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Cannoni del Sagro

Davide Giromini
Langue: italien


Davide Giromini

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Registrazione originale / Original recording: 12'44"


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Dall'album "Apuamater"
[2005]
Apuamater

Testo e musica di Davide Giromini
Voci: Mattia Bovenzi, Tania Sabinos
Voce e fisarmonica: Davide Giromini
Violino: Elia Martellini
Voce e chitarra: Andrea Landi

Davide Giromini
Davide Giromini


Su Davide Giromini e sul suo album aveva scritto a suo tempo anche Francesco Senia. Quella che segue è un po’ un’integrazione, un po’ un’altra cosa. Ringrazio Davide "Darmo" anche per avermi spedito i testi esatti delle sue canzoni, che erano stati trascritti all'ascolto con qualche ovvia imprecisione che viene adesso corretta. (RV)

Il mio primo incontro con Davide Giromini è stato tra quelli che non si dimenticano. In una serata a Cantù, e se ci ripenso sarà ormai un anno e mezzo fa, assieme ai Delsangre (che accompagnava) e ai Caravane de Ville. Davide aveva un mal di denti terrificante, con quella sua aria che mi viene da definire irta; stava male. Sarà difficile dimenticarsi il suo personalissimo modo di tentar di farselo passare, quel mal di denti; e sarà ancor più difficile dimenticare la sua aria mentre sonava la sua fisarmonica. Stavo lì a sedere nella sala dell’ARCI di Mirabello, la stessa di una storica Piola, e vedevo un tizio che non sonava, ma che volava con lo strumento. Improvvisi decolli verticali, loopings, discese in picchiata, atterraggi sfiorati seguiti da risalite delicate; un aeroplano da combattimento alla fisarmonica. A occhi chiusi, proprio come se avesse una sua specie di radar in funzione; e lo guardavo, e lo ascoltavo a bocca che era aperta anche se restava chiusa.

Ne seguì una delle nottate più bìschere e più belle della mia vita, nelle camere di una cascina della zona trasformata in “agriturismo”, a base di cazzate, di birra, di vino e del Giromini, che oramai fulminato da tutto il mix che aveva ingurgitato, continuava a chiamarmi “Roberto”.
E Roberto sono rimasto anche quelle poche altre volte che l’ho visto. Troppo poche. Ma così è quando nel mezzo ci son delle montagne e dei passi da valicare, e queste sono montagne dalle quali il mare non si vede affatto, né lo si immagina alla prima curva dopo.

Una di queste poche volte che l’ho visto, lo sento anche cantare una sua canzone. Ne parla semplicemente come “Inno del cavatore”, perché Davide è un carrarino. Mi viene un po’, all’istante, da pensare a quella terra, che la si chiami “Apuania” o in un altro modo. Una terra che conosco poco, anzi pochissimo. Carrara, poi, non la conosco affatto. Non ci sono mai stato dentro. Solo rapidi e fugacissimi passaggi dall’autostrada. Le montagne altissime da un lato, il mare dall’altro, i blocchi di marmo. L’anarchia. Già, quella è la “terra storica” dell’anarchia, e passano per la testa nomi solforosi, da Gino Lucetti a Belgrado Pedrini, da Raffaelli e De Feo (gli autori di “Figli dell’officina”), da Goliardo Fiaschi a Vatteroni. E intanto il Giromini, sul palco improvvisato in mezzo a un prato brianzolo, suona e canta che in cava si sale e in miniera si scende. Suona e canta di morte bianca per quattro soldi.

Canta come suona la fisarmonica, come un aeroplano, con versi del tipo “candido refrattario cieco destino di bianca altura” o “del canto del demonio che inesorabile il cor violenta”. E ancora una volta chiudo gli occhi, perché mi piace entrarci dentro, una canzone. Voglio essere lì. E la canzone avanza veramente con il passo pesante e faticoso del cavatore; il demonio di tutte le montagne si fa strada assieme a lui, ed assieme a lui manda per davvero un saluto all’inferno. La morte per quattro soldi. Mio nonno materno finito in ghisa e conteggiato 411 lire. Riapro gli occhi. C’è poca gente su quel prato, a sentire quella canzone necessaria, la stessa sera della finale del campionato europeo di calcio.

