώνα κάποιου φίλου για ν’ ακούσεις μαζί του,
ή τον αγκώνα έστω μιας πέτρας για ν’ ακούσει και κείνη, να μοιράσεις τη χαρά σου.

Με τούτη την αγάπη, λέω, που μια μέρα, οι ξύλινοι σταυροί
θα μπουμπουκιάσουν τριαντάφυλλα – ναι, κι ο δικός μου ο σταυρός, ο καμένος, ο πέτρινος·
με τούτη, λέω, την αγάπη μια μέρα θα λυγίσουμε
κείνους που φέρνουν τ’ άδικο και σπέρνουνε το μίσος. Τούτη είναι η εντολή μου -
μ’ όλο που αυτή την ώρα δεν το ξέρω το μίσος
σα να μην τόμαθα ποτές ή να το ξέχασα. Γεια σας.

Όλο ετοιμάζουμαι να φύγω. Όλο σας αποχαιρετώ, κι ακόμα στέκω
σαν κάτι νάχω να προστέσω ακόμα στον κόσμο. Σα νάχω
να προσφέρω λίγη ακόμα ευτυχία σε σας απ’ το μεδούλι μου. Θυμάμαι -

καλοκαιριάτικο σούρουπο είταν -
σταμάτησα τ’ αμάξι μπροστά σε μια καλύβα. Διψούσα.
Μια μαυροφορεμένη γριά με φίλεψε με το κανάτι δροσερό νερό.
« Φχαριστώ, γιαγιά », της είπα. « Καλή λευτεριά, γιε μου », αποκρίθηκε.
« Καλή λευτεριά, γιαγιά », της ξανάπα – κ’ ένιωσα πως της την χρωστάω.

Μούβγαλε το κασκέτο και μου σφούγγισε με το χέρι της το κούτελό μου. ( Ξέρετε,
κ’ οι γριές μπορούνε να χαμογελάνε. ) Τη λευτεριά το λοιπόν ο καθένας μας τήνε χρωστάει σ’ όλους.
Μια λευτεριά μονάχα για τον ένα δε φελάει σε τίποτα ( αν υπάρχει ).
Τίποτα δεν είναι μήτε για τον ίδιον. « Άντε γεια σου γιαγιά. Καλή λευτεριά, το λοιπόν », -
κι’ έτριψα λίγο τα μάτια μου – έπεφτε κιόλας γαλανό το θάμπος της βραδιάς· δεν καλόβλεπα.

Κι όπως τράβηξα πάλι με χαμηλωμένα τα δυο φώτα μου ( γιατί έφεγγε ακόμα )
ένιωθα ν’ ανεβαίνω με τα’ αμάξι μου, μαζί και ο μέγας κάμπος της Μεσαορίας
βαθύς και σιωπηλός, αχνισμένος απ’ το αργό φεγγαρόφωτο,
ένιωθα ν’ ανεβαίνω ίσα στον ουρανό
κ’ ένιωθα το φεγγάρι που με χτύπησε κατάστηθα ολόδροσο,
σάμπως χρυσό κωνσταντινάτο το φεγγάρι κρεμασμένο μ’ ένα σπάγκο απ’ το λαιμό μου,
να μου δροσίζει τη καρδιά και λίγο – λίγο να ζεσταίνεται και ν’ αχνίζει στον κόρφο μου. Κι έλεγα :
δε φτάνει το τραπέζι, μήτε κάμποσος παράς στην τσέπη, μήτε το ψωμί και το φιλί –
ο άνθρωπος είναι πιο τρανός απ’ την καθημερνή την έγνοια του. Κ’ έλεγα πάλι
που ο άνθρωπος αρχίζει την έγνοια του για το ψωμί
κι όλο τραβάει πιο πέρα απ’ τη σκλαβιά του
από σκλαβιά σε σκλαβιά, από ξεσκλάβωμα σε ξεσκλάβωμα,
απ’ το ξεσκλάβωμα της πατρίδας στο ξεσκλάβωμα του κόσμου
ώσπου να νιώσει, μπαίνοντας ίσα στον ουρανό,
ν’ αχνίζει το φεγγάρι στον κόρφο του,
ώσπου να κλάψει μια νύχτα από αγάπη για όλο τον κόσμο. Έτσι άφησα
σ’ ένα χαντάκι τ’ αμάξι μου. Πήρα τ’ όπλο. Κι ανέβηκα στο βουνό. Έτσι βρέθηκα
σε τούτη τη σπηλιά που το στόμιό της βλέπει ολόισα τον ήλιο. Το στρογγυλό της στόμιο
είναι ο ίδιος ο ήλιος που θα τον νιώσω πάλι δροσερό, καθώς θα με περνάνε,
( όπως κείνη τη νύχτα το φεγγάρι ) – θα τον νιώσω δροσερό κωνσταντινάτο
να μου δροσίζει το καμένο στήθος, κ’ έτσι λίγο – λίγο
να ζεσταίνεται ο ήλιος και ν’ αχνίζει στον κόρφο μας. Γεια σας.

( Όλες οι καμπάνες της Γης σήμαναν μεμιάς. Όλα τα ανθρώπινα μέτωπα ψηλά. Όλες οι καρδιές μεσίστιες. Στο χωριό Λύση, ανάμεσα Λευκωσία κι Αμμόχωστος, η μάνα του έσφιξε το μαύρο της τσεμπέρι κάτου απ’ το δυνατό σαγόνι της κ’ είπε ακριβώς τα λόγια που περίμενε ο γιος της : ” Είμαι πέρφανη. Κάλλιο μια φούχτα τιμημένη στάχτη, παρά γονατισμένος ο λεβέντης μου “. Ο πατέρας του πάλι, σαν πήγε στο στρατιωτικό νοσοκομείο της Λευκωσίας, αναγνώρισε το καμένο παιδί του απ΄ τις χοντρές ελληνικές κοκάλες του κι από κείνο το χρυσό κωνσταντινάτο που άχνιζε στον κόρφο του και στον κόρφο του κόσμου. )

Α Θ Η Ν Α . 5 Ε Ω Σ 2 5 Μ Α Ρ Τ Ι Ο Υ 1 9 5 7

inviata da Gian Piero Testa - 5/11/2012 - 20:08




Lingua: Italiano

Gian Piero Testa
Gian Piero Testa

Versione italiana di Gian Piero Testa

YANNIS RITSOS



COMMIATO

Le ultime ore di

GRIGORIS AFXENDIOU

nella grotta in fiamme.



DEDICATO


All'Eroe e Santo

GRIGORIS AFXENDIOU

Ai Grandi Poeti

Defunti

e Maestri della Nazione

DIONYSIOS SOLOMOS

ANDREAS KALVOS

KOSTIS PALAMAS

ANGELOS SIKELIANOS

E

A tutti i Noti

E Ignoti

Martiri

Delle

Lotte

Della Grecia e del Mondo


afxe


Il 5 marzo 1957, martedì, tutti i giornali del mattino di Atene scrissero:

NICOSIA, 4 (Servizio speciale) - Grigoris Afxendìou, ritenuto il vicecomandante dell'EOKA e luogotenente del suo comandante Digenìs [Yorgos Grivas, NdT] è stato ucciso ieri l'altro avendo combattuto eroicamente per più di dieci ore da solo contro ingenti forze britanniche, nella regione del monte Tròodos in una grotta nei pressi del Monastero della Beata. La battaglia si svolse con le seguenti modalità. Le forze di sicurezza avevano l'informazione che nel Monastero della Beata si nascondeva questo patriota ricercato, sul quale era posta una taglia di 5000 sterline. Nel pomeriggio di sabato un reparto dell'esercito britannico composto di 60 uomini si mosse verso il Monastero, che circondò per catturare il combattente braccato. I soldati britannici perquisirono minuziosamente il monastero e misero agli arresti tutti i monaci, compreso l'Igumeno, e anche li maltrattarono per strappare loro informazioni sul luogo esatto dove si nascondeva Afxendiou. Ma nessuno dei monaci rivelò alcunché. Durante la battuta nel terreno circostante il monastero, i soldati britannici scoprirono una grotta nascosta tra i cespugli.
Si dice che un pastore li avesse informati che nella grotta era nascosto Afxendiou. Immediatamente le forze britanniche circondarono la grotta e intimarono ad Afxendiou di consegnarsi.
Il comandante del reparto britannico, il sottotenente Middletown si avvicinò all'imboccatura della grotta e gridò: "Getta le armi e arrenditi, altrimenti attacchiamo". Qualcuno rispose: " D'accordo, ci arrendiamo". Quattro uomini uscirono fuori, su due di loro c'era la taglia di 5000 sterline, come quella di Afxendiou. Afxendiou non era tra di loro. Il sottotenente Middletown gli intimò ancora di arrendersi, ma si ebbe l'orgogliosa risposta "Μολὼν λαβἐ" [Vieni a prendermi, la celebre risposta di Leonida ai Persiani, NdT].
Subito quattro uomini avanzarono nella grotta. L'eroico combattente dell'indipendenza cipriota li accolse con una tempesta di fuoco. Tre dei quattro inglesi, che avevano sperato di guadagnare la taglia di Afxendiou immediatamente uscirono terrorizzati, mentre il quarto ferito al petto, cadeva sul terreno per soccombere alle ferite poche ore più tardi. Il comandante delle forze britanniche sottotenente Middletown richiese immediatamente rinforzi, i quali arrivarono con gli elicotteri. La battaglia si protrasse per dieci intere ore nel corso delle quali i Britannici utilizzarono tra l'altro anche bombe lacrimogene.
Davanti all'inflessibile coraggio di Afxendiou e poiché precedentemente avevano fatto uso di ogni sorta di armi, i soldati inglesi gettarono nella grotta bombe al petrolio. Fiamme spaventose ricoprirono la grotta fino ad avvolgere in breve il corpo dell'eroico patriota.
La battaglia si concluse alle due della notte.
Il cadavere di Afxendiou fu trovato carbonizzato.
Afxendiou aveva 29 anni, e di mestiere era autista di taxi.
Nell'elenco dei ricercati dagli Inglesi era iscritto al secondo posto, dopo il generale Grivas.

(Copia conforme dai giornali del 5 marzo 1957)


COΜΜΙΑΤΟ

(Grigoris Afxendìou chiuso nella grotta del Monastero della Beata)


Sono finite le menzogne ormai - le nostre e le altrui.
Il fuoco dominatore si appressa. Non puoi più
distinguere se bruci il lentisco, la felce, il timo. Il fuoco si appressa.

Eppure bisogna che riesca a distinguere,
a vedere, a considerare, a pensare - ( Per chi ? Per me ? Per gli altri ? ) Bisogna.
Prima della morte mi serve una conoscenza estrema,
la conoscenza della mia morte, per potere morire.

Gli altri quattro se ne sono andati. Buon viaggio. Che pace -
come se qui fosse nato un bambino o morisse un martire, e tu aspetti
di sentire un immenso grido ( del bimbo o di Dio ), un grido più grande del silenzio
che abbatterà le mura del prima, del poi e dell'ora, perché ti riesca
di ricordare, pronosticare, vivere ogni cosa in una volta, in un istante senza tempo. Ma niente.

Una tranquillità pietrificata, - per quanto si sentano
le fucilate e le voci - quanto strane; non si sentono, schioccano
secche come fili tranciati e o come acque cristallizzate prima di cadere
e indugiano in uno spazio strano, immobili e puntute. Che tranquillità, -
con tutto che si ode l'arrivo del fuoco. Non è più il momento di tornare indietro -

Dietro e accanto e sopra, la barriera della roccia, davanti
una piccola e interminabile morte, in mezzo
(in mezzo?) io. Quale io ? - Cos'è
un uomo rinchiuso nel fuoco e nella roccia la cui unica via d'uscita
è una morte totale e graduale. Bisogna che la conosca. Non mi riesce.

Forse potrei cavarmela. Forse potrei
sopportare il disprezzo o l'indulgenza o l'oblio degli altri. Ma potrei io
dimenticare la luce che abbaimo sognato insieme? Quel grande palpitare della nostra bandiera? Potrei
accomodarmi nell'ombra di un angolo con le braccia incrociate intorno alle ginocchia incrociate
come un ragno astioso, corrucciato e appartato
che in solitudine tesse le sue reti con la sua bava?

Anche così forse potrebbe essere bello -
una farfalla ingannata arriverebbe forse a posarsi prima o poi sulle grate della finestra
vibrando impercettibilmente non per me (ma forse anche per me) la sua duplice esile bandierina;
una linea di luce passerebbe forse dalla fessura della porta come il ditino di un'amica
che disapprovando traccia una linea sulla polvere del tuo tavolo con i tuoi quaderni.
La voce di un bimbo - non è possibile - si udrebbe nei campi un pomeriggio
e lo sguardo di una donna sognante che sorride - il suo sguardo, perduto nella sera, ti sfiorerebbe,
lo sguardo di una donna che non ti ha ancora visto e che ancora non hai visto.

Forse sarebbe bene. Una lampadina che brillerebbe presto davanti al piccolo cancello della tua prigione
nel roseo tramonto di primavera, sarebbe forse
questa lampadina la dolce curvatura di tutta una riviera sopra la quale si affollerebbero gli insetti
come barchette di pescatori in un porticciolo della nostra isola.

Ovunque puoi viaggiare pur senza spostarti.
Solo l' immobilità estrema è impercorribile. Non ho potuto andar via.
Non avevo spazio. L'uscita era troppo stretta. Anche è mancato il coraggio
di non poter morire. Perdonatemi.
Forse i quattro miei compagni dovevano essere più forti di me - cioè più sinceri,
io ero debole: mi sono vergognato.

Andate, voi. (Se ne sono andati.) Non vi trattengo. (Già s'incamminavano.) Buon viaggio.
Il fuoco si appressa. Perdonatemi, amici se non ho potuto
seguirvi, se vi ho lasciati soli in questa sortita.
E' la prima volta. Non potevo. Perdonatemi.

Eppure, lo sento ancora, potrei comunque vivere,
in solitudine come uno stanco scoglio ostinato, dimenticato,
oppure addossarmi il torto, essere ingiusto, vedere che i miei amici hanno torto e tacere,
o come un cane rognoso e bastonato che guarda di sguincio l'ombra di un passero e la propria ombra,
oppure (anche questo ho pensato) facendo l'asceta, levigare con i polpastrelli delle mie dita
(rammolliti dall'inattività) lisciare un sasso
e perdermi per ore guardando le sue immobili venature, e così piegato
piangere senza parole la fortuna di esistere. Non ho potuto.

Se uscissi consegnando le mie chiavi, trascinandomi
con le mani e con i piedi (ogni uscita è stretta, compagni miei) , se mi muovessi
a consegnare la mia anima come una bandiera lacerata - Quale anima mia?
Non arriverei a assaporarla tutta, a conoscerla tutta intera. Mi serve
questo istante, per sapere dove e cosa consegnerò o non consegnerò. Lo so
come potrebbe essere per me al vostro posto, fratelli miei che siete andati via,
perché so, come pure voi, cosa significhino dolore e paura,
ma io avevo una paura più grande del mio dolore e della vostra paura,
non solo la paura del mio corpo, ma anche la paura della mia anima, che non conosco -
l'ombra di ogni mio movimento ingrandiva senza sosta sopra un muro spaventosamente bianco,
ed ogni mia pulsazione la udivo cadere nel sempre
descrivendo cerchi interminabili, solidi e acquosi. Così
con questa paura dell'anima ho eluso la paura del mio corpo. Al punto che conosco
tutta la paura, e potete credermi,
perché non c'è nessuno di noi che voglia che soffriamo o che temiamo.

Qui per lo meno, - potete credermi.
Qui non è difficile amarci. Tutto è così difficile,
e forse per questo ha un valore. Eppure non potrei
camminare con i ginocchi della mia anima troncati.
Con quelli del mio corpo, i piedi e le mani mozzati, lo potrei. Perdonatemi. Vi saluto.

Se ne sono andati. Tranquillità. Che solitudine affollata. Ogni cosa densa e disciolta. L'infinito
senza il peso di testimoni. A chi potrei parlare e perché? Se almeno fossero rimasti -

Non devo naufragare in me stesso. Fossi almeno trattenuto
dal suono della mia voce, dal rumore del mio fucile, restasse la mia testa sopra il pelo dell'acqua
o anche solo la fronte e gli occhi. Voglio vedere.

Voglio immaginare gli alberi, le finestre, gli oggetti,
sentire il loro calore casereccio, contrastare
questo grande gelo del fuoco che si appressa. Potrebbe anche essere
una seggiola appoggiata nell'angolo di una camera, dico,
come la facciata di un campanile, lungo la quale il suono delle campane
rotola riempiendo la casa di pace domenicale. Non posso continuare.

La vittoria senza testimoni che la divulghino sembra irrealizzabile.

Voglio immaginare il mio cadavere attorniato da amici piangenti e bandiere a mezz'asta
per potermi separare dal mio corpo. Nessuno intorno a me.
Unica testimone la mia voce - e anch'essa come potrà superare il fuoco e la pietra?
Ma bisogna che me la cavi da solo. Che tranquillità! - Così incomparabile. Indiscutibile. La borraccia
mi ricorda che proprio non ho sete. Non avrò mai più sete. Eppure
il tascapane è ancora appeso lì al chiodo con l'espressione
della prima stella serotina sopra la spiaggia di Limessos
nell'ora in cui i camerieri innaffiano con tubi di plastica il marciapiede
dopo il caldo tremendo di un giorno di luglio,
nell'ora in cui mettono fuori i primi tavolini sulla banchina per i clienti della sera,
nell'ora in cui anche il più piccolo tonfo di un pesciolino, lì vicino nell'acqua bassa,
grida: «domani, domani domani».

Sì, potrei vivere comunque, in solitudine, dimenticato, in un luogo qualsiasi,
ribelle e irresponsabile, a godere senza invidia dei trionfi altrui,
azioni gloriose che non ho compiuto - a guardare
il percorso di una lenta formica che nel tramonto purpureo regge
un seme di mais più grande della sua statura e sentire
il richiamo di tutta la terra e il calore dell'estate attraverso le zampette di quella formica,
e che la tacita gratitudine di tutto il mondo starà dentro i miei occhi
mentre ascolterò per sempre quel pesciolino gridare: «domani, domani, domani». Ma quale domani oggi ?

Terribile gelata questa calura. Non faccio in tempo. Il vento sta calando.
E bisogna onorare la mia scadenza. Lasciare un testamento. Cosa occorre?
Anche quello lo brucerà il fuoco. Non lo brucerà.
Come è difficile, insomma, la vita che finisce. E bisogna che riesca
a vivere questa mia ultima difficoltà, a superarla, e forse a darla
agli altri come una grazia. Come ? Con che cosa ? «Ma bisogna».

Cosa bisogna ? Chi parla ? Cosa dice ? Perché ? «Ma bisogna».
Qui non ci sono più doveri, più necessità. Chi comanda?
Che vogliono da me ? e chi ? I poveri, i senza giustizia, e la patria, e il mondo, e il mio me stesso ?
Doveri e necessità. Appunto. Doveri e necessità.
Una luce rossa dentro e fuori. Il sangue e il vento.
Esistono. Esisto. Dobbiamo esistere.
Esisteremo. Una luce rossa il mio istante. E bisogna
che leghi i pensieri alle cose - che esistano -
tangibilmente. E non ho tempo. E le cose sono andate. Non le vedo.
Rimangono solo pensieri inafferrabili e bisogna
che, almeno, questi li trattenga - che trovi un modo per consegnarli -

Due bocconi del pane di ieri nel mio zaino,
la gavetta opacizzata dal fiato del fuoco - il mio cibo gelido, intatto -
l'orologio al mio polso che ieri si è fermato alle due di notte - come ho scordato di caricarlo ? -
strano che si fermino gli oggetti che sai che hanno un movimento,
che, soprattutto, decidono del tuo tempo, dei tuoi incontri, - non ci sono più altri incontri ;
quando si fermano, solo allora, ascolti, nel tuo silenzio, il loro consueto movimento,
quasi vedi il loro movimento, presente, nella sua invisibilità,
e sai che il loro destino ormai è di muoversi ben oltre il punto in cui si sono fermati.

E questa chiocciola qui che risale silenziosa la pietra,
lei con la sua chiesuola - dove va ? Non fa attenzione.
Le devo parlare ? le devo confidare ? E' sorda. Come se non dovesse niente a nessuno - trascina
con sé anche questa sua chiesuola - Bisogna insomma che riesca ad arrivarci tutto da solo - ma cosa devo raggiungere ?
L'istante della morte non è il momento più adatto
per pensare; eppure è il solo
che hai per intero, perché è la fine,
e qui non hanno posto menzogne ed errori - quale discorso peraltro ?

Ho appena 29 anni e l'unica cosa che so è che voglio vivere.
Non ho ancora fatto in tempo a pensare, perché non ho fatto in tempo a vivere. Dentro la battaglia
che cosa hai da pensare? Non ho fatto in tempo. Mi servirebbe, almeno,
tutto intero questo mio istante per vivere interamente. Ricordo -

Era primavera, allora. Sedevamo sul ciglio del porto di Famagosta,
e ora so - non lo sapevo allora - la vita era bella (e lo è,
e sempre più bella forse - diventa sempre più bella - siamo noi a farla)
erano belle le spighe, i cedri, le vigne, le case, le donne, i pescherecci -
come era bello il gioco dei riflessi dell'acqua sulle fiancate dei bastimenti - belle
anche le ombre dei bastimenti nell'acqua, ombre di gabbiani passavano
sopra la banchina, sopra i tavolini rotondi del caffé all'aperto
con le tazzine; e così mentre chiacchieravamo, tre vecchi amici,
senza nemmeno sollevare la testa
sentivamo che i gabbiani erano sopra di noi
e insieme al caffé bevevamo qualcosa della fugace ombra dei gabbiani,
un sapore di semplicità, di amicizia e di libertà.

Eh sì, è bella la vita, anch'io ero bello, (perché ero? Lo sono.)
E possiamo rendere bella ogni cosa, mano nella mano.
Spesso d'estate nella vampa del mezzogiorno - ma anche nella neve -
ho sentito la vita far corpo con la fiducia in lei come una bandiera tenuta nelle mie mani,
e anche quando mi circondava la paura con tutte le sue ciclopiche ombre
e quando mi scuoteva i precordi la bandiera della patria che reggevo nelle mani
mentre la sbattevano venti nervosi,
quell'altra bandiera non era dimenticata. Erano belle. Ora
non c'è posto per nulla di simile. Ho scelto il fuoco. La mia decisione è presa. Sono pronto.

Dite che il portale della morte è più largo? Qui io finisco. Il seguito non lo so.
Le altre cose fatele, ditele voi. Ho guadagnato ancora un istante
grande come tutto quanto il dolore. Non sapevo
che un istante potesse avere tanta durata.
Non avevo immaginato che il dolore potesse pensare. E tutte le cose
hanno il loro senso profondo e attendono che noi lo troviamo. E il mondo si impoverirebbe
se venisse a mancare un sassolino, una cicala, o la voce del lattaio all'alba. Ora lo so.
Forse questo è ciò che chiamano eroismo?
e che tuttavia colui che chiamavano eroe non lo sapeva?
E che magari il pensiero vince il silenzio, il fuoco e il tempo
e la cosa che chiamiamo destino? Non lo sapevo. Ora lo so. Vi saluto.

Questo mio istante più bello, lo lascio a voi, fratelli.
Questo è adesso il mio fucile - l'arma mai usata dell'uomo.
E questo fucile, che mi scotta le mani, lo amo :
questo fucile lo irroro di... - Non è male che mi vediate piangere -
sono molto commosso di tutto e di me stesso
e ancor più commosso per la scoperta di questa commozione.