Qualche mese dopo vengo a sapere che Davide Giromini ha fatto un disco, chiamandolo “Apuamater”. La “madre Apua”, o qualcosa del genere; per me, tizio sempre di passaggio, “Apua” è il nome di un viadotto dell’autostrada A12. “Viale Apua”. L’incrocio tra un viadotto e l’Alma Mater, quel nome che appiccicano sempre alle università. Apuamater, no, non l’ho ascoltato fino a pochissimi giorni fa, quando Adriana –una dei famosi cinquecentoundici di “Fabrizio”- me lo ha spedito (e voglio ringraziarla anche da qui, essendo tra le altre cose una delle principali collaboratrici delle "CCG"). E se il disco di Massimiliano Larocca, per usare l’espressione oramai consolidata di Francesco Senia, non venderà un cazzo, è probabile che l’Apuamater del Giromini venderà ancora meno. E’ probabile che verrà portato a giro con lo stesso passo del cavatore, un disco per quattro soldi. Un altro disco necessario. Un altro disco di passioni. Passioni che non so se vadano o ritornino. Non so se siano mai andate via o meno. Sempre il Senia, giorni fa scriveva una cosa formulando(si) una domanda cruciale: " ‘Il ritorno delle passioni’, profetizza e canta un amico nel suo disco. Sì. Ma come diavolo fa uno cui le passioni non sono mai andate via, a vederle tornare?” E’ una domanda cui vorrei saper risponder, cui vorrei poter rispondere in qualche straccio di modo. Ma non lo so. Aspetto qualcosa. Forse di poter essere in grado di rispondere, forse qualche altra cosa, forse niente. Forse anche molte passioni stanno aspettando qualcosa; compreso qualche disco come questi. Fuori dal “mercato”, come si dice; ma dentro una razza di cose che si condividono nel più profondo. Non vendono un cazzo, già; ma girano. Girano e si fanno girare. Coi loro passi, pesanti o lievi che siano. Questi non sono dischi che vendono, sono dischi che camminano. A volte corrono, persino. Assieme alle passioni.

Una voce con pesante accento fiorentino parla di Pasolini e Giordano Bruno; mi sembra di conoscerla, di conoscerla bene. Termina con una ghignata in cui la stessa voce dichiara di andargliela dire anche a Pasolini n’i’viso, quando lo rivede; e nel mezzo c’è una canzone, “Anima Mundi”, “liberamente tratta dalla vita di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi”. Nel disco, assieme al Ceccardi e alla sua vita, c’è anche Carlo Monni, uno che a differenza di Roberto Benigni non ha mai abbracciato Bill Clinton o ricevuto premioscar. Ci sono i Delsangre, c’è
Massimiliano Larocca, ci sono Marco Rovelli e Alessandro Danelli degli “Anarchistes” (i quali, mi dicono, avrebbero fatto un secondo disco; ma siccome non l’ho mai ascoltato, e io i dischi li ascolto sempre con qualche mese di ritardo, per ora mi baso sul primo che è una gran bella cosa).

[...]

Ceccardi: un cosiddetto “minore”, la cui vicenda umana il disco di Davide Giromini, intitolato a partire da una sua opera, segue “in tre tappe fondamentali”. “La forte e quasi morbosa dignità di un poeta che vuole essere riconosciuto tale fino alla morte” (cosa che mi ricorda, e da vicino, Piero Ciampi; un altro che non vendette mai un cazzo); “L’attaccamento alla terra apuana e l’amore per la sua gente, della quale il poeta si sforza di far ricordare il sangue rivoluzionario”; “La condizione di viandante”. Così si legge nell’introduzione all’album. Un viaggio “che va dalle alpi Apuane al mar Tirreno”; un viaggio nel quale il comandante Facio, Dante Castellucci, s’incontra con Heidi Giuliani, nel quale Laura Seghettini, che di Facio era la compagna, s’incontra con Michelangelo Buonarroti, nel quale Dreyfus s’incontra…con la fisarmonica. Uomini ed ombre. Viaggi e incontri con e nella musica che, come scrive Davide Giromini, “siamo abituati a fare nelle spiagge e all’osteria”.

Qualcuno, ascoltando l’album di Massimiliano Larocca “Il ritorno delle passioni”, si sarà forse chiesto che cosa significhino i versi cantati proprio da Davide Giromini all’inizio e alla fine, sempre duettanti (o duellanti) con la sua fisarmonica. “Ora il mio debito estinguo così, con un cestino di vimini”. Forse questo suo album è la spiegazione. Un debito da estinguere (“Non potevo fare a meno di racchiudere tutti in un unico ‘recipiente’ “), qualcosa da pagare con un cestino di vimini pieno di canzoni, di musica, di storie, di terra, di mare, di aria, di passi. Uno di quei cestini che i viandanti si portano sempre appresso, e nel quale ci son cose che ci stanno da sempre, cose che si aggiungono via via, e magari anche qualche cosa che sembra perdersi nel peregrinare di qua e di là. E’ una cosa che ben conosco; avessi mai imparato a cantare e a sonare la fisarmonica, magari sarebbe sortita anche a me, prima o poi, un’ “Ilva mater”; o forse no. Tocca quindi, peraltro con estremo piacere, parlare delle “mater” altrui. Ma il cestino di vimini è sempre lo stesso, e ognuno estingue il suo debito come può.

(Riccardo Venturi, dalla mailing list "Brigata Lolli", 2 agosto 2005)


Nella canzone "Cannoni del Sagro" è citata una delle più famose e celebri canzoni degli Stormy Six: Nuvole a Vinca. Non a caso: le due canzoni sono ispirate al medesimo episodio, l'eccidio nazista di Vinca del 24 agosto 1944, ad opera delle brigate nere e delle SS di Walter Reder.
Schizzo
"Queste le testuali parole di don Aristide Lavaggi nella sua testimonianza. Lo stesso giorno avveniva l'orribile strage di Vinca ad opera di Walter Reder e delle Brigate Nere di Carrara. Dallo schizzo sopra risulta evidente che tale azione rappresentava una operazione di fiancheggiamento contro chi fosse riuscito a fuggire in tale direzione dal paese di Vinca che subì lo sterminio totale (circa 170 morti, in prevalenza donne e bambini). Lo schizzo è trascritto da un originale presentato da Walter Reder al proprio processo, le frecce in evidenza nella direzione Massa-Forno rappresentano l'azione, in piena sinergia con le truppe di Reder dei marò della Decima Mas. La strage di Vinca rappresenta una delle pagine più nere della storia locale, le crudeltà commesse sono inenarrabili, bambini uccisi al "volo", feti estratti dal ventre delle loro madri, donne "impalate" ed esposte nell'ingresso del paese. L'eccidio inoltre non avviene per rappresaglia, ma allo scopo di seminare il terrore nei paesi che potevano fornire un qualche supporto logistico alle forze partigiane. 93 furono i militi italiani condannati." (da questa pagina.)

Il Sagro visto da Vinca. Apuania.
Il Sagro visto da Vinca. Apuania.
Sole e vento dell’altura
lascio alla lacrima bianca
per fare del corpo lamento e tortura.
Cambio le mie condizioni,
l’abito sporco mi dà
un’altra forza per vivere nelle città.
Nuvole a Vinca, i silenzi del monte
sferzati da una ferrovia,
che nessuno ha mai costruito,
ma un giorno è comparsa
portandomi via.