Se mi aveste conosciuto in questo momento meriterebbe che mi amaste,
come anch'io vi amo senza bassezza o alterigia.
Ma chi vi farà condividere questo momento? Non lo contengono
le parole, le mani, gli occhi, neppure l'azione, neppure il pensiero -
è grande come ciò che chiamiamo patria
grande come ciò che chiamiamo terra
grande come il mondo intero: (Come è strana la mia voce) come quando
lavori, di tua volontà, nel campicello del povero e ti è venuta sete a mezzogiorno
affidi la tua zappa inclinata al tronco del fico prediletto
e ti chini sul ruscello a bere e nel garrulo ruscello ti scontri
con il tuo bel volto, acceso dal lavoro, dal vento, dalla gioventù, dal sole,
e riconosci nell'acqua i tuoi occhi lampeggianti e questo non ti ferma
ma bevi l'acqua insieme col tuo te stesso. Ti disseti e poi rivolgi la testa
al cielo come se lassù cercassi qualcuno per dirgli grazie
e il cielo e la terra dentro e fuori di te sono sconfinati e luminosi
e tutto il mondo è tuo e puoi farne dono.

Questo attimo è irripetibile, perché è l'eternità,
e l'eternità esiste e la creiamo noi - non fa ritorno
come qualcosa che viene e va e ritorna - Non piangete, allora.
Ma lasciate piangere me, perché tra poco, lo predíco,
non potrò più piangere riconoscendo
la fortuna che ho di poter morire. Perdonatemi.

E davvero, ho dimenticato di dirvi la cosa principale - e che solo adesso ho appreso -
non è così difficile la morte. Lo è soprattutto il contrario.
E vi garantisco adesso sul mio sangue: mai fu tanto fortunato Cristo
come quando l'ultimo chiodo lo lasciò immobile, senza ucciderlo,
perché guardasse negli occhi il cielo e il proprio sacrificio :
mai Prometeo vide tanto sereno e luminoso il mondo
come quando il becco dell'avvoltoio trovò i suoi occhi
sapendo, solo allora, che era riuscito a dare la luce e il fuoco all'uomo,
e anche, sì, non fu mai così bello il piccolo Grigoris Afxendiou di 29 anni...

Pronuncio il numero dei miei anni e piango
sapendo che lo aggiungerete alla gloria della nostra stirpe
(e mi si perdoni anche questa mia ultima debolezza).
Ascolto questo numero sulle vostre labbra
e vorrei baciarlo sopra le vostre labbra.

Ero forse piccolo per la gloria - forse piccolo
per tanta fortuna. Un'azione giusta
è un balzo dell'uomo fuori della solitudine. E' la stretta
di migliaia di mani e il giuramento di tutti. Sono pronto.

Non accetto, no, il sacrificio per la morte. Lo accetto
solamente per la vita - per una vita
che non esigerà più nessun sacrificio. Sono pronto.

Non avrei mai creduto che l'angustia di una grotta
potesse avere tanta ampiezza: potesse contenere
la patria con i suoi ulivi, le sue sponde, i suoi tormenti,
le sue barche da pesca con le vele spiegate nel suo vento virile,
il mondo con i suoi stendardi, i suoi sogni, le sue campane, e le sue erbette selvatiche. Ansimo,
dentro questo tunnel di pietra la cui uscita
è la stessa imboccatura del sole. Lo so :
da qui, direttamente, passerò morto nel mondo. Non piangete.
E adesso so come non mai che la libertà è possibile. Vi saluto.

In questo momento non mi fanno paura le parole grandi o piccole -
posso tergermi gli occhi nella nostra bandiera
poiché lo so: nel mio istante assoluto
all'imboccatura della morte i miei compagni di lotta
raccoglieranno fiammeggiante dalle mie mani
la bandiera della lotta inflessibile, fiammeggiante
come un cavallo di fuoco capace di attraversare l'universo e la morte
come un'inestinguibile esca in tutte le notti degli schiavi, fiammeggiante è la nostra bandiera
come un grande calice scintillante per la Santa Comunione del Mondo. Posso ripetere:

« Prendete, mangiate, questo è il mio corpo e il mio sangue
- il corpo e il sangue di Grigoris Afxendiou
di un ragazzo povero di 29 anni, del villaggio di Lissis, di mestiere conducente di taxi,
che alla Grande Scuola della Lotta imparò solo tante lettere
di quante si compone la parola libertà »
e che oggi, 2 marzo 1957, è bruciato vivo nella grotta del Monastero della Beata
e precisamente oggi, 2 marzo, giorno di sabato - non lo dimenticate compagni -
alle ore 2, e minuti 3 dopo la mezzanotte,
è nato il piccolo Grigoris tra le ginocchia insanguinate del creato.

Dieci ore sono troppe per tutte le cose
quando hai un fucile, parecchie pallottole e la ragione dalla tua parte
quando sei padrone dei tuoi 29 anni e puoi disporne di tua sola mano
quando sei padrone della tua morte. Vi saluto.

Continuo a salutarvi e ancora sono qui. Si, la più grande azione della nostra vita
è la decisione della nostra morte, quando esiste una via d'uscita,
quando puoi ancora sfuggirla e sei tu a sceglierla
come onore e dovere verso gli altri, al di là delle tue necessità.
Chi può vincere in un istante la sua vita vince anche la morte. Ora lo so.

(Come è strana la mia voce oggi. Che sia
quella che volete da me? quella che vorrei farvi ascoltare? Che sia
proprio questa la mia vera voce? O la nostra voce ? la voce di tutti noi ?)

Ogni cosa è inesistente prima che la si pensi, prima che la si compia.
Non solo pensarla, o solo compierla
ma pensarla e nello stesso tempo farla. E voi, fratelli miei, molto mi avete aiutato.
(Nessuno esiste da solo senza l'aiuto di un altro)

Tu che piangerai per la mia morte mi hai aiutato a morire a testa alta
tu che prenderai il mio fucile per vendicare la mia morte
mi hai aiutato a morire contento per te e per me.
Mi hanno aiutato anche quelli che sono caduti prima di me. Come anch'io aiuterò voi.

Questa ora non è più per vanterie ed eroismi,
quando ti trovi a tu per tu con la morte,
e ve lo dico con semplicità, come se ruotassi il volante della mia macchina in una giornata di primavera
per evitare lo scontro con un carretto che un contadino maldestro conduce
o per non investire un ragazzo che gioca indistinguibile nella luce del sole
e anche, sì, (e questa tenerezza non è incompatibile con un uomo che attende di morire)
per non distruggere un fiore di campo che è andato il bastardello a spuntare in mezzo alla pubblica via
tutto innocente e sereno come un occhietto socchiuso del creato -
sì, con tanta semplicità ve lo posso dire, come se ruotassi il volante della mia macchina: «La vera statura dell'uomo
si misura sempre con il metro della libertà ». Nient'altro. Vi saluto.

Se qualcosa mi dispiace è che qui non potrò più fare nulla per voi
( non come fama o come idea o come leggenda, ma con queste mie stesse mani ) ,
come, diciamo, ecco, che vorrei tirare anch'io una fucilata al vento nella festa della liberazione
o caricare su un grande camion cento sacchi di pane, duecento sacchi di patate,
risollevare da un mancamento quella vecchietta, la sua legna nel bosco,
risollevare il cavallo del vecchio carrettiere che è caduto nel fango in un mattino piovoso,
dare anch'io un calcio alla palla con cui di pomeriggio stanno giocando i piccoli compaesani nel campo sportivo
o una sera dare uno scappellotto a un amico che dirà una battuta pesante
o distribuire, un giorno in cui il lavoro è andato bene, un sacchetto di caramelle ai marmocchi del mio rione
o appoggiare queste mie braccia possenti, che oggi ho amato,
su un tavolino all'aperto di Famagosta
e, senza guardare le mie mani di lavoratore, sentirle
riposarsi sopra i ginocchi di pietra del nostro mondo amichevole.

Oggi sento una tenerezza per me stesso sapendo che mi amerete
oggi amo e stimo me stesso
oggi sorrido al mio me stesso guardandolo con i vostri occhi fraterni.

A un certo momento ho lasciato la mia arma a raffreddarsi un poco sulla pietra,
ho aperto il mio zaino e ho tirato fuori lo specchietto da tasca -
sì, sono bello - quando mi volete bene -
cosa potrei fare per voi - quando mi volete bene -
cosa potrei - solo adesso lo capisco - (e forse è troppo tardi:
solo con la mia morte ormai posso regalarvi qualcosa.) per esempio
potrei far traballare un tank con un pugno,
scolpire una statua in cima a un monte in un giorno, - quando mi volete bene -
o costruire entro un'ora una scuola altissima. Non sto scherzando.
Non è il momento - fratelli - di scherzare. Vorrei essere bello e dentro e fuori
per essere degno del vostro amore: sì, ( e lasciatemi dire anche questo: ) perché mi pensino come loro marito
tutte le belle ragazze; perché mi pensino come loro amico
tutti i nostri adolescenti greci e i ragazzi del mondo. Non ho più tempo.

Riuscissi, almeno, a radermi, a sforbiciare un po' i miei baffi. Ma forse
mi sta bene un po' di barba sul mio aspetto così giovane. ( Vedete
quanto ragazzo mi rende il vostro amore? Mi restituisce la mia voce.) Pensa, fratello mio,
che dopodomani sulle nostre orme
le ragazze sceglieranno il marito
i ragazzi i loro amici
gli uomini le loro azioni,
devi sapere che tu pure marci con loro verso l'alto,
verso un monte eccelso, tutto nastri sottili di asfalto,
per contemplare compiutamente il creato,
le città piene di comignoli e osservatori astronomici e finestre,
i campi e i boschi, i porti fitti di alberi,
i pacifici aeroplani, le aquile ardimentose e gli aquiloni dei bimbi
con quelle loro buffe code policrome -
su di un monte eccelso, con un macchinone dell'ultimo modello che forse porterà il nostro nome -

E appena adesso ho pensato che di certo la vita
non va avanti con cupe confessioni e piccole sincerità
(la confessione - l'ho sentito dire e ora mi è venuto in mente -
salva, dicono, quello che si confessa. Ma l'altro?
E l'altro di cosa ti è debitore per caricarsi sulla groppa come sacchi di inutili pietre le tue parole
senza neppure poterci costruire?) La vita insomma
tira avanti con azioni e sacrifici - con quello che chiamiamo «senso comune»,
e nemmeno lo so come si chiamino queste cose, ma le ho dette lo stesso.
L'unica cosa che ho imparato è: quando stringi lo spigolo del tavolo
c'è lo spigolo del tavolo con tutta la sua compattezza
e quando stringi un seno sai che le mani più solide tremano
e allora vuoi seminare migliaia di bambini
perché rallegrino il nostro mondo che tu non hai fatto in tempo a rallegrare
e forse, dico, forse lo devi sapere, - da qualche altra parte, nel tuo intimo devi sentirlo - che quel petto
« dotato di dolci seni prepara un latte di valore e di libertà ».
E che, di certo, lo devi sapere. Vi saluto.

Eh via, vecchia madre, non incominciare a piangere adesso. No? -
Così ti voglio. Greca. Pensi che ti porti via la vita? Ti lascio il tuo orgoglio.
Non ti vedrà il nemico incurvata su te stessa. Lo so. Dirai:
«Sono orgogliosa di mio figlio, - meglio una manciata di cenere onorata
che il mio valoroso in ginocchio». Proprio così. Ti saluto, madre.

Il padre
mi riconoscerà all'obitorio dalle mie grosse ossa greche, simili alle sue,
e dalla croce della patria che tenevo come amuleto tra i peli del mio petto. Parlo di me
come fossi innamorato di me stesso, come se la Grecità fosse innamorata di me. Perdonatemi.
Voi mi avete dato questo diritto. Grazie.
Voi, e il vostro amore, e la mia morte. Lo so,
perfino quello che ha preso i 5000 denari
una sera berrà un bicchiere alla mia salute in una taverna di Pafos
e si chinerà a piangere nel suo bicchiere, perché ero un buon amico
e forse pure lui un giorno potrà diventare nostro amico.

Ora dunque, profondamente e in verità, vi posso dire,
come se guidassi, ancora una volta, diritto e preciso la mia vetturetta su una strada asfaltata di Cipro
in un mattino terso e luminoso, - vi posso dire: «La nostra virtù
è la nostra reciproca utilità». D'accordo, fratelli. Qui
non è irrealizzabile la fratellanza per noi e per tutti.
Qui le differenze naufragano in un sorriso, - ed è come
ascoltare, in quelle notti d'estate, - azzurre, argentee e rosate -
in un solo grande bagliore di felicità
tutti i distinti mormorii della casa e delle piccole e grandi stelle
e vibra la radice del cuore e vibra il mondo
al punto che vuoi dar di gomito a un amico per ascoltare insieme a lui,
di gomito persino a una pietra perché ascolti anche lei, per condividere la tua gioia.

E' con questo amore, dico, che un giorno le croci di legno
sbocceranno di rose - sì, anche la mia croce, quella bruciata, quella pietrificata:
con questo amore, dico, un giorno piegheremo
quelli che portano l'ingiustizia e seminano l'odio. Questo è il mio comandamento -
per quanto in questo momento io non conosca l'odio
come se non l'avessi mai appreso o lo avessi dimenticato. Vi saluto.

Continuo a prepararmi alla partenza. Continuo a congedarmi da voi, e sto ancora qui
come se avessi ancora qualcosa al mondo da aggiungere. Come se avessi
da offrirvi ancora un poco di felicità tratta dalle mie midolla. Ricordo -

era un tramonto d'estate -
fermai la mia macchina davanti a una catapecchia. Avevo sete.
Una vecchia vestita di nero mi offrì un piccolo orcio d'acqua fresca.
«Grazie, nonnina», le dissi, «Buona libertà, figliolo», rispose.
«Buona libertà, nonnina», le ripetei - e sentii quanto di quella le fossi debitore.

Mi tolse il berretto e mi terse la fronte con la mano. ( Sapete,
anche le vecchiette sanno sorridere. ) La libertà insomma ciascuno di noi la deve a tutti.
Una libertà per uno solo non serve a niente (sempre che esista).
Non è nulla neppure per lui stesso. «Salute eh, nonnina. Buona libertà, allora», -
e girai un poco i miei occhi - stava calando il velo azzurrino della sera: non distinguevo bene.

E come mi rimisi in marcia con i due fari abbassati ( perché c'era ancora luce )
sentivo che con la mia macchina stavo salendo, lì c'era la grande piana di Messaoria
profonda e silenziosa, sfumante in un pigro chiaro di luna,
sentivo che stavo salendo fino al cielo
e sentii la luna colpirmi al petto con la sua frescura,
come un "costantinato" (1) d'oro la luna era appesa con uno spago al mio collo,
la sentii rinfrescare il mio cuore e il mio corpo scaldarsi a poco a poco ed evaporare. E dicevo:
non basta la tavola, né qualche spicciolo in tasca, né il pane né il bacio -
l'uomo è più grande delle sue preoccupazioni quotidiane. E anche dicevo
che l'uomo prende a muoversi dalla sua preoccupazione per il pane
e sempre procede oltre la sua schiavitù
di schiavitù in schiavitù, di riscatto in riscatto,
dal riscatto della patria al riscatto del mondo
finché non senta, entrando direttamente nel cielo,
che la luna evapora nel suo petto,
finché una notte non pianga d'amore per tutto il mondo. Così abbandonai
in un fosso la mia macchina. Presi il fucile. E salii al monte. Così mi sono trovato
in questa grotta la cui imboccatura guarda in faccia il sole. La sua bocca rotonda
è il sole stesso che tornerò a sentire fresco, quando me la faranno varcare,
(come quella notte la luna) - lo sentirò come un fresco "costantinato"
ristorarmi il petto bruciato, così che a poco a poco
il sole si riscaldi ed evapori nel nostro petto. Vi saluto.

(Tutte le campane della Terra suonavano all'unisono. Alte tutte le fronti umane. Nel villaggio di Lissis tra Nicosia e Famagosta, sua madre si strinse il fazzoletto nero sotto il suo mento forte e disse esattamente le parole che suo figlio si aspettava: «Sono orgogliosa. Meglio una manciata di cenere onorata, che il mio valoroso in ginocchio». Il padre a sua volta, quando andò all'ospedale militare di Nicosia, riconobbe il suo ragazzo carbonizzato dalle sue grosse ossa greche e da quel "costantinato" d'oro che evaporava sul suo petto e sul petto del mondo.)

ATENE. DAL 5 AL 25 MARZO 1957
(1) Moneta d'oro tardoromana, con le immagini di Costantino il Grande e di sua madre Elena. Con lo stesso nome anche il popolare pendaglio usato dai Greci come amuleto, con la croce greca e la scritta ΕΝ ΤΟΥΤΩ ΝΙΚΑ - in hoc signo vinces. (NdT)

inviata da Gian Piero Testa - 5/11/2012 - 20:10




Lingua: Francese

Version française – ADIEU – Marco Valdo M.I. – 2012
d'après la version italienne de Gian Piero Testa – COMMIATO
d'un chant grec de Yannis Ritsos : Aποχαιρετισμός

Grigoris Afxendiou.
Grigoris Afxendiou.


Il nous plaît de saluer ici le poète Ritsos et l'émérite Gian Piero Testa, sans qui tout ceci nous aurait échappé.

Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane

P.S. : REGARDEZ CE QU'ILS FONT AUX GRECS... ILS VOUS LE FERONT BIENTÔT.


Le Poème de Ritsos

apoh


Comme le poète lui-même le précise dans sa composition, transcrivant l'article de presse d'où il avait tiré la nouvelle, en mars 1957 tombait de façon particulièrement cruelle le milicien de l'EOKA (Armée Grecque de Libération de Chypre) Grigoris Afxendiou, un taximan de vingt-neuf ans fébrilement recherché par les Anglais, qui le tenaient pour le numéro deux de l’organisation ? Le fait frappa Yannis Ritsos, qui n'hésita pas à considérer Afxendiou comme un pur héros et martyr de l'indépendance de son peuple opprimé. Mais cette mort, qu'Afxendiou aurait pu éviter comme l'évitèrent ses camarades piégés avec lui dans cette grotte, induisit le poète à une réflexion (qui s'exprime au travers d'un courant de conscience du héros) sur les mobiles rationnels, psychologiques et émotifs qui conduisent un individu à renoncer à la vie, que pourtant il aime, par respect d'un double impératif, un interne et un supérieur. À la fin, le jeune martyr acquiert la stature d'un échantillon de l'humanité entière humiliée et offensée. La distance entre le héros idéalisé et la figure de son chef Grivas, dont Ritsos devait bien connaître les précédents, quand il en rendit compte comme chroniqueur des quarante jours d'affrontements des Dekemvrianà d'Athènes durant lesquelles les « Hites » (miliciens) du colonel (Grivas – militant nationaliste, royaliste et d'extrême-droite) se distingueront par leur férocité, déconcerte quelque peu.
Mais évidemment, Ritsos avait besoin d'explorer le comportement humain extrême à un niveau plus abstrait et plus absolu, probablement pour s'expliquer à lui-même sa propension à mettre en jeu sa vie pour quelque chose de valeur universelle et pour s'expliquer aussi la course au sacrifice de tant de camarades qu'il avait vu tomber dans la décade de guerre et de prisons traversée par son pays. Une réflexion pour mettre un point final à une question brûlante et confirmer que le sacrifice pour les autres est le somment de la conduite morale.
La réflexion de Ritsos n'est en rien étrangère à notre site, auquel on collabore en cherchant et en choisissant les expressions de ceux qui dans le monde et la société cherchent l'homme à travers la réalité des luttes contre les inégalités, les injustices et les oppressions. Des luttes qui prennent les formes de la dénonciation, de l'agitation, de la conspiration, du soulèvement et pas seulement de la guerre, entendue au sens commun. La guerre, compagne éternelle et incommode de l'humanité, génératrice aussi bien de monstres que de héros, dans ses représentations artistiques et poétiques, ou plus banalement rhétoriques, semble reproposer inéluctablement ses propres clichés moraux et ses prosopopées : la victime innocente, le déserteur, le rebelle et les héros « toujours jeunes et beaux » qui, incarnations de valeurs supérieures, défient les périls et les souffrances et savent renier leur vie pour ce qu'ils recherchent. Certes, nous faisons la distinction entre ceux qui, en tombant, crient « Vive la Mort » (Viva la muerte !) et ceux qui meurent pour que les autres vivent ; mais il ne peut nous échapper que leur représentation, qui est toujours imaginaire et littéraire, repropose depuis des siècles et pour les uns et pour les autres, les mêmes « topoi » (lieux communs), que seule la différence qui sépare un poète d'un bonimenteur de mort avec les croix grecques sur le béret réussit à rendre irrémédiablement différents. (gpt)

YANNIS RITSOS



ADIEU

Les dernières heures de

GRIGORIS AFXENDIOU

dans la grotte en flammes.



DÉDIÉ


Au Héros et Saint

GRIGORIS AFXENDIOU

Aux Grands Poètes

Défunts

et Maîtres de la Nation

DIONYSIOS SOLOMOS

ANDREAS KALVOS

KOSTIS PALAMAS

ANGELOS SIKELIANOS

Et

À tous les Martyrs

Connus

et Inconnus

Des

Luttes

de la Grèce et du Monde.


afxe


Le mardi 5 mars 1957, tous les journaux du matin d'Athènes écrivaient :

NICOSIE, 4 (Service spécial) - Grigoris Afxendìou, connu comme le vice commandant de l'EOKA et lieutenant de son commandant Digenìs [Yorgos Grivas, NdT] a été tué hier dans la région du mont Tròodos après s'être battu héroïquement pendant plus de dix heures seul contre d'imposantes forces britanniques, dans une grotte près du monastère de la Béate. La bataille se déroula de la façon suivante. Les forces de sécurité avaient reçu l'information que dans le Monastère de la Béate se cachait ce patriote recherché, sur lequel pesait une prime de 5000 livres sterling. Dans l'après-midi du samedi, un détachement de l'armée britannique composé de 60 hommes se mit en route vers le monastère, qu'il encercla pour capturer le combattant traqué. Les soldats britanniques perquisitionnèrent minutieusement le monastère et arrêtèrent tous les moines, y compris l'Igumène (archiprêtre), et les maltraitèrent pour leur arracher des informations sur le lieu exact où se cachait Grigoris Afxendìou. Mais aucun des moines ne révéla quoi que ce soit. Durant la battue dans les environs du monastère, les soldats britanniques découvrirent une grotte cachée dans les taillis.
Il se dit qu'un berger les avait informés que dans cette grotte était caché Grigoris Afxendìou. Immédiatement, les forces britanniques encerclèrent la grotte et intimèrent à Grigoris Afxendìou l'ordre de se rendre.
Le commandant du détachement britannique, le sous-lieutenant Middletown s’approcha de l'entrée de la grotte et cria : « Jette tes armes et rends-toi, sinon nous attaquons ». Quelqu'un répondit : « D'accord, nous nous rendons. » Quatre hommes sortirent, sur deux d'entre eux pesait une prime de 5000 livres sterling, comme celle d'Afxendìou. Grigoris Afxendìou n'était pas parmi eux. Le sous-lieutenant Middletown lui intima l’ordre de se rendre, mais il reçut l'orgueilleuse réponse : «  Μολὼν λαβἐ » [ « Viens me chercher », la célèbre réponse de Léonidas aux Perses, Ndt].
Immédiatement, quatre hommes avancèrent dans la grotte. L'héroïque combattant de l'indépendance chypriote les accueillit par une tempête de feu. Trois des quatre Anglais, qui avaient espéré gagner la prime d'Afxendìou sortirent immédiatement terrorisés, tandis que le quatrième, blessé à la poitrine, tombait sur le sol pour succomber à ses blessures quelques heures plus tard. Le commandant des forces britanniques, le sous-lieutenant Middeltown, réclama immédiatement des renforts, qui arrivèrent par hélicoptère. La bataille se poursuivit pendant dix heures entières au cours desquelles les Britanniques utilisèrent entre autres des grenades lacrymogènes.
Face à l'inflexible courage d'Afxendìou et puisqu'ils avaient précédemment utilisé toutes sortes d'armes, les soldats anglais jetèrent dans la grotte des bombes incendiaires. Des flammes épouvantables recouvrirent la grotte et enveloppèrent bientôt le corps de l'héroïque patriote.
La bataille cessa à deux heures du matin.
Le cadavre d'Afxendìou fut retrouvé carbonisé.
Grigoris Afxendìou avait 29 ans et était chauffeur de taxi.
Dans la liste des recherchés par les Anglais, il était indiqué à la seconde place, derrière le général Grivas.
(Copie conforme des journaux du 5 mars 1957)


Finis les mensonges désormais – les nôtres et les autres.
Le feu dominateur s'approche. On ne peut plus
Distinguer si brûle le pistachier, la fougère, le thym. Le feu s'approche.