Ma se questi alberi sanno parlare
gli occhi non chiudano mai,
all’ombra nera che rompe il silenzio,
e dà al monte bisogno di fuoco e mortai,
per inchiodare un destino severo
sui rozzi battenti del passo straniero
che fece un dì traboccare dai muri
le lacrime del cimitero,
del cimitero.

Nuvole a Vinca, i cannoni del Sagro,
sparano ancora a chi passa di là,
e nessuno si senta lontano ed escluso
dall’ombra latente della civiltà.

envoyé par Riccardo Venturi - 3/8/2005 - 09:55




Langue: anglais

Versione inglese di Riccardo Venturi
English Version by Riccardo Venturi
4 agosto / August 4, 2005

NB: La versione è cantabile con qualche piccolo sforzamento metrico.
THE GUNS OF SAGRO

Sun and wind from the peak
I leave to the white tear
to turn my body into complaint and torture.
I change my conditions,
my dirty clothes give me
still more strength to live in the towns.
Clouds in Vinca, and a railroad
lashing against the silence from the mountain,
a railroad nobody has ever built,
but that appeared one day
and brought me away.

But if these trees know how to speak,
let 'em never close their eyes
to the black shadow breaking the silence
and impelling the mountain with fire and guns
to fix a harsh and cruel fate
to the coarse-sounding steps of strangers
who made one day the churchyard walls
overflow with tears,
overflow with tears.

Clouds in Vinca and the guns of Sagro
are firing down there at those passing by
and nobody can feel distant and excluded
from the hidden shadow of civilization.

4/8/2005 - 15:28




Langue: français

Versione francese di Riccardo Venturi
Version française de Riccardo Venturi
8 ottobre / 8 octobre 2005.

Nota. La traduzione è stata espressamente condotta in versi e per essere cantata. Da qui la sostanziale riscrittura del testo, con alcune eliminazioni anche dolorose (come quella delle "nuvole a Vinca", un particolare che però non potrebbe essere colto da chiunque parli il francese, a meno dell'improbabile ipotesi che conosca la canzone degli Stormy Six).
LES CANONS DE SAGRO

Le soleil et le vent de la colline
je laisse à la larme blanche
pour faire du corps ruine et torture.
Je change mes conditions,
mes fringues sales me donnent
de nouvelles forces pour vivre hors de la nature.
Sous les nuages, les canons de Sàgro
sont fouettés par un chemin de fer
que personne n’a jamais construit
mais qui, un jour, est arrivé
pour m’enlever.

Mais si ces arbres savent parler,
qu'ils n’ ferment jamais ses yeux
à l’ombre noire qui brise le silence, qui donne
à la montagne un besoin de feu, de mortiers,
pour bien clouer une sort sévère
aux pas endurcis de la botte étrangère
qui a fait jadis déborder des murs
les larmes du cimetière,
du cimetière.

Sous les nuages, on entend les canons
tirer encore à tous ceux qui sont là
et personne ne se sente mis à l’écart
de l’ombre latente de la civilisation.

7/10/2005 - 20:50




Langue: allemand

Versione tedesca di Riccardo Venturi
Deutsche Fassung von Riccardo Venturi
28 febbraio / 28. Februar 2006
KANONEN VON SAGRO

Sonne und Wind aus der Anhöhe
lasse ich der weissen Träne
um Folter und Qual aus dem Körper zu machen.
Ich andre meine Zustände,
die schmutzige Kleider gebn mir
weitere Kraft, um in Städten zu leben.
Wolken in Vinca, die Stille der Berges
gepeitscht durch eine Eisenbahn
die niemand je gebaut hat, aber
die einen Tag erschienen ist
und mich hinweggetragen hat.

Aber, wenn diese Bäume sprechen können,
sollen sie die Augen nie schliessen
vor dem schwarzen Schatten, der die Stille bricht
und dem Berge die Not zu Feuer und Mörsern gibt
um ein strenges Schicksal festzunageln
an den groben Gang des fremden Trittes
der einst aus den Mauern überfliessen liess
die Tränen des Friedhofes,
des Friedhofes.