Pourtant il faut que je réussisse à distinguer,
à voir, à considérer, à penser - ( Pour qui? Pour moi? Pour les autres? ) Il faut.
Avant la mort, j'ai besoin d'une connaissance extrême,
La connaissance de ma mort, pour pouvoir mourir.

Les quatre autres s'en sont allés. Bon voyage. Quelle paix -
Comme si ici était né un enfant ou mort un martyr, et tu attends
D'entendre un cri immense (de l'enfant ou de Dieu), un cri plus grand que le silence
Qui abattra les murs de l'avant, de l'après et du présent, pour que tu arrives
À rappeler, pronostiquer, vivre tout en une fois, dans un instant sans temps. Mais rien.

Une tranquillité pétrifiée, - bien qu'on entende
Les fusils et les voix - si étranges; ils ne s'entendent pas, ils claquent
Secs comme des fils coupés et ou comme des eaux cristallisées avant de tomber
Et ils s'attardent dans un espace étrange, immobiles et pointus. Quelle tranquillité, -
Malgré qu'on entende l'arrivée du feu. Ce n'est plus le moment de revenir en arrière -

Derrière, à côté et au-dessus, la barrière de la roche, devant
Une petite et interminable mort, au milieu,
(Au milieu?) moi. Quel moi ? - Qu'est
Un homme enfermé dans le feu et dans la roche dont l'unique porte de sortie
Est une mort totale et graduelle. Il faut que je la connaisse. Je n'y arrive pas.

Peut-être pourrais-je m'en tirer. Je pourrais peut-être
Supporter le mépris ou l'indulgence ou l'oubli des autres peut-être. Mais pourrais-je moi
Oublier la lumière qu'ensemble nous avions rêvée? Ce grand frémissement de notre drapeau?
Est-ce que je pourrais m'installer dans l'ombre d'un coin avec les bras croisé autour de Mes genoux
Comme une araignée hargneuse, courroucé et retiré
Qui solitaire, tisse ses rets avec sa bave?

Même ainsi ce pourrait être beau -
Un papillon perdu arriverait se poser tôt ou tard sur les grilles de la fenêtre
Faisant vibrer imperceptiblement pas pour moi (mais peut-être aussi pour moi) sa double et frêle bannière ;
Une ligne de lumière passerait par la fente de la porte comme le petit doigt d'une amie
Qui désapprouvant trace une ligne sur la poussière de la table devant tes cahiers.
La voix d'un enfant – ce n'est pas possible – qu'on entendrait dans les champs un après-midi
Et le regard d'une femme rêveuse qui sourit – son regard, perdu dans le soir, t’effleurerait
Le regard d'une femme qui ne t'a pas encore vu et que tu n'as pas encore vue.

Ce serait bien. Une lampe qui brillerait tôt devant la petite grille de ta prison
Dans le crépuscule rose du printemps, peut-être serait-elle
Cette lampe la douce courbe d'une rivière sur laquelle afflueraient les insectes
Comme des barquettes de pêcheurs dans un petit port de notre île.

Tu peux voyager partout même sans te déplacer.
Seule l'immobilité extrême est imperturbable. Je n'ai pas pu partir.
Je n'avais pas de place. La sortie était trop resserrée. A manqué aussi le courage de ne pas pouvoir mourir. Pardonnez-moi.
Peut-être les quatre mes camarades devaient être plus forts que moi - c'est-à-dire plus sincères, j'étais faible: j'ai eu honte.

Allez-y, vous. (Ils s'en sont allés). Je ne vous retiens pas. (Ils s'éloignent déjà). Bon voyage.
Le feu s'approche. Pardonnez-moi, mes amis, si je n'ai pas pu
Vous suivre, si je vous ai laissés seuls dans cette sortie.
C'est la première fois. Je ne pouvais pas. Pardonnez-moi.

Pourtant, je l'entends encore, je pourrais vivre de toute façon,
Solitaire comme un roc fatigué, obstiné, oublié,
Ou endosser le tort, être injuste, voir que mes amis ont tort et me taire,
Ou comme un chien rogneux et battu qui regarde de guingois
L'ombre d'un moineau et sa propre ombre,
Ou (ceci aussi je l'ai pensé) faisant l'ascète, lisser du bout de mes doigts (ramollis par l'inactivité), polir une pierre et me perdre pendant des heures à regarder ses nervures immobiles, et replié ainsi pleurer sans mots la chance d'exister. Je n'ai pas pu.

Si je sortais en livrant mes clés, en me traînant
Avec les mains et les pieds (toute sortie est resserrée, mes camarades), si je me rendais
Pour livrer mon âme comme un drapeau lacéré – Quelle âme ?
Je n'arriverais pas à la goûter toute, à la connaître tout entière. Cet instant me sert
Pour savoir où et quoi livrer ou ne pas livrer.
Je le sais comment ce pourrait être pour moi à votre place, mes frères qui êtes partis,
Car je sais, comme vous d'ailleurs, ce que signifient douleur et peur,
Mais moi, j'avais une peur plus grande que ma douleur et votre peur,
Pas seulement peur pour mon corps, mais aussi la peur pour mon âme, que je ne connais pas -
L'ombre de chacun de mes mouvements grandissait sans arrêt sur le mur épouvantablement blanc
Et j'entendais chacune de mes pulsations tomber dans le toujours
En décrivant des cercles interminables solides et liquides. Ainsi
Avec cette peur pour mon âme, j'ai éludé la peur pour mon corps. Au point que
Je connais toute la peur et vous pouvez me croire,
Car il n'est personne d'entre nous qui veuille que nous souffrions ou que nous ayons peur.

Ici au moins, - vous pouvez me croire.
Ici, il n'est pas difficile de nous aimer. Tout est si difficile,
Et peut-être pour cela a une valeur. Pourtant je ne pourrais pas
Marcher avec les genoux de mon âme tronqués.
Avec ceux de mon corps, mes mains et mes pieds tranchés, je le pourrais. Pardonnez-moi. Je vous salue.

Ils s'en sont allés. Tranquillité. Que la solitude est pleine. Choses denses et dissoutes. L'infini
Sans le poids de témoins.
À qui pourrais-je parler et pourquoi ?
Si au moins, ils étaient restés - Je ne dois pas sombrer en moi-même.
Si j'étais au moins retenu
Par le son de ma voix, le bruit de mon fusil, ma tête restait hors de l'eau
Ou même seulement mon front et mes yeux. Je veux voir.

Je veux imaginer les arbres, les fenêtres, les objets,
Sentir leur chaleur familière, contrer
Ce grand gel du feu qui s'approche. Il y faudrait aussi
Un fauteuil dans le coin d'une chambre, dis-je,
Comme la façade d'un clocher, le long de laquelle le son des cloches
Roule en emplissant la maison de paix dominicale. Je ne peux continuer.

La victoire sans témoins qui la divulguent semble irréalisable.

Je veux imaginer mon cadavre entouré de mes amis en pleurs, le drapeau en berne
Pour pouvoir me séparer de mon corps. Personne autour de moi.
Ma voix unique témoin – et même elle, comment pourra-t-elle supporter le feu et la pierre ?
Mais il faut que je m'en tire seul. Quelle tranquillité ! – Incomparable. Indiscutable.
La gourde me rappelle que je n'ai pas précisément soif. Je n'aurai plus jamais soif. Et pourtant
Ma musette est encore suspendue là au clou avec l'air
De la première étoile du soir au-dessus de la plage de Limessos
À l'heure où les garçons arrosent avec un tuyau de plastique le trottoir
Après la chaleur torride d'un jour de juillet,
À l'heure où l'on met les premières tables sur la terrasse pour les clients du soir
À l'heure où même le moindre bruit d'un petit poisson, là tout près dans l'eau basse,
Crie : « Demain, demain, demain ».

Si, je pourrais néanmoins vivre, dans la solitude, oublié, en un lieu quelconque,
Rebelle et irresponsable, à jouir sans envie des triomphes d'autrui,
Des actions glorieuses que je n'ai pas accomplies – à regarder
Le parcours d'une fourmi lente qui dans le crépuscule rouge porte
Un grain de maïs plus grand qu'elle et entendre
L'appel de toute la terre et sentir la chaleur de l'été au travers des pattes de la fourmi
Et la tacite reconnaissance du monde sera dans mes yeux
Tandis que j'écouterai pour toujours ce poisson crier : « Demain, demain, demain ».
Mais quel demain aujourd'hui ?

Une gelée terrible cette touffeur. Je ne suis pas à temps. Le vent tombe.
Et il faut honorer mon échéance. Laisser un testament. Qu'est-ce qu'il faut?
Même celui-là le feu le brûlera. Il ne le brûlera pas.
Comme est difficile, en somme, la vie qui finit. Et il faut que je réussisse
À vivre ma dernière difficulté, à la dépasser, et peut-être à la donner
Aux autres comme une grâce. Comment ? Avec quoi ? « Mais il le faut ».
Besoin de quoi ? Qui parle ? Que dit-il ? Pourquoi ? « Mais il le faut »
Ici, il n'y a plus de devoir, plus de nécessité. Qui commande ?
Que veulent-ils de moi ? Et qui ? Les pauvres, les sans-justice, la patrie, et le monde, et mon moi-même ?
Devoir et nécessité. Justement. Devoir et nécessité.
Une lumière rouge dedans et dehors. Le sang et le vent.
Ils existent. J'existe. Nous devons exister.
Nous existerons. Une lumière rouge mon moment. Et il faut
Qu'on lie les pensées aux choses – qui existent -
Tangiblement.
Et je n'ai pas le temps. Et les choses s'en sont allées. Je ne les vois pas.
Il reste seulement des pensées inatteignables et il faut
Que, au moins, je les traite – que je trouve le moyen de les livrer.

Deux bouchées de pain d'hier dans mon sac.
Ma gamelle noircie par le souffle du feu – mon repas gelé, intact -
La montre à mon poignet qui s'est arrêtée hier à deux heures du matin – Comment ai-je pu oublier de la remonter ? -
Étrange que s'arrêtent les objets dont on sait qu'ils ont un mouvement,
Qui, surtout, décident de ton temps, de tes rencontres, il n'y aura plus d'autres rencontres ;
Quand ils s'arrêtent, seulement alors, on écoute, dans le silence, leur mouvement familier,
On voit presque leur mouvement, présent, dans on invisibilité,
Et on sait que leur destin désormais est de se mouvoir bien au-delà du point où ils se sont arrêtés.

Et cet escargot qui remonte silencieux la pierre,
Vous et votre chapelle – où allez-vous ? Ne faites pas attestation,
Dois-je vous parler ? Dois-je vous confier ? Vous êtes sourd.
Comme si vous ne deviez rien à personne – vous traînez avec vous cette chapelle –
Il faut en somme que je tente d'y arriver tout seul – mais que dois-je atteindre ?
L'instant de la mort n'est pas le moment le plus adapté
Pour penser ; pourtant c'est le seul
Qu'on a entièrement, car c'est la fin,
Et qu'ici n'ont de place ni mensonges ni erreurs – quel discours dès lors ?

J’ai à peine 29 ans et l'unique chose que je sais est que je veux vivre,
Je n'ai pas encore pris le temps d'y penser, car je n'ai pas eu le temps de vivre.
Que doit-on penser au milieu de la bataille ? Je ne l'ai pas fait en temps.
Il me servirait bien tout entier
Mon instant pour vivre intensément. Je me rappelle -

C'était le printemps, alors. Nous étions assis sur le mole du port de Famagouste,
Et maintenant, je sais – je ne le savais pas alors – la vie était belle (et elle l'est,
Et toujours plus belle peut-être – elle devient toujours plus belle – c'est nous qui la faisons).
Ils étaient beaux les épis, les cèdres, les vignes, les maisons, les femmes, les barques de pêche -
Comme il était beau le jeu des reflets de l'eau sur les flancs des bateaux – belles
Aussi les ombres des bateaux dans l'eau, les ombres des mouettes qui passaient
au-dessus de la terrasse, au-dessus des tables rondes du café à l'extérieur
Avec ses petites tasses ; et ainsi tandis que nous devisions, trois vieux amis,
Sans même lever la tête
Nous sentions les mouettes au-dessus de nous
Et ensemble au café nous buvions quelque chose de l'ombre fugace des mouettes,
Une saveur de simplicité, d'amitié et de liberté.

Eh si, la vie est belle, même moi, j'étais beau (pourquoi étais ? Je le suis.)
Et nous pouvons rendre belles les choses, pas à pas.
Souvent l'été dans la torpeur du midi – mais aussi dans la neige -
J'ai senti la vie faire corps avec la confiance en elle comme un drapeau tenu dans mes mains.
Et même quand m'encerclait la peur avec toutes ses ombres cyclopéennes
Et quand m'ébranlait la poitrine le drapeau de la patrie que je dressais dans mes mains
Tandis que le battaient les vents nerveux.
Cet autre drapeau n'était pas oublié. Ils étaient beaux. À présent
Il n'y a plus place pour rien de semblable. J'ai choisi le feu. Ma décision est prise. Je suis prêt.


Vous dites que le portail de la mort est plus large ? Moi, je finis ici. Je ne connais pas la suite.
Les autres choses faites-les, dites-les, vous. J'ai gagné encore un instant
Grand comme toute la douleur. Je ne savais pas
Qu'un instant pouvait avoir une telle durée.
Je n'avais pas imaginé que la douleur pouvait penser. Et toutes les choses
Ont leur sens profond et attendent que nous les trouvions.
Tout le monde s'appauvrirait
Si venaient à manquer un caillou, une cigale, ou la voix du laitier à l'aube. Maintenant, je le sais.
C'est peut-être ça qu'on appelle l'héroïsme ?
Et que pourtant celui qu'on appelle héros ignorait ?
Et que sans doute la pensée vainc le silence, le feu et le temps
Et la chose que nous appelons destin ? Je ne le savais pas. À présent je le sais. Je vous salue.

Mon instant le plus beau, je vous le laisse, mes frères
C'est à présent mon fusil – l'arme jamais utilisée par l'homme
Et ce fusil, qui me brûle les mains, je l'aime :
Ce fusil je l'arrose de... - il n'y a rien de mal à ce que vous me voyiez pleurer
Je suis fort ému de tout et de moi-même
Et encore plus ému par la découverte de cette émotion.

Si vous aviez pu me connaître à ce moment vous m'aimeriez
Comme moi aussi je vous aime sans bassesse sans fatuité
Mais qui vous fera partager ce moment ? Ne le contiennent
Ni les mots, ni les mains, ni les yeux, pas même l'action , ni même la pensée -
Il est grand comme ce que nous appelons patrie
Grand comme ce que nous appelons terre
Grand comme le monde entier : ( Comme ma voix est étrange) comme quand
On travaille, volontairement, dans le petit champ du pauvre et que la soif vient à midi
On confie la houe au tronc du figuier préféré
Et on s'incline sur le ruisseau pour boire et dans le gazouillis du ruisseau on rencontre
Son beau visage, buriné par le travail, par le vent, par la jeunesse, par le soleil,
Et on reconnaît dans l'eau ses yeux brillants et cela ne nous arrête pas
Et on boit l'eau en même temps que soi-même. On se désaltère et puis on tourne la tête
Au ciel comme si là-haut on cherchait quelqu'un pour le remercier
Et le ciel et la terre au-dedans et au-dehors sont infinis et lumineux
Et tout le monde est sien et on peut en faire don.

Ce moment est irrépétible, car c'est l'éternité,
Et l'éternité existe et nous la créons – elle n'a pas de retour
Comme une chose qui va et revient – Ne pleurez pas, alors.
Mais laissez-moi pleurer, car sous peu, je vous le prédis,
Je ne pourrai plus pleurer en connaissant
La chance que j'ai eu de pouvoir mourir. Pardonnez-moi.

Et vraiment, j'ai oublié de vous dire la chose principale – et que seulement à présent j'ai apprise -
La mort n'est pas si difficile. C'est surtout le contraire.
Et je vous garantis maintenant sur mon sang : le Christ ne fut jamais aussi chanceux
Que lorsque le dernier clou le laissa immobile, sans le tuer,
Pour qu'il regardât dans les yeux le ciel et son propre sacrifice ;
Jamais Prométhée ne vit le monde si serein et si lumineux
Que lorsque le bec du vautour trouva ses yeux
En sachant, seulement alors, qu'il avait réussi à donner la lumière et le feu à l'homme,
Et même, oui, ne fut jamais si beau le petit Grigoris Afxendiou de 29 ans...

J’énonce le nombre de mes années et je pleure
En sachant que vous les ajouterez à la gloire de notre lignée
(Et qu'on me pardonne aussi cette ultime faiblesse).
Je regarde ce nombre sur vos lèvres
Et je voudrais le baiser sur vos lèvres.

J'étais peut-être petit pour la gloire – sans doute petit
Pour une telle chance. Une action juste
Est un saut de l'homme hors de la solitude. C'est la poignée
De milliers de mains et le serment de tous. Je suis prêt.

Je n'accepte pas, non, le sacrifice pour la mort. Je l'accepte
Seulement pour la vie – pour une vie
Qui n'exigera plus aucun sacrifice ? Je suis prêt.

Je n'aurais jamais cru que l'étroitesse d'une grotte
Pût avoir une telle ampleur ; pût contenir
La patrie avec ses oliviers, ses rives, ses tourments,
Ses barques de pêche avec leurs voiles déployées dans son vent viril,
Le monde et ses étendards, ses songes, ses cloches et ses herbes sauvages. Adieu.
Dans ce tunnel de pierre dont la sortie
Est l'embouchure-même du soleil. Je le sais :
D'ici, directement, je passerai mort au monde. Ne pleurez pas.
Et à présent, je sais comme jamais que la liberté est possible. Je vous salue.

En ce moment, les mots grands ou petits ne me font pas peur -
Je peux tourner mes yeux vers notre drapeau
Car je le sais : dans mon instant absolu
À l'embouchure de la mort, mes compagnons de lutte
Recueilleront flamboyant de mes mains
Le drapeau de la lutte inflexible, rutilant
Comme un cheval de feu capable de traverser l’univers et la mort
Comme un inextinguible rêve dans toutes les nuits des esclaves, radieux est notre drapeau
Comme un grand calice scintillant pour la Sainte Communion du Monde. Je peux répéter :

«Prenez et mangez, ceci est mon corps et mon sang -
Le corps et le sang de Grigoris Afxendiou
D'un garçon pauvre de 29 ans, du village de Lissis, conducteur de taxi,
Qui seulement à la grande École de la Lutte apprit combien de lettres
Composent le mot liberté »
Et qui aujourd’hui, 2 mars 1957, est brûlé vif dans la grotte du Monastère de la Béate
Et précisément aujourd’hui, 2 mars, jour de sabbat – ne l’oubliez pas camarades -
À 2 heures et 3 minutes après minuit
Est né le petit Grigoris entre les genoux de l'univers.

Dix heures, c'est trop pour toutes les choses
Quand on a un fusil, quelques balles et la raison de ton côté
Quand on est maître de ses vingt-neuf ans et qu'on peut en disposer à sa main
Quand on est maître de sa propre mort. Je vous salue.

Je vous salue encore et je suis là encore . Oui, la plus grande action de notre vie
Est de décider notre mort, quand existe une voie d'issue,
Quand on peut encore la fuir et qu'on la choisit soi-même
Comme un honneur et un devoir envers les autres, au-delà de ses nécessités.
Qui peut vaincre en un instant sa vie vainc aussi la mort. À présent, je le sais.

(Comme ma voix est étrange aujourd'hui. Qu'est-ce
Que vous voulez de moi ? Ce que je voudrais vous faire entendre ? Est-ce
Bien elle ma vraie voix ? Ou notre voix ? La voix de nous tous?)

Toute chose est inexistante avant qu'on la pense, avant qu'on l'accomplît.
Pas seulement la penser, pas seulement l'accomplir
Mais la penser et en même temps, la faire. Et vous, mes frères, vous m'avez beaucoup aidé.
(Personne n'existe seul, sans l'aide d'un autre).

Toi qui pleureras pour ma mort, tu m'as aidé à mourir la tête haute
Toi qui prendras mon fusil pour venger ma mort
Toi qui m'as aidé à mourir content pour toi content pour moi.
M'ont aidé aussi ceux qui sont tombés avant moi. Comme moi aussi je vous aiderai vous.

Cette heure n'est plus aux vanteries et aux héroïsmes
Quand on se trouve à tu et à toi avec la mort
Et je vous le dis avec simplicité, comme si je tournais le volant de la voiture un jour de printemps
Pour éviter la collision avec une charrette que conduit un paysan maladroit
Ou pour ne pas renverser un enfant qui joue invisible dans la lumière du soleil
Et même, si, (cette tendresse n'est pas incompatible avec un homme qui attend de mourir)
Pour ne pas détruire une fleur des champs qui est allée bâtarde pousser au milieu de la voie publique
Innocente et sereine comme un clin d’œil du monde -
Oui, très simplement, je peux vous le dire, comme on tourne le volant de la voiture : « La vraie stature de l'homme
Se mesure à l'étalon de la liberté ». Rien d’autre. Je vous salue.

Si quelque chose me déplaît, c'est bien qu'ici je ne pourrai plus rien faire pour vous
(Pas comme renommée, comme idée ou comme légende, mais avec mes propres mains),
Comme, disons, ceci, que je voudrais encore tirer une rafale au vent à la Fête de la Libération
Ou charger sur un grand camion cent sacs de pains, deux cents sacs de patates,
Ramasser d'un faux pas cette petite vieille, son bois dans la forêt,
Relever le cheval du vieux charretier qui est tombé dans la boue un matin pluvieux,
Taper moi aussi dans la balle avec laquelle l'après-midi jouent les petits villageois sur le terrain de sports,
Ou un soir donner une tape sur la tête à un ami qui a dit une vilaine blague
Ou distribuer, un jour que les affaires auront été bonnes, un sachet de bonbons aux gamins du coin
Ou appuyer mes bras puissants, que j'ai aimés aujourd'hui,
Sur une table au dehors à Famagouste
Et sans regarder mes mains de travailleur, les sentir
Se reposer sur les genoux de pierre de notre monde amical.

Aujourd'hui, je ressens une tendresse pour moi-même en sachant que vous m'aimerez
Aujourd'hui, je m'aime et m'estime
Aujourd'hui, je souris à moi-même en me regardant avec vos yeux fraternels.