Wolken in Vinca, die Kanonen von Sagro
feuern noch auf die, die dort vorbeigehn
und niemand fühle sich weit und ausgeschlossen
vom verborgenen Schatten der Zivilisation.

28/2/2006 - 17:09


COGLIONI SUL SAGRO

Con la bandiera della Rsi sul luogo di una strage nazista: bufera su un professore di Carrara
Il docente ha pubblicato su Facebook una foto con il simbolo di Salò sul monte Sagro, a pochi giorni dal ricordo dell'eccidio di Vinca dove furono uccisi 173 civili

Repubblica Firenze Online, 23 agosto 2017.

coglionesagro


Il 24 agosto 1944 a Vinca (Massa Carrara) i nazifascisti uccisero 173 civili. Ma mentre domani i superstiti della strage e i loro familiari ricorderanno le vittime di quella strage negli scorsi giorni un docente carrarino di una scuola superiore di Massa, è salito sulla vetta del Monte Sagro, sulle Apuane, sventolando una bandiera della Rsi. Proprio dalla cima da dove partirono, nei giorni prima della strage, i colpi sparati dai soldati tedeschi contro gli abitanti di Vinca. Poi ha pubblicato la foto sul suo profilo Facebook scatendando una bufera di polemiche e insulti. Il professore, Manfredo Bianchi, che è stato anche candidato al consiglio comunale di Carrara nelle liste di Fratelli d'Italia, ha poi rimosso l'immagine ma rivendica il suo gesto: "Non ho commesso nessun reato, ho solo espresso la mia opinione e non ho mai pensato di collegare quel gesto a questo drammatico evento".

A raccontare la vicenda, ieri, è stato il quotidiano il Tirreno che riporta anche la richiesta dell'Anpi, l'associazione dei partigiani, di allontanamento dalla scuola dell'insegnante. Lui però si difende e racconta a Repubblica i motivi del gesto denunciando anche un episodio successo in un bar questa mattina: "Un anarchico ha minacciato i gestori di non servirmi il caffè - dice - perché altrimenti sarebbero stati considerati complici e fascisti". Sul profilo di Bianchi ci sono altre foto che ne documentano il saluto romano nella visita a Predappio e immagini del prof con indosso una maglietta nera con i simboli della X Mas.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso, con la richiesta di licenziamento da parte dell'Anpi e una lettera che il sindaco di Carrara Francesco De Pasquale invierà all'istituto per chiedere un richiamo ufficiale è stata però prorio la foto, ritenuta oltraggiosa soprattutto perché arriva a pochi giorni dal ricordo dell'eccidio. "La mia è stata una polemica verso la proposta di legge Fiano-Boldrini - spiega ora il professore - che ritengo grottesca, liberticida e incostituzionale ma ho avuto anche un intento più ambizioso, di carattere eminentemente storico: due settimane prima dei fatti, innalzai la bandiera italiana sulla croce del Sagro, per rappresentare l'unità nazionale, poi ho fatto sventolare la bandiera della Rsi per sottolineare che una vera unità nazionale si potrà conseguire solo quando verrà data la giusta dignità alla ragione dei vinti".

Sulla bacheca del professore però sono arrivati gli insulti ai suoi post mentre a difenderlo sono stati alcuni esponenti di centrodestra, dall'ex candidato sindaco Maurizio Lorenzoni al coordinatore comunale di Fratelli d'Italia Lorenzo Baruzzo.

Riccardo Venturi - 23/8/2017 - 13:40


Che squallida testa di cazzo 'sto prof Manfredo Bianchi!
E si lamenta pure che non gli hanno servito il caffè al bar!
Sai che ritorsione!?! Peggio di quelle dei nazifascisti!

Il problema è che questo mentecatto fascista è un docente, e certo non lo licenzieranno per aver sventolato una bandiera...

B.B. - 23/8/2017 - 13:55




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