À un certain moment, j'ai laissé mon arme refroidir un peu sur la pierre,
J'ai ouvert mon sac et j'ai sorti le petit miroir de poche -
Oui, je suis beau – quand vous m'aimez
Ce que je pourrais faire pour vous – quand vous m'aimez
Ce que je pourrais – seulement maintenant je le comprends – (peut-être est-il trop tard :
Seulement avec ma mort désormais je peux vous offrir quelque chose). Par exemple,
Je pourrais faire tituber un tank d'un coup de poing
Sculpter une statue en haut d'un mont en un jour, - quand vous m'aimez -
Ou construire en une heure une école très haute. Je ne plaisante pas.
Ce n'est pas le moment, mes frères, de plaisanter. Je voudrais être beau au dedans et au dehors
Pour être digne de votre amour ; oui, (et laissez-moi dire aussi ceci) pour que pensent à moi
Comme à leur mari
Toutes les belles filles ; pour que me pensent leur ami
Tous nos adolescents grecs et les gars du monde. Je n'ai plus de temps.

J'aurais réussi au moins à me raser et à couper un peu mes moustaches. Mais peut-être
Qu'un peu de barbe va bien à mon aspect si jeune. (Voyez-vous
Quel garçon fait de moi votre amour ? Il me rend ma voix). Pense, mon frère,
Qu'après demain, sur nos traces
Les filles choisiront leur mari
Les garçons leurs amis
Les hommes leurs actions.
Tu dois savoir que pourtant tu marches avec eux vers le haut
Vers un mont sublime, tout noué de fins rubans d'asphalte,
Pour contempler méthodiquement le monde.
Les villes pleines de cheminées, d'observatoires astronomiques et de fenêtres,
Les champs et les bois, les ports bondés de mats,
Les avions pacifiques, les aigles intrépides et les cerfs-volants des enfants
Avec leurs drôles de queue polychromes -
Au-dessus d'un mont sublime, avec une super-machine du dernier modèle qui peut-être portera notre nom.

Je viens à peine de penser à l’instant que sûrement la vie
N'avance pas avec de sombres confessions et de petites vérités
(La confession – je l'ai entendu dire et maintenant cela m'est venu à l'esprit -
Sauve, disent-ils, celui qui se confesse. Mais l’autre ?
L'autre, de fait, devrait prendre sur son dos comme des sacs d'inutiles pierres tes mots
Sans même pouvoir rien en faire?) La vie en somme
Avance avec des actions et des sacrifices – avec ce que nous appelons « sens commun »
Et je ne sais même pas comment s’appellent ces choses, mais je les ai dites tout de même.
La seule chose que j'ai apprise est : quand on serre le coin de la table
C'est le coin de la table dans toute sa compacité
Et quand on serre un sein, on sait que les mains les plus solides tremblent
Et alors, on veut semer des milliers d'enfants
Pour qu'ils réjouissent notre monde qu'on n'a pas eu le temps de réjouir
Et peut-être, dis-je, peut-être on doit le savoir, - de quelqu'autre part, intimement on doit le sentir -
Que cette poitrine « dotée de tendres seins prépare un lait de valeur et de liberté ».
Et que, certes, on doit le savoir. Je vous salue.

Du calme, vieille mère, ne commence pas à pleurer maintenant. Non ? -
Je t'aime ainsi. Grecque. Tu penses qu'on t'enlève la vie ? Je le laisse ton orgueil.
Tu ne verras pas ton ennemi courbé au-dessus de toi. Je le sais. Tu diras :
« Je suis fière de mon fils, - Mieux vaut une poignée de cendres honorée
Que mon champion à genoux. » Exactement ça. Je te salue, mère.

Mon père me reconnaîtra
À la morgue à mes gros os grecs, semblables aux siens,
Et à la croix de la patrie que je tenais comme amulette entre les poils de ma poitrine. Je parle de moi
Comme si j'étais amoureux de moi-même, comme si la Grèce était amoureuse de moi. Pardonnez-moi.
C'est vous qui m'avez donné ce droit. Merci.
Vous, et votre amour, et ma mort. Je le sais,
Jusqu'à celui qui a touché les 5000 dinars
Un soir boira une bière à ma santé dans une taverne de Pafos
Et se penchera pour pleurer dans son verre, car j'étais un bon ami
Et peut-être lui aussi un jour pourra devenir notre ami.

À présent donc, profondément et en vérité, je peux vous dire,
Comme si je conduisais, encore une fois, bien et précis ma voiture sur une route asphaltée de Chypre
Dans un matin limpide et lumineux, - je peux vous dire : « Notre vertu
Est notre utilité réciproque ». D'accord, mes frères.
Ici la fraternité pour nous et pour tous n'est pas irréalisable.
Ici les différences font naufrage dans un sourire, et c'est comme
Écouter, dans ces nuits d'été, - azures, argentées et rosées -
En une seule grand lueur de bonheur
Tous les murmures distincts de la maison et des petites et grandes étoiles
Et vibre la racine du cœur et vibre le monde
Au point qu'on veut donner du coude à un ami pour écouter avec lui,
Du coude jusqu'à une pierre pour qu'elle écoute elle-aussi, pour partager la joie.

Et avec cet amour, je dis, qu'un jour les croix de bois
Bourgeonneront de roses – si, même ma croix, celle brûlée, celle pétrifiée :
Avec cet amour, dis-je, nous ferons plier
Ceux qui apportent l'injustice et sèment la haine. Tel est mon commandement -
D'autant qu'en ce moment, moi, je ne connais pas la haine
Comme si je ne l'avais jamais apprise ou si je l'avais oubliée. Je vous salue.

Je continue à me préparer au départ. Je continue à prendre congé de vous, et je suis encore ici
Comme si j'avais encore quelque chose à ajouter au monde. Comme si j'avais
À vous offrir encore un peu de bonheur tiré de ma moelle. Je me rappelle -
C'était un crépuscule d'été -

J'arrêtai ma machine devant une masure. J'avais soif
Une vieille vêtue de noir m'offrit une gorgée d'eau fraîche.
« Merci, grand-mère », lui dis-je, « Bonne liberté, mon fils », répondit-elle.
« Bonne liberté, grand-mère », je lui rétorquai et je compris que je lui en étais redevable.

J’ôtai ma casquette et je m'essuyai le front avec la main. (Vous savez,
Les petites vieilles aussi savent sourire). La liberté, en somme, chacun de nous la doit à tous.
Une liberté pour un seul ne sert à rien (tant qu'elle existe).
Elle n'est rien, même pour lui-même. « Salut eh, grand-mère. Bonne liberté, alors. », -
Et je tournai un peu les yeux – le voile azuréen du soir tombait : je ne distinguais pas bien.

Et lorsque je me remis en route avec les codes (car il y avait encore de la lumière)
Je sentais comme la machine montait, là il y avait la grande plaine de Messaoria
Profonde et silencieuse, fumant dans un clair de lune paresseux,
Je sentais que je montais jusqu'au ciel
Et je sentis la lune qui me frappait la poitrine de sa fraîcheur
Comme un « costantinato » (1) d'or , la lune était pendue avec un cordon à mon cou,
Je la sentis rafraîchir mon cœur et mon cœur se réchauffait petit à petit et s'évaporait. Et je disais :
Il ne suffit pas d'une table, de quelque monnaie en poche, de pain ou de baisers -
L'homme est plus grand que ses préoccupations quotidiennes. Et je disais aussi :
L'homme gagne à s'affranchir de son souci pour le pain
Et d'aller toujours outre à son esclavage
D'esclavage en esclavage, de délivrance en délivrance,
De la délivrance de la patrie à la délivrance du monde
Jusqu'à ce qu'il sente, entrant directement dans le ciel,
Que la lune s'évapore dans sa poitrine,
Jusqu'à ce qu'une nuit pleure d'amour pour tout le monde. Ainsi j'abandonnai
Ma voiture dans le fossé. Je pris mon fusil. Et je montai au mont. Ainsi je me suis retrouvé
Dans cette grotte dont la bouche regarde en face le soleil. Sa bouche ronde
Est le soleil lui-même que je recommencerai à sentir froid, quand ils me la feront franchir,
(Comme la lune cette nuit) – je le sentirai comme un frais « costantinato »
Restaurer ma poitrine brûlée, de sorte que peu à peu
Le soleil se réchauffe et s'évapore de notre poitrine. Je vous salue.

(Toutes les cloches de la Terre sonnaient à l'unisson. Tous les fronts humains se levaient. Dans le villages de Lissis entre Nicosie et Famagouste, sa mère serre le mouchoir noir autour de son menton fort et dit exactement les mots que son fils attendait : « Je suis fière de mon fils. Mieux vaut une poignée de cendres honorée, que mon champion à genoux. » Mon père de son côté, quand il alla à l'hôpital militaire de Nicosie, reconnut son garçon carbonisé à ses gros os grecs et à ce « costantinato » d'or qui s'évaporait sur sa poitrine et sur celle du monde entier.)


ATHÈNES. DU 5 AU 25 MARS 1957
(1) Monnaie d'or romaine avec l'image de Constantin le Grand et de sa mère Hélène. Sous le même nom, il y a un médaillon populaire que les Grecs portent comme amulette, avec la croix grecque et l'inscription ΕΝ ΤΟΥΤΩ ΝΙΚΑ - in hoc signo vinces. (NdT)

inviata da Marco Valdo M.I. - 12/11/2012 - 14:47


Arrivato in fondo alla ristrutturazione di questa pagina, ho da dire una cosa. Se vi capita, se ne avete il tempo e la voglia, leggetelo. Mi è successa una cosa, quella di alzarmi seppur brevemente in piedi una volta terminata la lettura di questa cosa; è Ritsos. Tutto qui. Saluti.

Riccardo Venturi - 9/11/2012 - 15:44


Qualcosa di musicato c'è: di Marios Tokas, in un disco del 1995, ΨΥΧΗ ΚΑΙ ΣΩΜΑΤΙ ho trovato il passo:


«Λάβετε, φάγετε, τούτο εστί το σώμα μου και το αίμα μου
– το σώμα και το αίμα του Γρηγόρη Αυξεντίου
ενός φτωχόπαιδου, 29 χρονώ, απ’ το χωριό Λύση, οδηγού ταξί το επάγγελμα,
πούμαθε στη Μεγάλη Σχολή του Αγώνα τόσα μόνο γράμματα
όσα να φτιάχνουν τη λέξη ελευθερία »

« Prendete, mangiate, questo è il mio corpo e il mio sangue
- il corpo e il sangue di Grigoris Afxendiou
di un ragazzo povero di 29 anni, del villaggio di Lissis, di mestiere conducente di taxi,
che alla Grande Scuola della Lotta imparò solo tante lettere
di quante si compone la parola libertà ».




Con l'occasione preciso che quella di Grigoris Afxendiou conducente di taxi è solo l'informazione, errata, che Ritsos ebbe dai giornali. In effetti Afxendiou dopo il liceo cominciò studi letterari, poi tentò di iscriversi all' Accademia Militare dei Cadetti di Atene (la Σχολἠ Ευελπίδων). Non ammesso, si arruolò nell'esercito greco, che lasciò verso il 1952 per ritornare all'isola natale e dedicarsi a preparare la sua indipendenza.

Gian Piero Testa - 11/11/2012 - 09:39


Non so perché, e forse potrà sembrare irriverente, ma la storia di Grigoris Afxendiou "tassista" mi ricorda un po' quella del "dentista" Pak Doo Ik, il calciatore della Corea del Nord che castigò l'Italia ai mondiali del 1966. Venne fuori la storia del dentista, ma in realtà Pak Doo Ik era un maggiore dell'esercito nordcoreano o roba del genere. Evidentemente, attribuire false umili o comuni occupazioni agli eroi, dell'indipendenza o del pallone, è un vizio diffuso.

Riccardo Venturi - 12/11/2012 - 19:01


Ringraziando Marco Valdo M.I. per avermi insignito di un "émérite", di cui mi fregio per la prima volta nella vita, e ,soprattutto, per averci dato, da par suo (quale nitidezza la sua lingua, maneggiata da lui, riesce a dare alle immagini e ai concetti!), la versione francese del poemetto di Ritsos, avverto gli admin che i primi tre versi della sua traduzione vanno eliminati, perché sembrano essere l'effetto di un "copia e incolla" indesiderato.

Gian Piero Testa - 12/11/2012 - 19:15


A Riccardo. Il tuo scolio mi conferma nell'opinione che l'archetipo dell'eroe produce topoi ricorrenti, per quanto aggiornabili. L'eroe omerico doveva ἴσος θεοῖσιν e non un Tersite; gli eroi "democratici" sono preferibili (o ammissibili) anche umili, purché siano molto umili, ché in questo consiste appunto la loro nobiltà. La falsa notizia letta nei giornali deve avere toccato le corde di Ritsos, e fattogli ricordare tutti i compagni davvero umili che si erano battuti e caduti nella resistenza e nella guerra civile. Scommetto che, se al posto di un "taxista", la stessa fine fosse toccata al generale Grivas, al poeta non sarebbe venuta la stessa ispirazione.

Gian Piero Testa - 12/11/2012 - 19:26


A Marco Valdo M.I.; "J’ôtai ma casquette et je m'essuyai le front avec la main: il n'est pas Afxendoiu qui ôte sa casquette et il essuye son front, mais bien la vieille à Afxendiou.

Gian Piero Testa - 12/11/2012 - 20:47


Mes souvenirs, dit Marco Valdo M.I., ne m’entraînent pas comme notre ami Riccardo vers des exploits footballistiques – même s'il m'est arrivé d'en relater plusieurs ici : par exemple, rien que dans les Histoires d'Allemagne : Le Pied d'Ivan et Le Miracle de Berne ... J'aurais plutôt tendance à regarder à d'autres histoires... Notamment celle de Narcisse qu'évoque pour moi l'auto-admiration de ce héros telle qu'elle est rapportée par Yannis Ritsos... C'est-à-dire l'histoire de Narcisse... et notamment, cette partie du texte, telle qu'elle apparaît dans la version française :

« on s'incline sur le ruisseau pour boire et dans le gazouillis du ruisseau on rencontre
Son beau visage, buriné par le travail, par le vent, par la jeunesse, par le soleil,
Et on reconnaît dans l'eau ses yeux brillants et cela ne nous arrête pas
Et on boit l'eau en même temps que soi-même . » (Yannis Ritsos – ADIEU)


Carlo Levi - Narciso


Narciso - Pompei


Caravaggio


Qui m'a rappelé un tableau de Carlo Levi (le petit Narcisse), que j'avais exposé à Mariemont en 2005, une peinture de Pompéi et un tableau du Caravage, tous trois reprenant cette histoire de celui qui se penche sur l'eau et boit l'eau en même temps que... son image. Car il n'est question là que d'image... et encore, fugace, évanescente et dès lors, extrêmement périssable. Ceci éclaire cela et donne une autre dimension au poème de Ritsos, une dimension plus anciennement grecque et pour tout dire, mythologique.

En effet, on en saurait être grec, poète et ne pas être mythologique, dit Lucien l'âne en éclatant d'un rire sonore comme une trompe marine. À ce sujet, je ne voudrais pas en rajouter, mais quand même, cette histoire de grotte et de caverne, il me semble en avoir déjà entendu parler à l'époque, quand je me promenais à Athènes du temps de Socrate, Aristophane, Xénophon, Platon, Aristote et les autres...

Bien évidemment, tout comme cette ouverture resserrée qui donne accès au monde et ouvre l'horizon du soleil et de la lumière et permet d'échapper au monde des ombres...Comme quoi, Lucien l'âne mon ami, comme on disait en ces temps-là, « Tout s'écoule, rien ne demeure »... Bien qu'Apollinaire semblât dire le contraire « Vienne la nuit, sonne l'heure. Les jours s'en vont. Je demeure » ce qui pourrait d'ailleurs synthétiser le poème de Ritsos et l'ambition du héros.

Autrement dit, mon ami Marco Valdo M.I., pour reprendre la formulation de Lavoisier d'une pensée grecque, une idée d’Anaxagore, je crois : « Rien ne se perd, rien ne se crée... » Ainsi donc, le monde est monde et personne ne l'a créé.

En effet, et si Anaxagore disait tout se combine, Lavoisier disait tout se transforme... Et notre taximan, par les événements, va se transformer en héros... Cependant, je ne voudrais pas que nos propos fassent perdre de vue le problème central que pose (surtout ici dans les Chansons contre la Guerre) le caractère proprement nationaliste et pour tout dire franchement fasciste de Grivas, dont je rappelle qu'il fut le fondateur et le chef de l'Eoka et de l'EOka B... et étant donné qu'il était né en 1898, qu'il avait fait l'Académie militaire grecque, on pourrait quand même se demander ce qu'il était sous le régime de Métaxas. Ceci pour confirmer l'intuition de Gian Piero Testa et combien Ritsos (et tous ceux qui s'interrogent sur la situation de Chypre) marchent sur le fil d'une ambiguïté...

Pas seulement eux, mon ami Lucien l'âne. Figure-toi que la même ambiguïté prend dans ses rets tous ceux qui dans le monde résistent à une invasion « étrangère »... Car la chose est ambiguë... Ce qui nous ramène à la Guerre de Cent Mille Ans, qui, in fine, ne se déroule pas vraiment entre des populations situées d'un côté différent de frontières, lesquelles frontières sont par essence factices et arbitraires... En somme, il n'y a qu'une seule terre et une seule humanité... Et s'il existe des divisions fratricides, elles sont le fait du vieux principe monarchique : « Diviser pour régner », du principe de domination, de la folle ambition infantile de possession, de pouvoir et de propriété... Et sans doute aucun, c'est contre elle qu'il faut organiser la résistance, contre elle qu'il faut diriger tous nos efforts de libération. Regarde bien le héros de Ritsos... Si l'on se place à un autre niveau « philosophique », on constate qu'il n'atteint sa plénitude que du moment où il se sépare des choses, que du moment où il accepte – enfin, finalement, à la fin, d'être lui-même et seulement, lui-même. Un être unique, un atome sous le soleil, un grain de sable de l'immense désert de la vie. Plus d'impedimenta, n'être plus qu'un voyageur sans bagages, un déambulateur dans l'espace... Quelque part ou nulle part entre la lune et le soleil. En somme, par cette chanson à paysage philosophique, Ritsos renoue avec l'intelligence des matérialistes de l'antiquité...


Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane

Marco Valdo M.I. - 12/11/2012 - 22:55


Gian Piero,

Je suis vraiment désolé d'avoir laissé cette scorie... mais, cette traduction fut véritablement un long et lourd travail, même s'il fut passionnant et de grande qualité... J'avoue que j'ai avancé pas par pas et que j'ai voulu terminer au plus tôt pour vous faire (à toi et Riccardo) la surprise au plus vite... Mais précisément, pour en revenir à mes erreurs, j'ai souvent demandé un correcteur... et de fait, le voici, toi... et j'ai d'ailleurs souvent indiqué que Balzac, Dumas et Hugo avaient droit à des correcteurs... Alors, si ces géants y avaient droit, vous pensez moi...
Dès lors,merci et pour conclure, la correction est la suivante :

Elle ôta ma casquette et m'essuya le front avec la main. (Vous savez,...

Je vous salue.


Marco Valdo M.I.

Marco Valdo M.I. - 12/11/2012 - 22:57


Sono tutte straordinariamente pertinenti le osservazioni di Marco Valdo M.I. (compreso quella sul narcisismo degli eroi e soprattutto quelle di Lucien/Eraclito). Abbiamo fatto un bel lavoro, Marcovaldo, io e un po', da parte sua, anche Yannis Ritsos... Ho pregato il mio amico Claudio, che da molti anni raccoglie tutto quanto gli riesce di Ritsos, di controllare se gli risultino traduzioni italiane di questo poemetto: sembrerebbe di no; e questo magari vale anche per il francese. Se le pagine web sono adatte a sfidare i secoli, "exegimus monumentum aere perennius". Ma davvero sono capaci di sfidarli ?!

Gian Piero Testa - 12/11/2012 - 23:30


Sans revenir sur le fond du poème (ADIEU) de Yannis Ritsos, dont par ailleurs, il est évident qu'on le considère ici comme une œuvre de première importance, dont on ne serait que les « transmetteurs », les « messagers », sans doute zélés et très certainement emplis d'humilité face au poète, à l'aède contemporain... il nous faudra bien corriger encore ce qui devra l'être... En l'occurrence, connaissant encore moins le grec que l'italien, il me faudra attendre la version italienne améliorée avant de pouvoir faire quoi que ce soit... Mais je le ferai.

Cela dit ("exegimus monumentum aere perennius"), il me paraît que les principes des Chansons contre la Guerre en matière de traduction, tels qu'ils ont été posés ici bien avant ma venue, peuvent être résumés (doivent l'être ?) de la façon suivante :

Primo : Mieux vaut une traduction bancale que pas de traduction du tout.

Deuzio : Toute traduction est perfectible et quand cela est possible, elle doit être « améliorée »

Troizio : Dans ce labyrinthe, qui ne fera toujours que se compliquer, il est illusoire d'atteindre partout et toujours au summum de la perfection, mais :

Quatrio : on peut tendre à l'excellence (ma tranquillo, tranquillo...), sachant que

Cinquio : Nous escaladons une montagne infinie... et que bien que nous ayons un cœur et dès lors, des ressources personnelles limitées et qu'il faut nous ménager

Sixio : il nous faut cependant envisager de travailler pour la pérennité... Car :

Septio : les Chansons contre la Guerre sont devenues un être collectif, tendant à une existence propre par-delà ses concepteurs... et tout successeur généralement quelconque. Car :

huitio : Comme disait le petit texte laissé par le gendarme de Vialatte, gendarme qu'on avait retrouvé pendu dans sa cuisine : « Je me tue. Il reste un peu de soupe dans le placard. Ne la jetez pas. Elle est encore bonne. » (Chroniques – 6 avril 1954).

Neuvio : Pour conclure, de ce que « Rire est le propre de l'homme » (François Rabelais, à moins qu'il l'ait puisé ailleurs...) en référence à tous ces généraux, colonels, lieutenants, sous-lieutenants... une citation d'Alphonse Allais : « La grande trouvaille de l'armée, c'est qu'elle est la seule à avoir compris que la compétence ne se lit pas sur le visage. Elle a donc inventé les grades. »

Ah ! Ah ! , fait Lucien l'âne.

C'est tout ce que tu dis, Lucien l'âne mon ami...

Certes, aujourd'hui, je suis comme le perroquet vert de Dali...

Quoi, il ne parle pas le perroquet de Dali ?

Je t'explique, Marco Valdo M.I., mon ami. C'est encore Vialatte, dans les Chroniques de la Montagne (il y travailla vingt ans...). Donc – le 9 juin 1954 : « Il paraît que Miro est revenu d'Amérique, il avait promis à Dali de lui rapporter un perroquet. Malheureusement, il l'avait oublié. Il ne put trouver qu'un hibou. Tant pis, il le peignit en vert. Le perroquet n'est après tout qu'un hibou vert. Ensuite, il attendit que ça sèche ; et enfin il donna le hibou à Dali.
Huit jours plus tard, il rencontre Dali.
« Alors, ce perroquet... il parle ? - Non, dit Dali. Il pense beaucoup ».

Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane

Marco Valdo M.I. - 13/11/2012 - 10:12


Io, nel frattempo, mi sono dato un po' da fare per vedere se esistano altre traduzioni italiane del "Commiato"; e, almeno in rete, non ne risultano notizie. Ho reperito notizie di una traduzione completa inglese di Marjorie Chambers, ma in italiano proprio sembra non esserci stato mai niente. E' quindi probabile che la traduzione di Gian Piero Testa qui presente sia davvero la prima mai effettuata in lingua italiana. Ora cercherò notizie anche sul francese.

Riccardo Venturi - 13/11/2012 - 10:54


Qui un breve documentario sulla fine di Afxendoiu, sottotitolato in inglese.

Gian Piero Testa - 4/3/2014 - 22:08




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